Cosa si rischia ad avere con sé un’arma bianca?

Cosa si rischia ad avere con sé un’arma bianca?

Sommario: 1. Caratteristiche generali – 2. L’interpretazione giurisprudenziale – 3. La questione di liceità delle armi bianche – 3.1. Segue. La scriminante della legittima difesa – 4. Differenza fra «porto» e «trasporto» di armi

 

Chi è un appassionato di armi bianche, ovvero armi da punta e da taglio, spesso si chiede se tali strumenti possono essere liberamente detenuti e portati in giro. Tuttavia, la risposta non è così scontata come può sembrare.

1. Caratteristiche generali

Il punto di partenza per capire cosa si rischia a detenere ed eventualmente, a portare con sé un’arma da taglio è sapere la differenza fra un’arma bianca propria e un’arma bianca impropria. Tale distinzione, però, non è così semplice, in quanto la legge non indica le caratteristiche tecniche di questi strumenti, ma solo dei criteri generali.

La legge definisce «armi bianche» quegli strumenti da punta e da taglio la cui destinazione naturale e univoca è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili, e per le quali non è ipotizzabile un diverso scopo: si parla, in tal senso, di arma propria (cfr. artt. 30 e 45 TULPS). Diversamente, non sono da ritenersi armi a tutti gli effetti quegli oggetti che, pur potendo occasionalmente cagionare danno ad una persona, hanno una diversa e specifica destinazione, come gli strumenti da lavoro e quelli destinati ad uso domestico: si parla in questo caso di arma impropria[1].

Da questa analisi, è abbastanza intuibile che la distinzione tra arma propria e arma impropria è più facile riguardo alle armi da fuoco, quali pistole, fucili, bombe a mano ecc. in quanto per tali strumenti è assai difficile ipotizzare uno scopo differente dall’offesa alla persona: una pistola, infatti, data la sua particolare struttura, è appositamente fabbricata per il solo scopo di ferire qualcuno.

Il discorso si complica, invece, per le armi bianche, poiché esse, a seconda delle caratteristiche e dell’utilizzo che ne viene fatto, non sempre sono destinate ad offendere qualcuno, potendo essere adoperate anche in contesti diversi.

2. L’interpretazione giurisprudenziale

È innanzitutto da precisare che, in linea di massima, per stabilire la differenza fra armi proprie e armi improprie, non assumono grande importanza né la grandezza dell’arma stessa né la lunghezza della lama, poiché, come appena spiegato, l’elemento che fa la distinzione è essenzialmente lo scopo che può essere pensato e attuato con il suo utilizzo. Tuttavia, esistono alcuni tipi di armi che, a causa delle loro notevoli dimensioni e dall’utilizzo che ne viene fatto nella maggior parte dei casi, vengono quasi sempre classificate come armi proprie. Si pensi, per esempio, ad un sciabola o ad una scimitarra, la cui destinazione è decisamente incompatibile per un utilizzo differente dall’offesa: la sciabola, infatti, non viene normalmente adoperata né per tagliare il pane né per svolgere attività di giardinaggio. Diversamente, una mannaia, nonostante sia un’arma di una certa grandezza, difficilmente viene ritenuta un’arma propria, visto che il suo scopo naturale è destinato all’uso lavorativo o al più domestico.

Dunque, anche se per la legge è indifferente la lunghezza della lama, è intuibile come un’arma lunga sia più facilmente classificabile come arma propria; mentre per un’arma corta, il discorso è più complesso, poiché in relazione alle sue caratteristiche, si presta verosimilmente a molteplici scopi che si allontanano dall’ipotesi di voler arrecare un danno ad una persona.

Come già accennato, la legge è assai generica nell’individuare con precisione quali siano le caratteristiche attraverso le quali si possa parlare di arma bianca propria o di arma bianca impropria. Ragion per cui, a colmare tale vuoto legislativo ci ha pensato la giurisprudenza, la quale, nel corso degli anni, ha individuato dei criteri più specifici.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, gli strumenti da punta e da taglio sono classificabili come armi proprie in presenza di tre elementi specifici, che sono: la punta acuta; la lama a doppio filo; un sistema di bloccaggio della lama (cfr. Cass. n. 36433/2021). Da questi elementi è abbastanza intuibile come diversi strumenti, tra cui i coltelli da cucina, i coltellini svizzeri e i coltelli a serramanico[2], non possano essere considerati armi proprie, sia perché non presentano le caratteristiche sopra indicate, sia perché sono destinati principalmente a scopi diversi, e solo in determinati contesti possono essere idonei a nuocere a qualcuno. Al contrario, altri tipi di strumenti come il pugnale e il coltello a molla, sono sempre considerati armi proprie, in quanto l’unico uso ipotizzabile è, anche in questo caso, l’offesa alla persona.

In buona sostanza, per stabilire se l’arma che si ha fra le mani è un’arma propria o impropria, occorre valutare se la stessa è stata ideata e costruita appositamente per recare danno a terzi oppure se, almeno tecnicamente, può essere pensata e destinata anche ad altri scopi.

3. La questione di liceità delle armi bianche

Dal momento che le armi proprie hanno come unica destinazione l’offesa alla persona, la vendita, la detenzione e la circolazione di tali tipologie di armi è consentita solo previa autorizzazione specifica, senza la quale si commette reato ex art. 699 c.p. e art. 35 TULPS, a prescindere dai motivi che si possono avere.

Al contrario, le armi improprie, essendo destinate principalmente a scopi differenti, non richiedono alcun tipo di autorizzazione, potendo quindi essere vendute e acquistate da chiunque.

Il discorso si complica, invece, riguardo alla questione sulla circolazione delle armi improprie.

Infatti, come accennato nel paragrafo precedente, anche se un normale coltellino svizzero si presta a diversi utilizzi, è comunque uno strumento idoneo a ferire qualcuno. In forza di ciò, secondo l’art. 4 L. n. 110/1975, la circolazione di tali strumenti, seppur non assolutamente vietata, può avvenire solo in presenza di una valida motivazione.

Anche qui la legge non va ad indicare un elenco completo delle possibili motivazioni che rendono lecito il porto di un’arma impropria; pertanto, tale valutazione viene effettuata dal giudice tenendo conto dei vari elementi costitutivi del caso concreto. In altre parole, la motivazione offerta per giustificare il possesso di un coltello da cucina o di un taglierino deve essere credibile, ovvero perfettamente compatibile con le circostanze in cui si porta con sé questo strumento.

Vediamo qualche esempio per comprendere meglio il concetto.

– Mentre cammina per strada, Tizio viene fermato da un agente che, durante un controllo, trova un coltellino a serramanico nel suo marsupio: Tizio si giustifica dicendo che gli serve per andare a pescare. In tale ipotesi, affinché la motivazione de qua possa considerarsi valida, sarà utile mostrare anche tutto il resto dell’attrezzatura, come canna, mulinelli, lenza, ami ecc. poiché, in assenza di tale strumenti sarebbe impossibile praticare la pesca.

– Mentre si trova all’entrata di uno stadio, Caio viene fermato da un agente che, durante un controllo, scopre la presenza di un coltellino svizzero nella sua tasca. È ovvio che in tale scenario sarà difficile, se non impossibile, dimostrare di avere una valida motivazione per avere con sé un simile strumento: lo stadio infatti, non è un luogo destinato all’utilizzo di coltelli.

3.1. Segue. La scriminante della legittima difesa

Sempre riguardo alle varie possibili giustificazioni da offrire riguardo al possesso di armi improprie, da sempre la giurisprudenza è incline ad affermare l’inammissibilità di invocare a propria scusa la scriminante della legittima difesa; e ciò per due ragioni specifiche.

Innanzitutto, affinché si possa parlare di legittima difesa, è necessario, secondo la lettera dell’art. 52 c.p. che ci sia un pericolo attuale, nel senso che deve avvenire nello stesso momento in cui si fa utilizzo dell’arma. Da qui si evince che non possa sussistere alcuna forma di scriminante nei confronti di chiunque venga sorpreso con in tasca un coltello solo perché, magari, teme di essere aggredito da qualcuno o perché si incammina in una strada frequentata abitualmente da gente poco raccomandabile.

Inoltre, anche ammesso che si possa in qualche modo essere nell’ambito della legittima difesa, ciò non sarebbe sufficiente per andare esente da responsabilità penale. La legittima difesa infatti esclude solo la punibilità per gli eventuali danni cagionati alla persona, quali le lesioni personali o l’omicidio, ma non va minimamente ad influire sul fatto di aver adoperato un’arma per difendersi. Di conseguenza, anche in presenza di una giusta causa, è possibile incorrere nel reato di porto abusivo di armi o di oggetti atti ad offendere, qualora le circostanze non consentano di poterli avere con sé.

4. Differenza fra «porto» e «trasporto» di armi

Un altro discorso importante da affrontare in tema di armi bianche improprie è la differenza fra porto e trasporto, che rappresentano due situazioni apparentemente analoghe ma che per la legge hanno significato diverso.

Si parla di «porto» quando c’è la disponibilità immediata dell’arma, come quando viene tenuta nello zaino o nel marsupio, essendoci così la possibilità di poterla usare in qualunque momento e con facilità: e per tale ragione, come visto precedentemente, ci deve essere una motivazione plausibile. Si parla, invece, di «trasporto» quando l’arma non è immediatamente utilizzabile, e perciò non sussiste alcun pericolo nei confronti di terzi. È ciò che accade, per esempio, quando le armi sono custodite dentro una valigia nel bagagliaio dell’automobile mentre il conducente è alla guida e, pertanto, gli sarebbe difficile afferrarle in qualunque momento: in tale scenario, non è necessario fornire alcuna motivazione per giustificare il trasporto di una mannaia o un set di coltelli da cucina.


[1] La definizione di arma «impropria», pur non essendo indicata in nessuna legge, è ricavabile analizzando la differenza con le armi proprie, di cui parla espressamente l’art. 30 TULPS.

[2] È tuttavia da precisare che, secondo un orientamento giurisprudenziale minoritario, il coltello a serramanico è sempre da considerarsi un’arma bianca propria anche se non presenta le caratteristiche tecniche indicate dalla giurisprudenza di merito (cfr. Cass. n. 20705/2014).

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