Covid-19 e deposito telematico degli atti difensivi nel procedimento penale: un punto di svolta dettato dalla prassi giudiziaria emergenziale?
Sommario: Premessa – 1. La posizione di generale preclusione – 2. Le aperture dettate dalla casistica giurisprudenziale – 3. Riflessioni conclusive: l’alba di una nuova prospettiva?
Premessa
La decretazione d’urgenza succedutasi nell’ambito delle misure di contrasto all’emergenza pandemica da Covid-19, finalizzata al contenimento dei suoi effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria[1], com’è ormai noto, ha affidato agli organi verticistici di ogni singolo Ufficio, sentite le competenti autorità sanitarie regionali ed i relativi Consigli dell’Ordine degli Avvocati, l’adozione di opportune misure organizzative anti assembramento, sia per quanto concerne l’attività logistica di cancelleria, che per quella legata alle modalità di svolgimento delle udienze.
Trascendendo il dibattito legato alla compatibilità del cosiddetto “Processo Penale Telematico” con il complesso di garanzie e princìpi statuito nell’ordinamento giuridico, una delle novità più significative in campo emergenziale è senz’altro consistita nella “digitalizzazione” degli atti difensivi.
L’esigenza di contingentare al massimo gli accessi nelle cancellerie ha portato i Capi degli Uffici giudiziari a stabilire, nei relativi decreti e protocolli d’intesa, quale modalità di deposito relativa agli atti difensivi procedimentali, la loro trasmissione telematica presso il dominio di posta elettronica certificata (cosiddetta “pec”) di ciascuna cancelleria competente, talvolta contemplando anche forme più snelle ma meno “garantistiche” quale l’uso della posta elettronica ordinaria (comunemente “e-mail”).
La forma di deposito “virtuale” assume ancor più importanza se si pensi che, adottata in via eccezionale come procedura “alternativa” al tradizionale deposito in originale cartaceo, diviene nella sostanza e nella maggioranza dei casi l’unica modalità possibile, riguardo all’attività processuale “ordinaria”, nell’arco temporale di sospensione giudiziale sanitaria. Infatti, sempre in chiave emergenziale, frequenti sono i provvedimenti Presidenziali di chiusura delle cancellerie al pubblico, con ingresso concordato e limitato esclusivamente al deposito “fisico” ed agli incombenti concernenti unicamente i procedimenti di cui all’art. 83 co.3 dell’attuale D.L. 17 marzo 2020, n. 18, non soggetti al regime sospensivo.
La “liberalizzazione” del deposito telematico in campo penale, seppur allo stato dettata da temporanee ed eccezionali esigenze emergenziali, rappresenta senz’altro una breccia nel consolidato orientamento di legittimità della Corte di Cassazione, volto ad escluderlo in via generale per quel che concerne l’attività difensiva, salvo circoscritte eccezioni.
Il presente contributo mira a far luce su quello che è il panorama giurisprudenziale pre emergenziale in tema, al fine di svolgere alcune riflessioni sulla confacenza dello strumento telematico digitale all’attività processuale difensiva “fuori udienza”.
1. La posizione di generale preclusione
Il tema del deposito telematico di atti difensivi è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, incontrando una decisa posizione di sfavore, così recentemente ed emblematicamente sancita: “Va ribadito che nel processo penale non è consentito alle parti private inviare mediante posta elettronica certificata atti di alcun genere[2]”. A sostegno di ciò, gli Ermellini hanno adottato diversi ordini di argomentazioni.
La ratio principale, fatta propria dal Giudice di Legittimità, di tenore maggiormente “letterale” fa leva sul dettato normativo di cui all’art. 16 comma 4 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179[3], convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria“.
Prevedendo espressamente il legislatore in via esclusiva forme telematiche per comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria, consistenti nell’utilizzo della posta elettronica certificata, eccetto che nei confronti dell’imputato, argomentando a contrario, gli Ermellini ad excludendum rilevano “[…] che per la parte privata, nel processo penale, l’uso di tale mezzo informatico di trasmissione non è – allo stato – consentito quale forma di comunicazione e/o notificazione, stante la preclusione alla adozione di forme di comunicazione non espressamente previste dalle disposizioni processuali […][4]”.
In altra pronuncia la Suprema Corte, facendo leva sulla diversità ontologica del processo civile rispetto a quello penale, ove solamente nel primo è prevista l’esistenza di un fascicolo telematico, si è spinta sino a definire l’atto difensivo depositato a mezzo pec “di fatto inesistente”.
In proposito, si è evidenziato come tale dematerializzazione necessiti di un sistema processuale altrettanto informatizzato, in grado di permettere a chiunque vi acceda la visibilità dell’atto digitale, la possibilità di effettuare un controllo della sua autenticità e sulle firme apposte, di verificare la legittimità temporale del deposito ed ogni altro aspetto correlato. In altre parole: il deposito telematico può esistere solo in ambito civile, ove è previsto un fascicolo d’ufficio altrettanto telematico. Di contra, in sede penale, essendo contemplato unicamente un carteggio fisico, l’atto per esser reso visibile e conoscibile a tutti i soggetti processuali, necessita per forza di cose dell’attività di stampa da parte della cancelleria[5].
Sulla scorta di tale ratio, la Cassazione ha proceduto a negare la legittimità dei depositi telematici in una variegata casistica processuale.
È stata dichiarata l’inammissibilità della lista testimoniale depositata a mezzo pec, poiché tale forma onera a sua volta la cancelleria a stampare e conferire nel fascicolo cartaceo tale atto, con possibile contrazione dei termini di cui all’art.468 co.1 c.p.p. ed evidenti compromissioni del diritto di difesa[6].
Facendo leva sul principio di “tassatività delle forme d’impugnazione”, la Corte ha decisamente negato la legittimità del deposito telematico dell’atto di opposizione a decreto penale di condanna[7], nonché nel caso di impugnazione del provvedimento di rigetto del beneficio del gratuito patrocinio[8], precisando in quest’ultima evenienza come, nonostante la natura di matrice “civilistica” dettata dall’oggetto della controversia e legata alla materia dei compensi professionali, trattasi ad ogni buon conto di questioni attinenti l’esercizio del diritto di difesa nel processo penale e, di conseguenza, dovendosi attingere ai principi propri di questo sistema[9].
La tassatività del dettato di cui all’art.583 c.p.p., quanto alle modalità di deposito degli atti d’impugnazione, ha portato altresì la Suprema Corte a ritenere non ammissibile il ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza di riesame ex art.311 c.p.p., neppure in chiave “sanante”, allorquando venga effettuato ad abundantiam cumulativamente al classico deposito, ritenuto poi intempestivo[10]. Parimenti, si rinvengono pronunce concernenti l’illegittimo recapito pec dei motivi aggiunti in sede di gravame ex art.585 co.4 c.p.p., in quanto, secondo il quadro normativo, la scelta di un sistema telematico generalizzato è stata concepita dal legislatore unicamente in ambito processuale civile, ciò rappresentando quindi una sua esplicita ed insindacabile scelta[11].
Irricevibili e, di conseguenze, illegittimi sono stati dichiarati anche i depositi telematici di memorie difensive nel procedimento innanzi alla Corte di Cassazione[12], così come delle istanze di rimessione in termini[13].
2. Le aperture dettate dalla casistica giurisprudenziale
Il generale atteggiamento “diffidente” avverso l’utilizzo del mezzo elettronico in chiave difensiva, quantomeno nell’ambito dell’attività di cancelleria, viene tuttavia mitigato dalla casistica giurisprudenziale che, inseritasi in via d’eccezione rispetto al criterio restrittivo ordinario, ha permesso di far cogliere gli effetti positivi del recapito telematico, in termini di celerità, praticità ed economicità.
In questo solco si è inserito l’orientamento che ha dichiarato pienamente ammissibile e legittima, in materia di revoca-modifica della misura cautelare, la comunicazione della relativa istanza via pec al difensore della persona offesa, ai sensi dell’art. 299 co.4-bis c.p.p..
La Suprema Corte, a questo proposito, ha osservato come la previsione di cui all’art.16 comma 4 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 – concernente l’indirizzo restrittivo evidenziato in precedenza – disciplini unicamente l’utilizzo della pec per le comunicazioni e notificazioni della cancelleria alle parti, prevedendo l’inderogabilità della modalità cartacea nei confronti dell’imputato. Tale preclusione, tuttavia, non impedisce affatto l’utilizzo della forma telematica per notificazioni e comunicazioni tra gli altri soggetti processuali[14].
Riguardo ai rapporti tra le difese delle parti private, il combinato disposto di cui all’art.152 c.p.p. – che prevede in questi casi la possibilità dell’invio dell’atto da notificare tramite raccomandata con avviso di ricevimento – ed art.48 del D. Lgs. n.82 del 2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale) – il quale equipara la trasmissione mediante posta elettronica certificata a quella tramite raccomandata – rende pienamente legittimo l’utilizzo del mezzo informatico per le comunicazioni e notificazioni, garantendosi in tale senso l’esigenza di conoscibilità dell’atto recapitato[15].
Parimenti legittimo, nel procedimento cd. di “Daspo” del Questore ai sensi dell’art.6 L. n. 401/1989, è stato ritenuto dalla Cassazione il deposito telematico di memorie e deduzioni al Gip competente in sede di convalida del provvedimento di divieto; facoltà difensiva prevista dall’art.6 co.2-bis della medesima norma.
L’utilizzo della posta elettronica certificata, osserva la Suprema Corte, è dettato dalle peculiarità di tale procedimento, contraddistinto dal carattere informale e cartolare che lo differenzia rispetto al processo penale, nonché dalla formula “aperta” dell’art.6 co.2-bis, che ammette modalità ulteriori rispetto al classico deposito cartaceo in cancelleria[16].
Aperture si sono altresì registrate con riguardo al recapito tramite pec dell’istanza difensiva di rinvio per legittimo impedimento, sia esso del difensore o dell’imputato, seppur con qualche riserva. Infatti, la Cassazione ha ritenuto in questa occasione che l’utilizzo della modalità telematica, in luogo della cartacea, sebbene non renda aprioristicamente l’istanza irricevibile o inammissibile, vincola il giudice a valutarla solamente qualora ne abbia avuto effettiva conoscenza. Pertanto, incombe sul difensore l’onere di verificare che l’atto sia confluito effettivamente e tempestivamente in copia cartacea nel fascicolo d’ufficio[17].
Recentemente è stata confermata la piena ammissibilità dell’invio telematico avente ad oggetto l’istanza di rinvio del difensore, per adesione all’astensione dalle udienze proclamata dalle associazioni di categoria.
Gli Ermellini, confermando il precedente orientamento sul tema[18], hanno avuto modo di evidenziare la natura di lex specialis del “Codice di Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, il quale all’art.3 prevede la possibilità di “trasmettere” o “depositare” nella cancelleria competente l’adesione scritta: tale formulazione, osserva la Corte, è omnicomprensiva di qualsiasi modalità idonea a manifestare per iscritto al Giudice la volontà del difensore d’astenersi[19].
3. Riflessioni conclusive: l’alba di una nuova prospettiva?
L’analisi giurisprudenziale ha mostrato come, in realtà, l’atteggiamento rigoroso assunto dalla Suprema Corte nel respingere ogni tentativo di ammissibilità generale del mezzo telematico in ambito difensivo, sia “ripensabile” non solo grazie alle prassi giudiziarie adottate in sede emergenziale, ma altresì alla luce delle stesse argomentazioni giuridiche mosse proprio dalla Corte di Cassazione per ammettere la trasmissione digitale, nelle ipotesi ritenute d’eccezione ed esposte al paragrafo che precede.
L’orientamento preclusivo – in particolare Cass. Pen., Sez. III, n.37126, 5 sett. 2019, infra paragrafo II – secondo cui l’art. 16 comma 4 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 avrebbe consentito l’utilizzo generalizzato di comunicazioni e notificazioni telematiche esclusivamente per le cancellerie, eccetto quando il destinatario sia rappresentato dall’imputato, può esser “rivisitato” al cospetto delle considerazioni giuridiche svolte dagli stessi Ermellini per ammettere tale modalità di deposito relativamente ad alcuni atti.
Il particolare riferimento è alla tesi che vede contenere la portata precettiva di cui all’art.16 co.4 citato – Cass. Pen., Sez. II, n. 6320, dep. Il 10 feb. 2017, infra paragrafo III, nota n.14 -, osservando come la norma abbia unicamente inteso regolamentare le modalità di comunicazione e notificazione da parte della cancelleria. Pertanto, non vi sarebbe alcun aprioristico impedimento a che le altre parti processuali possano servirsi della posta elettronica certificata.
Le diversità ontologiche del processo penale rispetto a quello civile ravvisate dalla più rigorosa giurisprudenza per negare la legittimità del deposito pec – in particolare Cass. Pen., Sez. III, n. 50932, 11 lug. 2017, infra paragrafo II, nota n.5-, legate all’assenza di un fascicolo elettronico, così come della possibilità di permettere un accesso telematico teso alla visualizzazione istantanea degli atti depositati, alla verifica sulla regolarità della trasmissione e l’autenticità delle firme apposte, sono state ovviate dalla prassi emergenziale.
La circostanza, infatti, di veder la cancelleria onerata di stampare una copia cartacea dell’atto informatico, al fine di farla confluire nel fascicolo processuale, non può esser ostativa in tal senso poiché, ad ogni modo, anche al cospetto del deposito cartaceo tradizionale il funzionario giudiziario deve accedere al fascicolo di ufficio per collocare materialmente il carteggio difensivo, ovvero sottoporlo fisicamente al giudicante allorquando trattasi di istanze.
D’altronde, anche nel processo civile telematico l’atto digitale non è immediatamente visibile alle parti, necessitandosi pur sempre di un’ulteriore attività del cancelliere, il quale provvede a trasferire il file pervenuto alla sua consolle nel fascicolo di ufficio.
Sull’autenticità dell’atto, va ricordato come la modalità telematica preveda un apposito vaglio di certificazione, posto che ogni dominio pec viene rilasciato a seguito di comprovate verifiche sull’identità del difensore fruitore ed ogni singolo messaggio è dotato di un codice identificativo univoco. A ciò aggiungasi la possibilità di firmare l’atto digitalmente, in luogo di una firma grafica meramente scannerizzata, utilizzando un dispositivo elettronico dotato di una scheda sim – con apposito pin di accesso e codice puk per il recupero della funzionalità -, dotando così il file di un doppio livello di sicurezza (la trasmissione mediante un dominio di posta certificato, la sottoscrizione personalizzata dell’atto).
La tempestività dell’atto, posto che il sistema civilistico prevede la legittimità del deposito nell’arco delle ventiquattro ore, può esser analogamente riferita all’orario d’apertura fisica della cancelleria, come adottato nella recente prassi eccezionale. La produzione difensiva viene così considerata depositata in giornata, se pervenuta nella fascia temporale lavorativa; in caso contrario è registrata il giorno feriale successivo.
Autenticità della firma e tempestività dell’atto, invero, sono elementi che possono analogamente esser valutati dalle parti: il cancelliere, infatti, nei suoi poteri certificativi, così come provvede ad attestare la data dei depositi cartacei e ad identificare il difensore che ha provveduto all’incombente, altrettanto può procedere a riportare ufficialmente sulla copia stampata il dominio pec di provenienza dell’atto, nonché l’autenticità della firma telematica ivi apposta e verificata tramite un comune programma di lettura dei file di testo non modificabili.
Le presenti considerazioni vengono altresì mutuate e legittimate dall’orientamento della Suprema Corte che, ammettendo esplicitamente la legittimità dell’inoltro via fax della lista testimoniale ex art. 468 c.p.p., osserva decisamente[20]: “non può non condividersi l’osservazione che anche l’invio mediante fax o altro strumento telematico pienamente assolve, in ipotesi di corretto inoltro alla cancelleria del giudice che procede e di completa ricezione, alla funzione di comunicazione all’ufficio ed agli interessati di quanto trasmesso”.
Tali innovazioni, sempre secondo la Corte, rispondono alla “esigenza di una interpretazione sistematica meno legata a schemi formalistici e più rispondente alla evoluzione della disciplina delle comunicazioni e delle notifiche (di cui sono espressione l’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, e il D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24), oltre che a evidenti esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo”.
Relativamente al controllo sulla provenienza e ricezione dell’atto, ricordano gli Ermellini: “da un lato, che le indicazioni automaticamente impresse sul documento ricevuto dall’ufficio sono idonee ad assicurare l’autenticità della provenienza dal difensore, peraltro facilmente controllabile dall’ufficio, almeno quanto l’indicazione del mittente su missiva raccomandata (che pure è sufficiente per l’espletamento di formalità ben più significativa quale la presentazione dell’atto d’impugnazione); dall’altro che il telefax è “strumento tecnico che dà assicurazioni in ordine alla ricezione dell’atto da parte del destinatario, attestata dallo stesso apparecchio di trasmissione mediante il cosiddetto OK o altro simbolo equivalente” (cfr. Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250121, a proposito dell’art. 148 c.p.p., comma 2 bis, nonchè, più in generale, Sez. U, 40187 del 27/03/2014, Lattanzio, avviso di decisione)[21]“.
Se, dunque, l’inoltro a mezzo fax è stato ritenuto idoneo a garantire all’atto la conoscibilità, così come la sua esatta provenienza, a maggior ragione lo è il sistema di posta elettronica certificato, con un doppio livello di sicurezza dato dalla possibile concomitanza della firma digitale, nonché la presenza di un codice univoco identificativo per ciascun messaggio elettronico recapitato.
Analoghe considerazioni vanno poste in essere per quel che concerne il mezzo di trasmissione della raccomandata con ricevuta di ritorno, la cui modalità, specie per quel che concerne gli atti impugnativi, viene ritenuta dalla Corte tassativamente prevista insieme al telefax, senza possibilità di estensione analogica o equiparazioni di sorta[22].
Per questo profilo, non paiono sussistere insormontabili ostacoli normativi all’utilizzo del deposito telematico, posto che l’art.48 del Codice dell’Amministrazione Digitale (Decreto legislativo del 07/03/2005 n° 82, G.U. 16/05/2005)[23] ha stabilito l’equiparazione della trasmissione informatica via posta elettronica certificata a quella tramite raccomandata.
Né costituisce argomento decisivo la clausola ivi contenuta: “salvo che la legge disponga diversamente”, posto che tale esclusione deriverebbe da una norma nata in epoca remota rispetto all’evoluzione tecnologica di tale modalità trasmissiva.
Secondo un criterio interpretativo “teleologico”, ben può dirsi confacente alle esigenze di certezza trasmissiva ed autenticità dell’atto difensivo l’utilizzo della posta elettronica certificata, divenendo irragionevole interpretare come legislativamente inammissibile tale strumento, nonostante le sue maggiori garanzie rispetto alla raccomandata ed al telegramma.
D’altro canto, anche volendo rigorosamente interpretare il dettato codicistico processuale, come parte della Suprema Corte impone sulla questione, l’art.48 del Codice dell’Amministrazione Digitale si concilierebbe con il dettato dell’art.583 c.p.p. rubricato “Spedizione dell’atto di impugnazione”. Dal combinato disposto delle due norme, potrebbe trarsi la considerazione che vede nell’invio dell’atto tramite posta elettronica certificata la naturale evoluzione della raccomandata e del telegramma. Sotto quest’aspetto, dunque, la trasmissione telematica rappresenterebbe la modalità elettronica tra quelle d’invio prescritta dal legislatore nell’art. 583 c.p.p..
L’auspicabile sdoganamento della posta elettronica certificata, inoltre, risponderebbe anche ad esigenze di praticità, nella misura in cui ridurrebbe la presenza fisica nelle cancellerie, prevenendo file e rallentamenti all’attività dei funzionari, oltre che di celerità data dall’inoltro istantaneo dell’atto. Il tutto con effetti favorevoli anche in termini di economicità, evitando di conseguenza spostamenti fisici, spesso anche presso altri circondari, per la sola incombenza del deposito cartaceo.
In considerazione degli indubbi vantaggi dello strumento elettronico in ordine alla trasmissione degli atti difensivi, si auspica quindi che la Corte di Cassazione possa avallarne l’utilizzo generalizzato, dando seguito temporale alle prassi giudiziarie legittimate solamente dalla normativa emergenziale e per tale periodo.
Segnali favorevoli in questo senso sono recentemente giunti, grazie al “Protocollo di intesa Cassazione, Procura Generale e CNF – FORMAT per l’invio degli atti” del 16 aprile 2020[24], il quale potrebbe rappresentare il preludio della svolta telematica in materia difensiva.
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[1] Art.2 commi 1 e 2 D.L. 8 marzo 2020, n. 11, recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria.” (GU n.60 del 8-3-2020) e succ. art.83 commi 6 e 7 D.L. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” (GU n.70 del 17-3-2020).
[2] Cass. Pen., Sez. III, n.37126, 5 sett. 2019; cfr. Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443; Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P., Rv. 270702; Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep. 16/03/2018, Gallo, Rv. 272781.
[3] D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (GU n.245 del 19-10-2012), convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 (G.U. 18/12/2012, n. 294), Sez. IV “Giustizia Digitale”, art.16 “Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica”.
[4] Cass. Pen., Sez. III, n.37126/2019, cit.
[5] “Mentre nel processo civile il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è sostanzialmente ormai concluso, in quello penale non è stato neppure avviato: l’art.16-bis ha infatti disposto che il deposito degli atti afferenti al procedimento monitorio e a quelli cd. endoprocessuali del procedimento contenzioso civile, e cioè successivi a quelli di instaurazione della controversia, debba essere obbligatoriamente effettuato in via telematica, sia pure dopo una prima fase cd. transitoria in cui il deposito telematico era previsto solo in via facoltativa, ovverosia lasciando aperta l’opzione con il deposito tradizionale in forma cartacea. Non essendo stata dettata alcuna analoga disposizione per il procedimento penale, alla parte privata non è conseguentemente consentito nel suddetto processo l’uso di tale mezzo informatico per la trasmissione dei propri atti ad altre parti né per il deposito presso gli uffici, restando l’utilizzo della posta elettronica certificata riservato, come si è visto, alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni e gli avvisi ai difensori disposte dall’Autorità giudiziaria, giudice o pubblico ministero che sia. D’altra parte l’inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti, rende l’atto depositato a mezzo PEC di fatto anch’esso inesistente, necessitando per essere visibile in concreto dell’attività di stampa da parte della cancelleria che dovrebbe comunque inserire il documento nel fascicolo d’ufficio, di formazione e composizione esclusivamente cartacea.” (Cass. Pen., Sez. III, n. 50932, 11 lug. 2017).
[6] “La trasmissione della lista a mezzo posta elettronica certificata onera la cancelleria che la riceve della attività di stampa e materiale deposito dell’atto con modalità nemmeno temporalmente scandite, con conseguente possibilità di ulteriore abbreviazione del termine previsto dall’art. 468, comma 1, cod. proc. pen.. La lista testimoniale non è indirizzata solo al giudice, ma anche alle parti che possono chiedere di essere ammessi a prova contraria e devono essere messe in condizione di farlo. L’inesistenza, nel processo penale, di un fascicolo informatico impedisce alle altre parti di accedervi in tempo reale e consultare immediatamente gli atti depositati con modalità telematiche.” (Cass. Pen., Sez. III, n. 6883 del 26 ott. 2016).
[7] “È inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di Posta Elettronica Certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell’assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno” (Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 21056, 23 genn. 2018).
[8] Da ultimo la recente Cass. Pen., Sez. IV, n. 10682 udienza del 19 dic. 2019.
[9] “Nelle controversie sui compensi primeggia il rilievo della natura squisitamente civilistica, patrimoniale, della causa, Invece, nel distinto contesto (che qui interessa) delle controversie sull’ammissione alla fruizione al diritto alla difesa gratuita ed alla revoca di tali atti, pur non difettando certamente un profilo patrimoniale, acquista un importante peso il fatto che il diritto di cui si discute si riverbera in primo luogo sull’effettivo esercizio del diritto di difesa nel processo penale. In tale ambito, dunque, appare razionale ritenere che il carattere accessorio della controversia rispetto al processo penale debba orientare ad attingere, fin dove possibile, ai principi ed alle regole dell’ordinamento penale” (Cass. Pen., Sez. IV, n. 20087 del 29 apr. 2010).
[10] “[…] tale modalità di trasmissione non è valida perché consentita unicamente per la trasmissione delle comunicazioni alle parti diverse dall’imputato ai sensi dell’art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, convertito con modificazioni nella I. n. 221 del 17 dicembre 2012 e, pertanto, non può avere alcuna efficacia sostitutiva della modalità di presentazione prescritta o efficacia sanante. Secondo l’orientamento di questa Corte detto mezzo è, infatti, riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria» (Sez 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272741)”. (Cass. Pen., Sez. IV, n. 44379 dep. Il 30 ott. 2019).
[11] “[…] si evince chiaramente la volontà del legislatore di consentire l’utilizzo della PEC nel processo penale alle sole Cancellerie: risultato, questo, di una scelta discrezionale e non sindacabile in questa Sede, perché rispondente ad un complessivo, e non irragionevole, apprezzamento delle diverse problematiche legate alla concreta ed attuale funzionalità dei servizi di cancelleria e delle potenzialità di impiego ed utilizzo delle relative strutture organizzative.” (Cass. Pen., Sez. VII, Ordin. n. 42203 dep. Il 15 ott. 2019).
[12] Cass. Pen., Sez. III, Sent. n. 48584, dep. il 17 nov. 2016.
[13] Cass. Pen., Sez. I, Sent. n. 18235, dep. il 30 apr. 2015.
[14] “[…] dal menzionato art. 16 non può trarsi la conseguenza secondo cui le parti private nel processo penale non possono mai fare ricorso alla PEC. Il D.L. 16 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, infatti, è diretto a disciplinare l’utilizzo della PEC da parte delle cancellerie, come reso evidente dallo stesso tenore letterale della disposizione. Esso statuisce che, mentre nei procedimenti civili tutte le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata secondo la normativa stabilita in tema di documenti informatici, nei processi penali, invece, la cancelleria può effettuare le notifiche con la PEC solo se l’atto è diretto a persona diversa dall’imputato. Tale norma, dunque, laddove prevede la possibilità della notificazione a mezzo PEC a “persona” diversa dall’imputato, sottende la volontà del legislatore di sottrarre a questo strumento di notifica, ma anche evidentemente ad altri analoghi, come il telefax, la notifica effettuata direttamente alla persona fisica dell’imputato […] Di contro, destinatari della notifica a mezzo PEC possono essere i difensori, le persone offese, le parti civili, i responsabili civili, i civilmente obbligati per la pena pecuniaria, ecc.: in sintesi, tutti coloro che prendono parte ad un processo penale e che non assumono la qualità di imputato.
È evidente allora che l’unico divieto che può trarsi dal citato art. 16 è quello dell’inutilizzabilità della notifica a mezzo PEC a cura della cancelleria, qualora il destinatario sia l’imputato (persona fisica).” (Cass. Pen., Sez. II, n. 6320, dep. Il 10 feb. 2017).
[15] Nell’ambito delle notificazioni tra le difese dell’imputato e della persona offesa “Per essa devono ritenersi applicabili l’art. 152 c.p.p. e il D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 48 e successive mod. (c.d. Codice dell’amministrazione Digitale) […] Sulla base dell’art. 48 dell’anzidetto Codice la notifica a mezzo PEC è equiparata alla notifica per mezzo della posta, salvo che la legge non disponga altrimenti; equivalenza che, come è di facile rilievo, trova la sua ragione nel fatto che la PEC offre le medesime certezze della raccomandata in ordine all’identificazione del mittente e all’avvenuta ricezione dell’atto (documentabile, in caso della PEC, attraverso la produzione del rapporto di consegna al destinatario e ricevuta di accettazione). In tale contesto normativo deve allora ritenersi che la lettera raccomandata, di cui può avvalersi il difensore ai sensi dell’art. 152 c.p.p., può essere sostituita dalla comunicazione a mezzo PEC, con la conseguenza che, nel caso in esame, la notifica effettuata a mezzo PEC dal difensore dell’imputato al difensore della persona offesa ex art. 299 c.p.p., deve ritenersi validamente effettuata. Tale conclusione consente di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa, sottese all’art. 299 c.p.p., non essendo dubitabile che la comunicazione a mezzo PEC costituisce uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione.” (Cass. Pen., Sez. II, n. 6320, dep. Il 10 feb. 2017).
[16] “La complessità dell’argomento si arricchisce della peculiarità del procedimento afferente al cd. DASPO, in ordine al quale questa Corte, nel manifestare apertura a forme di comunicazione ulteriori rispetto al rituale deposito presso la cancelleria o segreteria dell’AG, come la pec o il fax (cfr. sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017 Rv. 272692 – 01 Barzanti; nel medesimo senso, per l’ammissibilità dell’invio delle comunicazioni difensive a mezzo fax Sez. 3, n. 5621 del 08/07/2016 (dep. 07/02/2017) Rv. 269304 – 01 Sangrelli) ha valorizzato a tali fini, in maniera condivisibile, l’autonomia, nonché il carattere informale e cartolare che tale procedura (di prevenzione) assume rispetto al processo penale e la necessità di regole che assicurino comunque le esigenze della difesa in materia di libertà personale, nella ristrettezza dei tempi stabiliti (ad horas) per la convalida. Tanto più alla luce della previsione per cui l’art. 6, comma 2-bis, legge n. 401 del 1989 prevede la facoltà di presentare memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida senza tuttavia prescrivere espressamente che essa debba essere esercitata mediante deposito nella cancelleria. Si aggiunga, inoltre, la circostanza per cui l’art. 48 D.L.vo 7 marzo 2005, n. 82 – ‘Codice dell’amministrazione digitale’ – così come modificato dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 – equipara la posta elettronica certificata (P.E.C.) alla trasmissione postale a mezzo di lettera raccomandata. Va quindi anche precisato, alla luce di quest’ultima considerazione, che l’ammissibilità della pec, che va riconosciuta in ordine alla procedura in esame, in ogni caso può consentire di ritenere la medesima produttiva di effetti solo se pervenuta alla cancelleria del giudice competente per la convalida” (Cass. Pen., Sez. III, Sent. n. 11475, ud. 17 dic. 2018).
[17] In tal senso Cass. Pen., Sez. V, Sent. n. 48892 del 25 ott. 2018, la quale osserva: “A fronte di un indirizzo più restrittivo, secondo cui nel processo penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata (Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P. Rv. 270702, resa in fattispecie relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo p.e.c. dal difensore di fiducia dell’imputato), l’orientamento più elastico assimila la soluzione a quella prevalsa nella giurisprudenza a proposito della trasmissione a mezzo fax. Tali pronunce ritengono pur sempre che la richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento del difensore, inviata a mezzo posta elettronica in cancelleria, non sia di per sé irricevibile o inammissibile, e che il ricorso a tale irregolare modalità di trasmissione comporti l’onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell’omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all’attenzione del giudice procedente. (Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963; Sez. 6, n. 35217 del 19/04/2017, C, Rv. 270912; Sez.2, n.53692 del 23/11/2017, Ishlyamski, in motivazione). Della correttezza di tale orientamento in tema di necessità di controllo circa l’effettiva trasmissione tempestiva al Giudice procedente dell’istanza non è consentito dubitare almeno nel caso in cui si tratti di un impedimento dell’imputato, perché il difensore non può certamente esonerarsi dal dovere di diligenza di verificare la circostanza, come pure da quello di sostenere e difendere le ragioni dell’istanza dinanzi al Giudice, nel contraddittorio delle altre parti processuali.”.
[18] Cass. Pen., Sez. IV, Sent. n. 35683 del 06 giu. 2018 – dep. 26 lug. 2018, Scagli, Rv. 27342401.
[19] “[…] trattandosi di istanza di rinvio per adesione del difensore all’astensione di categoria, deve trovare applicazione – in base ai criteri di specialità – la norma posta dalla fonte speciale diretta a regolare la specifica materia, ossia l’art. 3 del vigente codice di autoregolamentazione che stabilisce che l’atto contenente la dichiarazione di astensione sia “trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero”. Risulta chiaro che con questa locuzione la norma abbia esplicitamente previsto, oltre al tradizionale deposito, anche la trasmissione nella cancelleria o segreteria con qualsiasi mezzo tecnico idoneo – quale normalmente il telefax ovvero altro mezzo equipollente – ad assicurare la provenienza della comunicazione dal difensore e l’arrivo della stessa nella cancelleria o nella segreteria. Del resto una simile soluzione si impone non solo sulla scorta di una interpretazione letterale (dal momento non è previsto il rispetto di formalità particolari, potendo la comunicazione e il deposito avvenire con qualsiasi mezzo e forma, mentre laddove siano richieste forme vincolate, il legislatore lo ha previsto espressamente, come, ad esempio, per l’art. 162 c.p.p.: cfr. Sez. 3, n. 10637 del 20/01/2010, Barillà, cit.), ma anche da una interpretazione conforme ai principi costituzionali in tema di diritto di difesa e diritto al contraddittorio e, comunque, da una interpretazione sistematica più rispondente alla evoluzione del sistema delle comunicazioni e notifiche (cfr. art. 148 c.p.p., comma 2 bis; D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24) nonché alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo. […] Alla luce della norma speciale attualmente in vigore, pertanto, la dichiarazione del difensore di astensione fatta pervenire a mezzo PEC alla cancelleria del giudice procedente, deve ritenersi ricevibile ed ammissibile.” (Cassazione Pen., Sez. II, Sent. n. 4655, dep. il 4 feb. 2020).
[20] Cass. Pen., Sez. II, n. 23343, dep. Il 6 giu. 2016.
[21] Cass. Pen., n. 23343, cit.
[22] Cass. Pen., Sez. IV, Sentenza n. 21056, 11 mag. 2018.
[23] “Art. 48. Posta elettronica certificata. La trasmissione telematica di comunicazioni che necessitano di una ricevuta di invio e di una ricevuta di consegna avviene mediante la posta elettronica certificata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, o mediante altre soluzioni tecnologiche individuate con le Linee guida. La trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta. La data e l’ora di trasmissione e di ricezione di un documento informatico trasmesso ai sensi del comma 1 sono opponibili ai terzi se conformi alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ed alle relative regole tecniche, ovvero conformi alle Linee guida.”.
[24]http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Protocollo_di_intesa_CSC_PG_CNF-format_invio_atti.pdf”.
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