Corte Costituzionale, Stato e Regioni in tema di gioco d’azzardo
Sommario: 1. Introduzione – 2. Gli antefatti – 2.1. La nozione di gioco – 2.2. Gli argomenti a favore della tutela dell’ordine pubblico – 2.3. La collaborazione Stato-Regioni nell’allocazione delle sedi di gioco in materia di tutela della salute – 3. Le argomentazioni della Corte Costituzionale – 4. Ad oggi – 5. Osservazioni.
1. Introduzione
La sentenza della Corte Costituzionale n. 108 dell’11 maggio 2017 (ud. 22 marzo 2017) si pronuncia sulla questione di legittimità sollevata dal TAR Puglia, sezione distaccata di Lecce, relativa ad una legge regionale, la n. 43 del 13 dicembre 2013, recante disposizioni di “Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (GAP)“.
In particolare, ne viene sottoposto all’attenzione della Corte l’art. 7, nella parte in cui condiziona il rilascio dell’autorizzazione per la gestione di attività di gioco d’azzardo al requisito della distanza da luoghi ritenuti “sensibili”: “cinquecento metri (…) da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette” (comma 2). Questa norma si porrebbe difatti in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, ponendo dunque un problema di conflitto di competenze: il comma 2 lettera h) attribuisce le questioni di ordine pubblico e sicurezza alla competenza esclusiva statale e il comma 3 configura la tutela della salute tra le materie di competenza concorrente, per le quali la potestà legislativa spetta alle Regioni, fatta salva la determinazione dei princìpi fondamentali, demandata allo Stato.
Qualche osservazione preliminare.
Innanzitutto, dai cenni di cui sopra si evince che il thema decidendum inerisca alla riconducibilità di questo genere di attività a più esigenze: la tutela della salute e l’ordine pubblico, con conseguenze sull’individuazione dei meccanismi istituzionali deputati alla sua disciplina.
In secondo luogo, la pronuncia avalla la prassi della Consulta di sottolineare i ritardi o le mancanze del legislatore nazionale nella concretizzazione di determinati obiettivi politici sanciti in atti normativi non self-executing, bisognosi dunque di decreti attuativi ulteriori e più precisi. Questa inerzia può porre in dubbio la legittimità della legislazione locale, che tuttavia non può inibirsi a causa di essa.
Infine, in sentenza emergono anche riflessioni sull’efficacia di una legislazione incidente su un fenomeno, quello della ludopatia, “da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo“. Viene infatti sostenuta dai soggetti ricorrenti nel giudizio a quo la tesi per cui una disciplina come quella impugnata avrebbe effetti criminogeni in quanto eccessivamente impeditiva dell’attività lecita del gioco. Il tema non viene approfondito dalla Corte, riguardando il contenuto della legge e non un problema di competenza, esorbitando dunque dall’oggetto della questione di legittimità. Tuttavia, non è una novità il meccanismo per cui un fenomeno diffuso nella società ma ostacolato dall’ordinamento venga ricercato dai consociati in contesti diversi, nell’illegalità. Queste considerazioni, che dovrebbero accompagnare la produzione normativa intorno a qualunque situazione in questo senso “sensibile”, portano a giudicare con maggior gravità la lentezza con cui lo Stato è intervenuto al riguardo.
2. Gli antefatti
Il caso riguarda una società gestente una sala adibita alla raccolta di scommesse che, a seguito di sfratto, aveva dovuto trasferire la propria sede, restando nel medesimo Comune. Dopo l’ottenimento delle autorizzazioni dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e della Questura competente (quella di Lecce), tuttavia, l’attività veniva inibita da un’ordinanza comunale, motivata dalla vicinanza ad un istituto scolastico, con violazione del limite dei cinquecento metri posto dalla normativa regionale.
Di conseguenza la società medesima, nonchè la società concessionaria che le aveva affidato il diritto di gioco sportivo, impugnavano l’ordinanza comunale.
Il giudice rimettente riteneva infondate le doglianze dei ricorrenti, ma sollevava questione di costituzionalità della legge della regione Puglia 43/2013 in quanto decisiva per il rigetto del ricorso.
2.1. La nozione di gioco
Una prima questione affrontata dal giudice a quo è quella della nozione di “gioco” ai fini della determinazione dell’ambito di applicabilità della legge regionale impugnata. L’art. 7 fa riferimento a “sale da gioco e (…) apparecchi da gioco di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, emanato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro“, escludendo i casi previsti dall’articolo 110, comma 7, del r.d. 773/1931 (c.d. TULPS, Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza).
Risulta dunque infondata, secondo il giudice a quo, la tesi dei ricorrenti secondo cui la normativa regionale faccia riferimento soltanto alle c.d. slot machines, cioè quegli apparecchi descritti dal sesto comma dell’art. 110 del TULPS: “Si considerano apparecchi idonei per il gioco lecito: a) quelli che (…) si attivano con l’introduzione di moneta metallica ovvero con appositi strumenti di pagamento elettronico (…) nei quali insieme con l’elemento aleatorio sono presenti anche elementi di abilità, che consentono al giocatore la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte dal gioco, il costo della partita non supera 1 euro, la durata minima della partita e’ di quattro secondi e che distribuiscono vincite in denaro, ciascuna comunque di valore non superiore a 100 euro, erogate dalla macchina [in monete metalliche]. Le vincite, computate dall’apparecchio in modo non predeterminabile su un ciclo complessivo di non piu’ di 140.000 partite, devono risultare non inferiori al 75 per cento delle somme giocate“. Essa infatti ricomprende anche “ogni altra tipologia di offerta di gioco con vincita in denaro“, tra cui l’attività di raccolta scommesse.
Come precisato in seguito dalla Corte Costituzionale, l’esclusione delle attività previste dal settimo comma della stessa norma si giustifica alla luce della minor pericolosità sotto il profilo della salute psichica del giocatore: sono ad esempio quelle che permettono di ottenere “premi consistenti in prodotti di piccola oggettistica, non convertibili in denaro o scambiabili con premi di diversa specie“, oppure che non distribuiscono premi.
2.2. Gli argomenti a favore della tutela dell’ordine pubblico
Materia attribuita all’esclusiva competenza statale dall’art. 117 comma 2 lettera h) della Costituzione, è ritenuta come ratio della legge regionale, e come causa di illegittimità in via principale, da parte delle società ricorrenti in considerazione del c.d. criterio teleologico adottato dalla stessa Corte Costituzionale: “le Regioni non potrebbero approvare leggi che, benché vertenti su altre materie di loro competenza, neutralizzino direttamente o indirettamente misure previste da leggi statali al fine di prevenire la commissione dei reati e il mantenimento dell’ordine pubblico, salvo che la stessa legge statale consenta alla Regione simili interventi” (punto 1.3 ritenuto in fatto). Nel caso di specie, la legge regionale contestata si applica ad attività sottoposte al controllo dell’autorità di pubblica sicurezza, “controllo pacificamente svolto in vista della prevenzione dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico, tramite la verifica di una serie di requisiti oggettivi e soggettivi del richiedente l’autorizzazione“, nonchè già vagliate dalla Consulta: con la sentenza 237/2006 essa includeva in tale materia non solo il gioco d’azzardo, ma anche le attività caratterizzate da aleatorietà e distribuzione di vincite.
Altro argomento sostenuto dai ricorrenti è quello della procedura prevista dalla legge di stabilità 2016, che non richiede (più) l’intervento del Ministro della Salute, come meglio esposto nel paragrafo seguente.
2.3. La collaborazione Stato-Regioni nell’allocazione delle sedi di gioco in materia di tutela della salute
Ulteriore problema posto nel giudizio a quo è dato dalla violazione di una competenza concorrente di Regione e Stato nella disciplina che invece, nel caso di specie, sarebbe direttamente dettata dalla legge regionale contestata, cioè la tutela della salute (art. 117 comma 3 Cost.). Questo argomento è sostenuto come causa di illegittimità in via subordinata dai ricorrenti.
La pianificazione della progressiva ricollocazione dei punti di raccolta del gioco (come definito dal TULPS) è assoggettata ad un particolare procedimento, delineato dall’art. 7 comma 10 del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un piu’ alto livello di tutela della salute“, convertito in l. 8 novembre 2012 n. 189. Esso è di competenza dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (e dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, a seguito di incorporazione), previa Intesa in sede di Conferenza Unificata e tenuto conto degli interessi pubblici di settore e degli ulteriori criteri definiti dai Ministri dell’Economia e delle Finanze e della Salute. Con questo procedimento si vuole concretizzare la nozione di competenza concorrente: “Nella materia della «tutela della salute», d’altronde, sarebbe riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniformi, ferma restando la facoltà delle Regioni di stabilire livelli più elevati per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze” (1.3 ritenuto in fatto). Tale disposizione è prevista per le concessioni successive alla sua entrata in vigore e nella fattispecie la concessione della società ricorrente ne è invece antecedente. Tuttavia, il trasferimento della sede richiede un esame ex novo dei requisiti idonei e, dunque, il rilascio di una nuova autorizzazione.
Ciò che invece risulta contrario a diritto è che il legislatore pugliese avrebbe agito esorbitando da tali limiti, introducendo regole elusive del sopra descritto meccanismo di pianificazione centrale, nonchè immediatamente operative.
E’ da segnalare come vi siano altre fonti normative sul punto, citate nella sentenza.
In primo luogo, la l. 11 marzo 2014 n.23, “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale piu’ equo, trasparente e orientato alla crescita“, all’art. 14 comma 2 lettera e) dispone, per il riordino della materia dei giochi pubblici, il criterio direttivo dell’introduzione di “regole trasparenti e uniformi nell’intero territorio nazionale in materia di titoli abilitativi all’esercizio dell’offerta di gioco, di autorizzazioni e di controlli, garantendo forme vincolanti di partecipazione dei comuni competenti per territorio al procedimento di autorizzazione e di pianificazione, che tenga conto di parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale (…) comunque con riserva allo Stato della definizione delle regole necessarie per esigenze di ordine e sicurezza pubblica, assicurando la salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale che risultino coerenti con i principi delle norme di attuazione della presente lettera“.
Inoltre, l’art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” prevede che per le caratteristiche dei punti vendita ed i criteri della loro distribuzione sul territorio sia prevista una procedura analoga alla prima descritta nel presente paragrafo, ma senza l’intervento del Ministro della Salute: “le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata siano recepite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti” (punto 2 ritenuto in fatto) entro il 30 aprile 2016.
3. Le argomentazioni della Corte Costituzionale
La Corte stabilisce innanzitutto che “Il legislatore regionale è intervenuto (…) per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della “dipendenza da gioco d’azzardo” (…) La disposizione in esame persegue, pertanto, in via preminente finalità di carattere sociosanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» (art. 117, terzo comma, Cost.), nella quale la Regione può legiferare nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale” (punto 3.1 considerato in diritto). E’ dunque infondata la questione di legittimità rispetto all’art. 117 comma 2 lettera h) Cost..
La Consulta ritiene infondata la questione anche rispetto all’art. 117 comma 3 Cost.: dall’art. 7 comma 10 del D.L. 158/2012 non deriverebbe la necessità di una pianificazione statale, ma solo la legittimità di interventi di ricollocazione; tesi supportata dal Consiglio di Stato.
Tant’è che, alla data della pronuncia, ancora non sono intervenuti gli ulteriori decreti interministeriali necessari per definire i criteri in base ai quali assumere la pianificazione e lo stesso può dirsi per la l. 23/2014 e per la legge di stabilità 2016 (nelle parti qui interessate).
La l. 23/2014, in particolare, assicurava la “salvaguardia delle discipline regolatorie nel frattempo emanate a livello locale che risultino coerenti con i principi delle norme di attuazione della presente lettera” (art. 14 comma 2 lettera e)), mentre la legge di stabilità 2016 andava ad assorbire il meccanismo di pianificazione previsto per il 2012.
4. Ad oggi
La sentenza risale al 22 marzo 2017 (depositata in segreteria l’11 maggio 2017), data in cui era già ampiamente decorso il termine per il meccanismo previsto dalla legge di stabilità 2016 (30 aprile 2016).
Ad oggi, è cambiato qualcosa?
Il 7 settembre 2017 è stata raggiunta un’Intesa in sede di Conferenza Unificata, “al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell’ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età“.
Tra le finalità emergono i diversi interessi in gioco: il non sottrarre in toto ai cittadini l’attività lecita, arginando il fenomeno dell’illegalità ed in considerazione delle significative entrate erariali derivanti da tale settore, ma al contempo reagire al fenomeno della ludopatia.
Vengono poi elencate per punti le misure già approvate in seno alla legge di stabilità 2016: riduzione numerica delle slot e delle sale dedicate, aumento del prelievo erariale, riduzione degli spazi pubblicitari ed il passaggio ad “AWP esclusivamente da remoto (upgrade tecnologico)“.
Le misure, invece, accordate in Intesa sono l’ulteriore riduzione dell’offerta di gioco, la predisposizione di regole relative alla “distribuzione territoriale e temporale” (demandata agli enti locali e, in tema di orari giornalieri, d’Intesa ulteriore con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) ed alla concessione certificata delle licenze di vendita di gioco, al fine di “innalzare il livello qualitativo dei punti gioco e dell’offerta” (ad es.: eliminazione di immagini eccessive idonee ad indurre al gioco, videosorveglianza, formazione del personale esercente…), l’innalzamento dei controlli (anche relativizzandoli ad indici quali quello di presenza mafiosa; si prevedono la possibilità, in via d’urgenza, per gli enti locali di derogare all’Intesa, di concerto con Magistratura, Polizia, Guardia di Finanza ed Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, ma anche l’adozione di misure “organizzative”, quale è la prospettazione di nuovi modelli di governance per le attività di vigilanza del settore), l’accentuazione di prevenzione e contrasto al gioco patologico (anche mediante proposte comuni in sede europea; si ribadisce l’attività dell’Osservatorio istituito dal D.L. 158/2012, del quale si dirà meglio nel paragrafo finale), monitoraggio sull’efficacia dell’Intesa.
Il MEF viene poi chiamato a tradurre in decreto ministeriale i contenuti dell’atto entro il 31 ottobre 2017, adempimento che viene rispettato (seppur in ritardo).
5. Osservazioni
La pronuncia della Corte Costituzionale sancisce dunque come la riconducibilità della materia alla legislazione statale o concorrente sia da valutarsi caso per caso, in base al contenuto dell’atto considerato. L’Intesa raggiunta in Conferenza Unificata si riconduce alle finalità di tutela sia della salute che dell’ordine pubblico, prevedendo tuttavia in alcuni casi il margine di apprezzamento degli enti locali, in altri la necessità di un intervento plurale: sembrerebbe dunque circoscrivere potenziali conflitti di competenza.
Un iter forse lievemente contraddittorio riguarda il sopra menzionato Osservatorio previsto dal D.L. 158/2012: ai sensi dell’art. 7, comma 10, “Presso l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, e’ istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonche’ rappresentanti dei comuni, per valutare le misure piu’ efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell’osservatorio non e’ corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese“; Osservatorio poi trasferito presso il Ministero della Salute a norma dell’articolo 1, comma 133, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Dunque, in funzione propositiva, d’impulso, si dispone la collaborazione (gratuita…) di soggetti chiamati ad analizzare le conseguenze del fenomeno soprattutto in tema di salute, eppure in sede, invece, di adozione delle Intese viene meno, nel 2015, l’intervento del Ministero rappresentativo proprio di tale interesse. Nell’Intesa del 2017, tuttavia, si prevede di “adottare quanto riportato nel documento conclusivo dell’Osservatorio” (al punto 5).
Infine, è doverosa una riflessione sul gioco d’azzardo patologico: è decisamente positiva la riduzione degli spazi, che siano “fisici” (sale) o “virtuali” (es. spazi televisivi), a ciò destinati. Eppure, solo a titolo di esempio, il D.L. 158/2012, all’art. 7 commi 4 e 4-bis prevede: “4. Sono vietati messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori e nei trenta minuti precedenti e successivi alla trasmissione delle stesse. E’ altresi’ vietata, in qualsiasi forma, la pubblicita’ sulla stampa quotidiana e periodica destinata ai minori e nelle sale cinematografiche in occasione della proiezione di film destinati alla visione dei minori. Sono altresi’ vietati messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonche’ via internet nei quali si evidenzi anche solo uno dei seguenti elementi: a) incitamento al gioco ovvero esaltazione della sua pratica; b) presenza di minori; c) assenza di formule di avvertimento sul rischio di dipendenza dalla pratica del gioco, nonche’ dell’indicazione della possibilita’ di consultazione di note informative sulle probabilita’ di vincita pubblicate sui siti istituzionali dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, successivamente alla sua incorporazione ai sensi della legislazione vigente, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nonche’ dei singoli concessionari ovvero disponibili presso i punti di raccolta dei giochi. 4-bis. La pubblicita’ dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilita’ di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. Qualora la stessa percentuale non sia definibile, e’ indicata la percentuale storica per giochi similari. In caso di violazione, il soggetto proponente e’ obbligato a ripetere la stessa pubblicita’ secondo modalita’, mezzi utilizzati e quantita’ di annunci identici alla campagna pubblicitaria originaria, indicando nella stessa i requisiti previsti dal presente articolo nonche’ il fatto che la pubblicita’ e’ ripetuta per violazione della normativa di riferimento.“. Ora, sorge spontanea la domanda: il classico messaggio pubblicitario “il gioco può creare dipendenza” pronunciato in maniera rapidissima per concedere più spazio alla pubblicizzazione in senso stretto è una prassi rispettosa di questi criteri? Lo è il riportare sullo schermo le indicazioni richieste dalla legge, ma in caratteri illeggibili in quanto piccolissimi e per un periodo di tempo anch’esso brevissimo? Solo formalmente a mio parere, vanificando totalmente l’efficacia delle disposizioni riportate. Occorrono più rigidità in tale ambito in quanto, banalmente, la televisione è sempre accessibile ai minori, per non parlare della rete.
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Lara Gallarati
Avvocato presso il Foro di Milano.
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