Covid 19: imputazione per epidemia colposa e conseguenze penali
Quotidianamente veniamo a conoscenza attraverso i media nazionali di episodi in cui cittadini italiani contagiati da covid-19 ed obbligati alla quarantena domiciliare, disobbedendo alle misure di distanziamento sociale previste dal governo, escono dalle loro abitazioni e si muovono all’interno delle loro città e del Paese; gli stessi dopo essere stati sottoposti ai controlli delle forze di polizia vengono denunciati per epidemia colposa. Ma quali sono le conseguenze di questa imputazione?
Innanzitutto è opportuno sottolineare che il soggetto che si allontani dall’abitazione senza giustificato motivo incorre anche nelle ulteriori denunce per: inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 650 c.p.); falsa attestazione in autocertificazione (art. 76 D.P.R. 445/2000 e art. 495 c.p.).
Ciò premesso è il momento di analizzare la più grave condotta antigiuridica e che ha le maggiori capacità di ledere l’interesse pubblico : la condotta di colui che ha in sé i germi patogeni e che inserendosi all’interno di luoghi pubblici ha la capacità di contagiare molteplici individui.
Il delitto di epidemia è disciplinato dall’art. 438 c.p. all’interno del titolo VI relativo ai delitti contro l’incolumità pubblica. Il titolo VI del codice penale tutela la salute pubblica, intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, diritto avente rilevanza costituzionale (art. 32Cost.).
La fattispecie colposa del delitto di epidemia è regolata dall’art. 452 c.p. il quale prevede per il colpevole la pena della reclusione da uno a cinque anni, che aumenta da tre a dodici anni se il comportamento cagiona la morte di persone. Elementi costitutivi del reato di epidemia colposa sono: la diffusione, la diffusibilità, l’incontrollabilità del diffondersi del male in un determinato territorio e su un numero indeterminato o indeterminabile di persone. L’elemento psicologico del reato colposo di epidemia consiste nella diffusione (per negligenza, imperizia o inosservanza di disposizioni) di germi che l’agente conosce come patogeni, senza l’intenzione di cagionare un’epidemia.
Sia i reati dolosi che quelli colposi contro la salute pubblica devono essere annoverati tra i reati di pericolo, essendo sufficiente che il fatto di reato abbia in sé l’attitudine a produrre nocumento alla pubblica salute. E’ dunque sufficiente la concreta capacità di distruggere o diminuire la salute pubblica o che la condotta provochi una ulteriore propagazione della malattia. E’ ovvio che l’obiettivo principale della norma è quello di evitare il diffondersi del morbo attraverso l’aumento del numero dei contagi.
Sul tema è importante fare riferimento ad una recente pronuncia della Corte di Cassazione la quale ha affermato che “ai fini della configurabilità del reato di epidemia può ammettersi che la diffusione dei germi patogeni avvenga anche per contatto diretto fra l’agente, che di tali germi sia portatore, ed altri soggetti” (Cass. Pen. Sez I 26 novembre 2019 n° 48014). Quindi nelle modalità di manifestazione concreta del reato la giurisprudenza non da rilevanza alla tipologia di condotta utilizzata per la diffusione dei germi patogeni; è sufficiente che la condotta sia idonea a cagionare un’epidemia.
E’ evidente come la norma sia perfettamente consona a punire le condotte di chi, in questi giorni così difficili e di emergenza sanitaria, non rispetta le regole imposte per la tutela della salute dei cittadini.
Al di là delle rilevanti conseguenze penali cui incorre il soggetto imputato per epidemia colposa, notevoli sono le responsabilità morali che si assume in prima persona in quanto soggetto contagiato che espone a rischio l’incolumità e la vita altrui. In un momento così difficile per il nostro Paese il senso civico di ogni cittadino dovrà assolutamente prendere il sopravvento sugli interessi egoistici di ciascuno; solo così, tutti insieme ed uniti verso uno scopo comune riusciremo a superare questa tremenda vicenda.
Noi tutti siamo chiamati ad un’azione di responsabilità. Restiamo a casa!
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