Covid-19: la responsabilità delle Società sportive e dei Medici sociali alla ripresa degli allenamenti collettivi
Sommario: Premessa – 1. La responsabilità del Medico sociale – 2. La tutela infortunistica degli atleti – 3. La responsabilità della Società Sportiva
Premessa
Secondo quanto previsto dall’ultimo Decreto Ministeriale, a partire dal 18 maggio si sarebbe dovuto provvedere alla ripresa degli allenamenti sportivi collettivi.
Diverse sono le perplessità sorte a seguito di tale decisione, in vista di una possibile riapertura che potrebbe, astrattamente, configurare un serio rischio di contagio per gli atleti, anche in relazione a una possibile ripresa del Campionato di Calcio a partire dal 13 giugno.
Tuttavia, su quest’ultimo punto il Ministro dello Sport Spadafora invita alla cautela, differendo una eventuale ripresa della Serie A a seguito del controllo della curva dei contagi.
Mentre per le altre discipline sportive (Basket, Pallavolo, Tennis, ecc.) si è stabilita la conclusione anticipata di tutti i campionati, con particolare riferimento al Calcio, invece, la situazione appare più complessa, anche in considerazione dell’incidenza culturale ed economica che questo sport riveste nel nostro Paese.
In data 17 maggio, infatti, la Lega Calcio di Serie A ha inviato le proprie proposte al Presidente della FIGC e al Ministro Spadafora, il cui feedback è previsto nel giro di 48h.
Ciò comporta che, alla data in cui si scrive (18 maggio), gli allenamenti collettivi restano sospesi, in attesa di una risposta da parte del Governo.
Tra le proposte della Lega di Serie A, vi è quella di prevedere la non obbligatorietà dei “ritiri blindati” (presso cui i giocatori si sarebbero recati a conclusione degli allenamenti, impedendogli, pertanto, di far rientro a casa): gli atleti dovranno sottoporsi al test del tampone ogni 4 giorni e al test sierologico ogni due settimane; in caso di esito negativo, potranno fare ritorno nelle proprie abitazioni, viceversa, in caso di contagio, la squadra dovrà permanere presso un “domicilio fiduciario“, che potrà essere il centro tecnico del club o un luogo comunque scelto a discrezione della Società sportiva.
1. La responsabilità del Medico sociale
Una delicatissima questione è quella concernente la responsabilità (penale e civile) dei medici sociali in caso di avvenuto contagio degli atleti.
Stando alle proposte avanzate dalla Lega di Serie A, tale responsabilità in capo al medico competente verrebbe meno nel caso di infezione dell’atleta, apparendo il medico sociale come una sorta di “vigilante” del concreto rispetto delle regole precauzionali da parte degli atleti.
Tale responsabilità era stata astrattamente prevista dal d.p.c.m. 26 aprile 2020, che disciplina gli allenamenti individuali; con ciò suscitando le perplessità del Presidente di L.A.M.I.C.A. (Libera Associazione dei Medici Italiani del Calcio) e degli addetti ai lavori.
La figura del Medico Sociale, infatti, è una figura assolutamente centrale, che ricopre una posizione strategica nella gestione della prevenzione sanitaria nei siti sportivi, alla luce della possibile ripresa degli allenamenti collettivi.
Appare doveroso segnalare, a questo punto, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civile sez. lavoro, n. 85/2003), attraverso la quale la Corte ha, di fatto, equiparato la figura del medico sociale quale medico competente delle Società sportive.
Secondo la normativa italiana vigente (ovverosia il Decreto del Ministro della Salute, del 18 febbraio 1982 per quanto riguarda l’attività agonistica), il Medico sociale è responsabile della tutela della salute degli atleti professionisti dipendenti dalla Società sportiva; tutela che si esplica nell’osservanza delle direttive imposte in tema di salute individuale dei lavoratori e nel costante monitoraggio dello stato di efficienza psico-fisico dell’atleta, nonché nella previsione di eventuali controindicazioni allo svolgimento dell’attività sportiva.
Ora, secondo quanto previsto dalla Circolare del Ministro della Salute del 29 aprile 2020, il Medico sociale è tenuto a collaborare attivamente con il datore di lavoro (ossia, la Società sportiva), in vista di un miglioramento continuo dell’efficacia delle misure precauzionali anti-contagio, in particolare per quanto concerne l’informazione dei lavoratori sul rischio di contagio e sulle precauzioni messe in atto dall’Azienda; un costante aggiornamento al datore di lavoro in relazione a eventuali provvedimenti istituzionali di riferimento; nonché, e soprattutto, un supporto al datore nella valutazione del rischio e nella sorveglianza sanitaria.
È chiaro, pertanto, che il Medico sociale sarebbe, alla luce della normativa sin qui esaminata, imputabile, perfino, per i comportamenti poco responsabili tenuti dagli atleti, in quanto è il responsabile dell’osservanza delle misure precauzionali previste dalle Linee Guida.
Il medico competente, risponderebbe, infatti, non solo per le ipotesi delle malattie professionali, ma anche per gli infortuni avvenuti “in occasione di lavoro”, proprio alla luce della citata collaborazione che lo stesso deve intrattenere con il datore.
2. La tutela infortunistica degli atleti
Appare opportuno chiarire la disciplina dettata dalla Circolare INAIL del 3 aprile 2020, che reca il titolo “Tutela infortunistica Inail nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2)”.
Invero, ai sensi della predetta circolare, la competenza circa il riconoscimento dell’avvenuto contagio da coronavirus spetta all’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro): l’infezione da Covid-19, infatti, rientrerebbe, nell’ipotesi degli atleti professionisti, nella casistica degli infortuni sul luogo di lavoro.
Secondo il provvedimento, infatti, la tutela assicurativa spetta nei casi di contrazione di malattie infettive e parassitarie occorsa negli ambienti di lavoro e/o nell’esercizio delle attività lavorative, con ciò comprendendo, quindi, anche l’infezione da Covid-19.
Tale accertamento avviene, ai sensi dell’art. 42, comma 2 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, a seguito della valutazione della documentazione medica fornita da parte del medico certificatore; in caso di riscontro di infortunio da imputare alla prestazione dell’attività lavorativa, l’infortunato avrà diritto al relativo indennizzo.
L’onere della prova, pertanto, ricade sul lavoratore, che dovrà presentare idonea certificazione medica.
Il certificato medico dovrà, infatti, riportare le generalità del lavoratore e del datore, la data dell’avvenuto contagio, la data di astensione dal lavoro (per inabilità temporanea assoluta o a seguito dell’emanazione di provvedimenti di quarantena obbligatoria o permanenza domiciliare) nonché le cause, la natura della lesione e il rapporto con le cause denunciate.
I soggetti destinatari della predetta forma di tutela sono i lavoratori dipendenti, tra cui gli atleti professionisti, ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (“Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”).
Ebbene, l’art. 9 del citato Decreto comprende, tra i soggetti da considerare quali datori di lavoro ai sensi della norma (e, quindi, eventualmente responsabili del danno cagionato), anche “le società cooperative e ogni altro tipo di società, anche di fatto, comunque denominata, costituite totalmente o in parte da prestatori d’opera, nei confronti dei propri soci addetti ai lavori nei modi previsti nel n. 7) dell’art. 4.”
3. La responsabilità della Società Sportiva
Nulla quaestio, quindi, circa la responsabilità della Società sportiva (in quanto datore di lavoro) per i casi di infezione da Coronavirus avvenuti durante l’espletamento dell’attività lavorativa.
Assimilando, infatti, gli atleti professionisti ai lavoratori dipendenti, ne consegue l’applicazione agli stessi delle norme codicistiche in materia di infortuni sul lavoro.
Tra queste, l’art. 2087 del Codice Civile, che prevede, in capo al datore di lavoro, una posizione di garanzia, di talché egli “è tenuto adottare […] le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Un’eventuale ipotesi di contagio dell’atleta integrerebbe, inoltre, una responsabilità penale del datore di lavoro, nelle forme di reato omissivo improprio configurabile in capo a coloro i quali rivestono una posizione di garanzia, come poc’anzi descritta, e pertanto hanno l’obbligo giuridico di impedire l’evento (ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p.).
La norma specifica che prevede una responsabilità penale in caso di infortunio sul lavoro è l’art. 437 c.p., che punisce con la pena della reclusione fino a 10 anni chiunque, omettendo di collocare strumenti atti a prevenire infortuni sul lavoro, sia responsabile della verificazione degli stessi.
L’art. 451 c.p. prevede, poi, la pena della reclusione fino a 1 anno nel caso di omissione o rimozione colposa di strumenti idonei a prevenire infortuni sul lavoro o incendi.
In particolare, qualora l’infortunio avvenuto sul luogo di lavoro sia costituito dall’infezione da nuovo Coronavirus, il datore risponderebbe del reato di lesioni personali colpose (ex art. 590 c.p.) e, nel caso in cui dall’evento ne derivi la morte del lavoratore, sarebbe configurabile il reato di omicidio colposo (ex art 589 c.p.).
Peraltro, nel caso particolare di violazione delle norme anti-infortunistiche, vi è l’espressa previsione di una circostanza aggravante al terzo comma dell’art. 590 c.p., che prevede un aumento di pena (fino a 1 anno di reclusione e multa fino a euro 2000,00).
Dal punto di vista civilistico, poi, in caso di contagio da Coronavirus avvenuto in occasione di lavoro è configurabile una responsabilità in capo alla Società, che sarà tenuta a risarcire il danno cagionato dalla propria condotta.
Le norme in materia di infortunio sul lavoro prevedono, infine, anche una responsabilità amministrativa della Società sportiva, derivante dalle ipotesi di reato poc’anzi descritte e commesse dalle figure apicali e dai loro dipendenti; tale responsabilità sarà esclusa solo laddove risulti adottato ed osservato un modello organizzativo ad hoc (ai sensi del Decreto Legislativo n. 231/2001, in materia di responsabilità amministrativa degli Enti).
È evidente, tuttavia, che risulta estremamente arduo per il lavoratore dimostrare che il contagio sia effettivamente avvenuto “in occasione di lavoro”, anche in considerazione del periodo di incubazione della malattia, dovendo, comunque, il lavoratore fornire una prova che, in sede penale, deve soddisfare lo standard dell’oltre ogni ragionevole dubbio, circa la condotta criminosa del datore, il quale, tuttavia, potrà addurre di aver adottato tutte le misure precauzionali previste, essendo ciò sufficiente ad escludere la propria responsabilità penale.
Analogo ragionamento vale per il risarcimento del danno in sede civilistica, laddove il danneggiato dovrà provare il nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infezione che sarebbe avvenuta nel corso di quest’ultima.
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (20G00034) (GU Serie Generale n.70 del 17-03-2020);
Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro fra il Governo e le parti sociali, 24 aprile 2020;
Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 1 marzo 2000;
D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”;
Circolare INAIL del 3 aprile 2020, “Tutela infortunistica Inail nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2)”;
Linee-Guida ai sensi dell’art. 1, lettere f e g del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 aprile 2020. Modalità di svolgimento degli allenamenti per gli sport individuali;
Iadecola L., “Responsabilità del datore di lavoro in caso di contagio da Covid-19”, in Altalex, 12 maggio 2020;
INAIL, “Covid-19, nessuna connessione tra il riconoscimento dell’origine professionale del contagio e la responsabilità del datore di lavoro”, 15 maggio 2020;
Parisi A., “Il medico sportivo”, 12 maggio 2020;
Lambertucci F., “La responsabilità giuridica del medico sportivo”;
Pinazzi A., “La responsabilità del medico sportivo”, 2016;
Menduto T., “Le responsabilità del medico competente: sentenze e normativa”, in “puntosicuro.it”;
Del Nevo M., “Medici competenti anche i medici dello sport?”, 2003;
Cass. Civile Sez. Lavoro, n. 85 dell’8 gennaio 2003.
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Simona Maria Destro Castaniti
Simona Destro Castaniti ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (2018). Abilitata all'esercizio della professione forense da Novembre 2021. Ha svolto il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013, presso l'Ufficio GIP/GUP del Tribunale di Reggio Calabria. Specializzata in Diritto Internazionale, ha svolto diversi progetti all'estero (USA, Costa Rica, Kosovo) e ha partecipato a diversi progetti MUN (risultando vincitrice).
Parla quattro lingue: italiano, inglese, spagnolo, portoghese.
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