Corte Costituzionale: il confine tra stalking e maltrattamenti in famiglia, divieto di analogia in malam partem

Corte Costituzionale: il confine tra stalking e maltrattamenti in famiglia, divieto di analogia in malam partem

Corte cost., 28 aprile 2021 (dep. 14 maggio 2021), n. 98

Nella vicenda in esame, il divieto di analogia in malam partem impone di chiarire “se davvero possa sostenersi che la sussistenza di una relazione, come quella che risulta intercorsa tra imputato e persona offesa nel processo a quo, consenta di qualificare quest’ultima come persona (già) appartenente alla medesima famiglia dell’imputato; o se, in alternativa, un rapporto affettivo dipanatosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro possa già considerarsi, alla stregua dell’ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di convivenza”.

La pronuncia trae le sue origini dalla questione sollevata dal Tribunale di Torre Annunziata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., per legittimità costituzionale dell’art. 521 c.p.p. nella parte in cui non è prevista la facoltà dell’imputato, qualora il Giudice del dibattimento lo inviti all’instaurazione del contraddittorio circa la riqualificazione giuridica del fatto, di chiedere al Giudice del dibattimento il giudizio abbreviato per il fatto diversamente qualificato dal Giudice in esito al giudizio.

La questione veniva sollevata nell’ambito di un procedimento in cui l’imputato rispondeva del delitto di atti persecutori (al più conosciuto quale reato di stalking) di cui all’art. 612-bis, commi 1 e 2 c.p.

All’esito del dibattimento, il rimettente riqualificava i fatti contestati all’imputato, immutati nella loro materialità, nella diversa e più grave fattispecie di cui all’art 572 c.p., ossia reato di maltrattamenti in famiglia.

Avendo esposto tale possibile riqualificazione giuridica del reato contestato all’imputato alla sua difesa, ed essendo che il difensore dell’imputato aveva chiesto, a fronte di tale modifica, di essere ammesso al rito abbreviato, il rimettente sollevava la questione di legittimità.

Infatti, l’art. 521 c.p.p. al primo comma consente al giudice la riqualificazione del fatto giuridico, ma non prevede la possibilità che, a seguito di questa nuova definizione giuridica del fatto, diversa da quella contestata nella formulazione dell’imputazione originaria, l’imputato possa chiedere il giudizio abbreviato relativamente al fatto così diversamente qualificato.

La Corte Costituzionale si è pronunciata sul tema con la sentenza n. 98 del 14 maggio 2021, e, in ossequio al divieto di analogia in malam partem, quindi a sfavore del reo, ha definito il confine tra il reato di stalking e quello di maltrattamenti in famiglia.

La Corte ha dichiarato la inammissibilità della questione in quanto l’ordinanza di rimessione non si è adeguatamente confrontata con gli argomenti contrari alla riqualificazione giuridica del fatto contestata nel giudizio a quo.

La riqualificazione del fatto, eseguita dal rimettente, che costituisce il presupposto logico condizionante l’applicazione della norma di cui si pone la questione di legittimità, si fonda sul convincimento che le condotte moleste e minacciose nonché ingiuriose e violente, contestate all’imputato, siano state commesse nel quadro di una relazione affettiva stabile tra lo stesso e la persona offesa, seppure non vi sia stata convivenza.

Dall’istruttoria dibattimentale, infatti, era emersa l’esistenza di un rapporto affettivo tra i due, ma tale rapporto, svoltosi in un arco temporale di quattro mesi, si caratterizzava da visite frequenti della donna a casa dell’imputato, luogo dove spesso ella si intratteneva.

Secondo il Giudice di Torre Annunziata, la stabilità della relazione affettiva, desunta anche da una assidua frequentazione da parte della persona offesa con la famiglia dell’imputato, imporrebbe di riqualificare le condotte come maltrattamenti in famiglia (art. 572 comma 1 c.p.).

Il rimettente interpretava il sintagma “una persona […] comunque convivente” che si legge nel testo della norma ex art. 572 c.p., quale un “contesto affettivo protetto”, caratterizzato da “legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso, per colui che patisce i maltrattamenti, sottrarsi ad essi e particolarmente agevole, per colui che li perpetua, proseguire”.

Il delitto più grave dei maltrattamenti in famiglia andrebbe, quindi, ad assorbire l’ipotesi aggravata degli atti persecutori ex art. 612-bis, comma secondo c.p.

Tale ultima norma, infatti, ricomprenderebbe esclusivamente le situazioni affettive non caratterizzate (o non più) da una “attuale condivisione di spazi e progetti di vita che condizionano fortemente la capacità di reagire della vittima”.

Il Giudice di Torre Annunziata si era adeguato ad alcune pronunce della Corte di Cassazione, le quali hanno ricondotto alla fattispecie prevista ex art. 572 c.p. fatti commessi nell’ambito di relazioni caratterizzate dalla “condivisione di progetti di vita”, ed hanno affermato il principio secondo cui l’art. 572 c.p. sia applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualsiasi relazione sentimentale che possa implicare l’insorgenza di vincoli affettivi ed aspettative di assistenza assimilabili a quelle tipiche di una famiglia o di una abituale convivenza.

Il delitto, pertanto, sarebbe configurabile anche qualora mancasse una stabile convivenza e sussista, con la vittima, un rapporto familiare di mero fatto, caratterizzato dalla presenza di progetti di vita basati su reciproca assistenza e solidarietà[1].

Un simile orientamento, però, risale ad un’epoca antecedente all’introduzione della fattispecie prevista dall’art. 612-bis c.p. e si era formato in riferimento ad ipotesi concrete caratterizzate dal venir meno di una preesistente convivenza[2] e, particolarmente, quando dalla relazione fossero nati dei figli[3].

Infatti, di recente, la Corte di Cassazione, pronunciandosi in data 25 gennaio 2021 con la sentenza n. 2911 (III sez. pen.), ha escluso il delitto di maltrattamenti in famiglia in una ipotesi simile al caso di specie[4].

La Corte ha evidenziato, quindi, non solo che la giurisprudenza di legittimità ha dato risposte ben precise in riferimento alla possibilità di sussumere entro la figura legale descritta ex art. 572 c.p. le condotte abusive poste in essere nel contesto di una relazione affettiva, ma ha anche sottolineato come la diversa qualificazione del fatto, così come accertato in giudizio, confligge col divieto di analogia a sfavore del reo che trova fondamento a livello costituzionale nel principio di legalità ex art. 25 comma secondo Cost.[5].

Pertanto, la Corte Costituzionale ha ribadito che non è consentito “riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati letterali, e costituisce così un limite insuperabile rispetto alle opzioni interpretative a disposizione del giudice di fronte al testo legislativo […] è il testo della legge, non già la sua successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza, che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicchè non è tollerabile che la sanzione possa colpirlo per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore”.

Alla luce di quanto esposto, l’applicazione dell’art. 572 c.p. in casi simili appare come il frutto di una interpretazione analogica della norma incriminatrice a sfavore del reo preclusa dall’art. 25, comma 2 Cost.

 

 

 

 

 


[1] Cass. pen. sez. VI, n. 19922 del 9 maggio 2019; Cass. pen. sez. VI, n. 31121 del 15 luglio 2014; Cass. pen. sez. VI, n. 34086 del 1 dicembre 2020; Cass. pen. sez. VI, n. 5457 dell’11 febbraio 2020;
[2] Cass. pen. sez. VI, n. 37077 del 22 dicembre 2020; Cass. pen. sez. III, n. 43701 del 28 ottobre 2019; Cass. pen. sez. VI, n. 3356 del 24 gennaio 2018;
[3] Cass. pen. sez. VI, n. 4424 del 4 febbraio 2021; Cass. pen. sez. VI, n. 52723 del 20 novembre 2017;
[4] Nella sentenza cui si fa riferimento la relazione risultava instaurata da poco tempo ed era caratterizzata da una coabitazione consistita soltanto nella permanenza anche per due o tre giorni consecutivi nella casa dell’uomo, ove la donna si recava spesso anche con la propria figlia;
[5] Nullum crimen, nulla poena sine lege stricta, sentenza n. 447 del 1998;

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