Covid-19 e sinallagma contrattuale: rinegoziazione secondo buona fede
La pandemia di Covid-19 che ha duramente colpito l’Italia sul piano non solo economico, ma anche umano, pur nella sua drammaticità, non può al contempo non indurre gli studiosi e gli operatori del diritto ad interrogarsi su talune problematiche che il virus ha portato con sé.
Il lockdown e con esso le restrizioni alla libertà personale dei cittadini per ragioni di tutela della salute pubblica hanno inevitabilmente avuto ripercussioni sui traffici giuridici e, segnatamente, sull’esecuzione dei negozi il cui mancato o inesatto adempimento introduce, anzitutto, la tematica della responsabilità contrattuale.
Tale responsabilità, in virtù del combinato disposto degli artt. 1176 e 1218 c.c., é centrata sulla colpa e pone a carico del debitore, convenuto in giudizio dal creditore per il risarcimento del danno da questi sofferto, l’onere di provare giustappunto di essere esente da codesta colpa, ovverosia che la mancata o inesatta esecuzione della prestazione é dipesa dal casus, inteso come evento non prevedibile né evitabile concretamente con la dovuta diligenza.
Quest’ultima, che di volta in volta può essere la diligenza normale del buona padre di famiglia o debitore comune ovvero quella qualificata del debitore professionale, assume la duplice accezione di criterio determinativo sia della prestazione sia della responsabilità.
Nel primo caso, indica il modello di precisione e di abilità cui il debitore deve tendere nell’attività di adempimento dell’obbligazione e, invece, nel secondo, lo sforzo tecnico e volitivo che deve essere profuso dal debitore stesso per non incorrere nella responsabilità in oggetto.
Ne consegue che é decisamente più elevato l’impegno richiesto al debitore professionale dall’art. 1176, co. 2 c.c. a mente del quale la colpa rileva non tanto come negligenza o imprudenza, quanto piuttosto come imperizia, rectius impreparazione tecnica.
La diligenza, testé configurata, a sua volta va tenuta distinta dal principio di buona fede oggettiva che rileva nella genesi come pure nell’esecuzione del contratto.
Durante le trattative o fase precontrattuale, il suddetto principio si traduce nell’obbligo di lealtà e correttezza ex art. 1175 c.c., mentre, in quella attuativa del rapporto contrattuale, nell’obbligo di ciascuno dei contraenti di attivarsi per salvaguardare la sfera giuridica dell’altro, entro i limiti comunque di un apprezzabile sacrificio sul piano personale o economico.
Orbene, come già teorizzato dall’antica Scuola dei Commentatori, il vincolo contrattuale si considera assunto rebus sic stantibus, cioè nel rispetto del programma che le parti stesse hanno in origine concordato, contemperando i rispettivi interessi e sintetizzandoli nella causa concreta la quale allora, in una logica di equilibrio tra le prestazioni, riflette il sinallagma contrattuale.
Ciascuno dei paciscenti assume diritti e obblighi verso l’altro perché ritiene che l’affare pianificato gli procurerà un vantaggio, ma potrebbe anche accadere che la convenienza del suddetto affare sia poi inferiore alle aspettative, se non addirittura nulla per via di sopravvenienze che alterano l’equilibrio contrattuale originario e tra le quali ben potrebbe annoverarsi una pandemia.
In primis, pare vi siano le basi della risoluzione di diritto per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. dato che, non potendo più il debitore eseguire la sua prestazione per un evento sopravvenuto non imputabile a dolo né a colpa di alcuna delle parti, il creditore é parimenti svincolato dall’obbligo di eseguire la controprestazione e allora il contratto sinallagmatico si risolve ipso iure, alla luce dell’irrealizzabilità della sua causa concreta.
D’altro canto, un ulteriore strumento rimediale potrebbe essere la risoluzione giudiziale per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., muovendo dal presupposto che una pandemia, a dispetto di altri fattori come, ad esempio, fisiologiche fluttuazioni del mercato, é una sopravvenienza del tutto straordinaria ed imprevedibile che trascende i limiti della normale alea del contratto, vale a dire del normale margine di rischio economico insito in ogni operazione negoziale.
A tal proposito, l’ultimo comma del suindicato articolo consente alla parte non onerata, contro la quale si agisce in giudizio per sciogliere il contratto, di garantirne la conservazione, modificandone equamente le condizioni e, dunque, ripristinandone l’iniziale equilibrio.
Centrale, pertanto, è proprio l’idea di equilibrio normativo ed economico nell’ambito del regolamento contrattuale che le parti hanno prestabilito e la rinegoziazione alla luce di fatti sopravvenuti é un utile mezzo per la salvaguardia di tale equilibrio.
Si potrebbe inserire nel contratto una clausola di hardship, funzionale proprio a rinegoziare i patti per via di cause sopravvenute, non imputabili ai contraenti e che impediscono loro di adempiere alle rispettive obbligazioni.
Infine, occorre chiedersi di quale tutela possa avvalersi la parte danneggiata da sopravvenienze eccezionali, quando non é stata pattuita alcuna clausola di hardship né vi sono i presupposti per un’equa modifica del contratto a mente dell’art. 1467, co. 3 c.c.
In questo frangente può entrare in gioco l’art. 1375 c.c. ai sensi del quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede la quale, come anticipato, in executivis impone a ciascuno dei contraenti di attivarsi per proteggere l’utilità dell’altro, posto che ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a livello personale o economico.
Perciò, se gravi sopravvenienze quali ad esempio calamità naturali, fatti bellici o pandemie alterano l’equilibrio contrattuale a nocumento di una parte del contratto in essere, l’altra, in conformità al principio di buona fede e a prescindere da un’espressa previsione normativa o pattizia, é tenuta ad una rinegoziazione il cui rifiuto illegittimo potrebbe altresì condurre il contraente onerato ad avvalersi degli ordinari rimedi contro l’inadempimento tipizzati dall’art. 1453 c.c.
Alla luce delle predette considerazioni, la buona fede oggettiva, logico corollario del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. nei rapporti tra i consociati, si riassume in regole comportamentali non scritte di lealtà e correttezza le quali da un lato concretizzano esigenze di giustizia sostanziale e, dall’altro, integrano efficacemente, senza violarlo, il principio liberale di intangibilità della volontà contrattuale delle parti.
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Jacopo Bracciale
Dopo aver conseguito la maturità classica con una votazione finale di 100/100, mi sono laureato cum laude in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Teramo con una tesi in Teoria generale del diritto dal titolo "Il problema dei principi generali del diritto nella filosofia giuridica italiana". In seguito, ho svolto con esito positivo presso il Tribunale di Teramo il tirocinio formativo teorico - pratico di 18 mesi ex art. 73 D.L. 69/2013 : per un anno nella Sezione Penale e, nei restanti sei mesi, in quella Civile. Parallelamente ho frequentato e, ancora oggi, frequento il corso di Rocco Galli per la preparazione al concorso in magistratura. Dal mese di novembre del 2020 collaboro con la rivista scientifica Salvis Juribus come autore di articoli di diritto civile, penale ed amministrativo.