Cosmetici e medicinali: una dura demarcazione giuridica
Preliminarmente rispetto a qualsiasi riflessione è bene richiamare le basi di quel che ha caratterizzato negli ultimi decenni la disciplina dei cosmetici sviluppatasi nell’ambito dell’Unione Europea. Tra gli esempi più eclatanti rintracciabili in tale contesto ritroviamo, principalmente, il tragico “affaire du Talc Morhange“, un’infelice vicenda che interessò la Francia negli anni Settanta. Era il 24 agosto 1972, quando il Ministro della Sanità Pubblica dichiarò a Parigi lo stato d’allarme, a seguito del ritrovamento di tracce di un potenziale battericida, l’esaclorofene, all’interno delle confezioni di talco Morhange, utilizzato prevalentemente per l’igiene personale dei neonati, e che causò, secondo le fonti più attendibili, 204 vittime, di cui ben 36 bambini neonati (1).
Tale episodio ebbe luogo in un contesto geografico che, sul piano del diritto europeo, rappresenta l’esempio paradigmatico per l’eccellenza della proliferazione di norme intese a disciplinare gli aspetti concernenti i prodotti cosmetici. A testimoniarlo è la letteratura autoctona, dalla quale si rinviene un’indubbia sollecitudine di occuparsi del rapporto tra diritto e bellezza, del resto “la Francia è e rimane la casa spirituale di fragranze e cosmetici” (2). Dapprima fu con la Legge del 10 luglio 1975, la quale pose le basi del “droit de la beuté“, inteso come il complesso di norme dedicate ai contratti che ruotano intorno al concetto di bellezza personale. Tuttavia, capostipite della normativa, in seguito elaborata, è la Direttiva n. 76/768/CE, la quale chiarì fin da subito la definizione di cosmetico: “le sostanze o le preparazioni destinate ad essere applicate sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca alla scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto e/o correggere gli odori corporei e/o proteggerli o mantenerli in buono stato“.
Tale definizione si è rivelata cruciale ed innovativa in occasione di innumerevoli vicende giurisprudenziali, trovandosi ad operare in un contesto che fino a quel momento si era basato sul riferimento al Regio Decreto del 1927 (ormai caduto in desuetudine), recante norme per la produzione ed il commercio delle specialità medicinali. In tale contesto diviene inevitabile il riferimento alla Direttiva 65/65/CE (per il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alle specialità medicinali), i cui risvolti pratici si concretizzarono inizialmente in un’accezione riduttiva del cosmetico, per così dirsi “primitiva”, in quanto il legislatore ancora non era stato in grado di fornire una chiara definizione che esplicasse l’effettivo significato dei termini “azione farmacologica” e “rilevanza tossicologica“, come si nota dalla lettura dell’asserzione della Corte di Giustizia in occasione della sentenza Monteil-Samanni: “Tenuto conto dei particolari pericoli che i medicinali possono presentare per la salute pubblica, pericoli che generalmente i prodotti cosmetici non presentano, un prodotto va ritenuto, anche quando rientrasse nella definizione di prodotto cosmetico (…), “medicinale” e sottoposto alla relativa disciplina qualora venga presentato come dotato di proprietà curative o preventive nei confronti di malattie, oppure se venga somministrato al fine di ripristinare, correggere o modificare funzioni organiche” (3).
Può esserci utile in tale contesto richiamare l’esempio dei “sali da bagno“. Innanzitutto si tratta di cristalli salini benefici in grado di svolgere molteplici funzioni, come riportano dati medici: miglioramento della circolazione sanguigna, sollievo ai dolori artritici e mal di schiena, riduzione della tensione muscolare e degli spasmi, prevenzione di eczemi o psoriasi (4). In particolare, spiega il Ministero della Salute, se la particolare funzione di questi sali di mitigare certe sensazioni di pesantezza o stanchezza delle gambe non implica da parte di questi prodotti l’assunzione dei connotati dei medicinali, lo stesso non si può dire nel caso in cui essi venissero presentati come di origine patologica, unitamente alla potenzialità del prodotto di essere destinato a combattere questi sintomi (5). In via del tutto opposta è utile prendere in considerazione la situazione riferita, invece, ai “sali iposodici e asodici“, i quali, in base ai dati riportati sempre dal Ministero della Salute, sarebbero stati collocati all’interno della categoria degli “alimenti a fini medici speciali“, a seguito di studi biochimici e tossicologici maggiormente approfonditi, i quali ne avrebbero riscontrato le relative caratteristiche. Interessanti sono i “prodotti abbronzanti“. Essi di recente sono stati oggetto di una controversia che ha visto come parte attrice una signora, la quale, a seguito dell’applicazione di un gel “superabbronzante” e della successiva esposizione al sole, aveva riscontrato gravi ustioni con postumi permanenti, per cui aveva, poi, deciso di promuovere un’azione di risarcimento danni avverso la casa produttrice di tale cosmetico, dapprima presso la Corte d’Appello, adducendo, in primo luogo, la violazione della Legge di recepimento in Italia dell’11 ottobre 1986; in secondo luogo, l’omesso esame delle prove riguardanti il nesso di causalità, in particolare la consulenza d’ufficio. La Suprema Corte concluse la questione, accogliendo la richiesta dell’attrice, andando, così, ad aggiungere un tassello all’edificio giurisprudenziale ancora poco elaborato, in materia di responsabilità del produttore per cosmetico difettoso (6).
Tutti questi elementi ci portano non molto lontano da una riflessione in merito a tale situazione caratterizzante oggi il mondo della cosmetica e delle case produttrici di farmaci, in quanto è inconfutabile l’esigenza di adottare maggiori norme a protezione delle sicurezza e della salute del consumatore, attraverso anche la collaborazione della “Cosmetovigilanza”, per quanto riguarda la raccolta, il monitoraggio e la verifica di eventuali segnalazioni di reazioni avverse dovute all’impiego di prodotti cosmetici regolari, conformi, cioè, al regolamento (CE) n. 1223/2009 (sui prodotti cosmetici).
Bibliografia
(1) M.C. PAGLIETTI, Le controversie e la loro riduzione, in V. ZENO-ZENCOVICH, Cosmetici. Diritto, regolazione, bio – etica, Roma Tre Press, Roma, 2014, p. 136.
(2) M.C. PAGLIETTI, Cosmetics law e tutela del consumatore. La disciplina dei cosmetici tra persona e mercato, soluzioni contrattuali e aquiliane, in Diritto Mercato Tecnologia (rivista online: http://www.dimt.it/2013/01/17/cosmetics-law-e-tutela-del-consumatore-la-disciplina-dei-cosmetici-trapersona-e-mercato-soluzioni-contrattuali-e-aquiliane/), p. 2.
(3) Sentenza della Corte di Giustizia del 21 marzo 1991, in causa C-60/89, procedimento penale a carico di Jean Monteil e Daniel Samanni, par. 2, in Rass. di diritto farmaceutico, 1992, p. 715.
(4) http://www.lespezie.net/spezie-dintorni/bellezza-e-salute/541-sali-da-bagno-aromatici.html
(5) http://www.ministerosalute.it/cosmetici/paginaInternaCosmetici.jsp?id=169&menu=vigilanza
(6) L.K. DOSI, L’incerta disciplina dei prodotti abbronzanti, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2011, fasc. 6, pp. 590-594.
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Valentina Faziani
Laureata in Giurisprudenza presso l'Alma Mater Studiorum di Bologna, laurea magistrale a ciclo unico (LMG/01), con tesi in diritto agrario. Temi prediletti: farmacia, salute, agroalimentare, erboristeria, beni culturali, turismo, internazionale. Collaboratrice linguistica presso studio legale. Studentessa di traduzione legale. Lingue: inglese, francese e tedesco.
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- Cosmetici e medicinali: una dura demarcazione giuridica - 14 October 2017