Costituisce difetto assoluto di motivazione la mancata pronuncia sul 131bis
Sussiste il difetto assoluto di motivazione qualora all’esplicita richiesta di parte di escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto, non corrisponda la valutazione del giudice sulla sussistenza dei presupposti d’applicabilità dell’art. 131 bis.
Ciò è quanto stabilito dalla recente sentenza della Corte di Cassazione penale n. 34803, depositata il 10 agosto 2016.
La controversia nasce a seguito della condanna per violenza privata compiuta da un uomo in danno della propria fidanzata. Tale sentenza, parzialmente riformata in secondo grado, riconosceva prevalenti le attenuanti generiche, ex art. 62 bis c.p., sull’aggravante dell’uso delle armi, ex art. 399 c.p e lo condannava a soli due mesi di reclusione.
Successivamente, il legale difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione adducendo a motivo la carenza di motivazione della sentenza di secondo grado. La Corte d’appello di Catanzaro infatti, all’esplicita richiesta di questi, formulata direttamente in udienza, di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ometteva qualsiasi tipo di valutazione al riguardo.
La Cassazione accoglie il ricorso.
Deve preliminarmente sottolinearsi, infatti, come l’istituto in parola, introdotto dal d. lgs. n. 28 del 16 marzo 2015, rientra a pieno titolo tra le cause di non punibilità in senso stretto, il cui fondamento è ravvisabile sia nel principio di proporzionalità della pena che in quello di economia processuale, in virtù dei quali la sanzione è sempre più considerata l’extrema ratio del sistema.
La Cassazione ha inoltre evidenziato a più riprese come l’intervento legislativo costituisca lex mitior, in quanto tale suscettibile sia di applicazione d’ufficio (anche in caso di inammissibilità del ricorso – SS.UU. n. 46653 del 26/06/2016), che retroattiva ex art. 2, 4° comma del codice penale.
Ad avviso degli Ermellini, quindi, l’art. 131 bis, pur essendo entrato in vigore successivamente alla proposizione dell’appello, è comunque intervenuto prima della decisione di secondo grado, emessa il 29 aprile dello stesso anno. Sarebbe stato quindi possibile per la Corte d’appello applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Si ravvisano dunque gli estremi della carenza di motivazione, vizio tanto più grave ove si sottolinei come l’applicabilità dell’articolo 131 bis risulti “avulsa da predeterminati automatismi applicativi” e necessiti sempre quindi dell’ampio apprezzamento discrezionale ed autonomo del giudice.
Nel caso di specie in particolare, il difetto di motivazione risulta ancor più evidente, ove si noti come in astratto sia possibile ravvisare “per le modalità della condotta o per l’esiguità del danno o del pericolo” gli estremi della particolare tenuità del fatto.
Sostiene infatti la difesa come indici di tale tenuità siano costituiti in primis dall’esiguità del danno subito dalla vittima, ribadita e confermata anche dal quantum di pena in concreto inflitta.
Quest’ultima infatti, a seguito del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, risulta quasi pari al minimo edittale previsto dalla norma incriminatrice di parte speciale (art. 610 c.p.).
Ulteriore dimostrazione è costituita inoltre dalla successiva riconciliazione avvenuta tra i fidanzati, comprovata anche dalla circostanza che i due, al momento del ricorso, convivevano a seguito di matrimonio.
Riconosciutasi anche la mera occasionalità della condotta, la Cassazione deve quindi necessariamente escludere la palese non applicabilità del 131 bis c.p., ammettendo il vizio di difetto assoluto di motivazione in seno alla sentenza di secondo grado.
I giudici di Piazza Cavour ritengono dunque di dover accogliere il ricorso dell’imputato, annullando in parte qua la decisione della Corte di appello di Catanzaro e rinviando ad altra sezione per l’esame della sussistenza delle condizioni di applicabilità della causa di non punibilità.
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Serena Coscione
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