Criticità della messa alla prova per l’imputato maggiorenne

Criticità della messa alla prova per l’imputato maggiorenne

Investita della questione di legittimità costituzionale degli art.li 29 del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 e 657-bis del codice di procedura penale, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 68/2019, offre un’interpretazione delle disposizioni normative de quibus che va ben oltre la loro piena legittimità, prendendo le distanze da una visione della messa alla prova per adulti che individua in quest’ultima una progenie di quella per i minori fino al punto da ridurre ad unità istituti nati con finalità e caratteristiche notevolmente diverse.

Le questioni sottoposte al Giudice delle leggi riguardano, in particolare, l’impossibilità di estendere al processo minorile la previsione dell’art. 657-bis cod. proc. pen., secondo cui “in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita […]”: secondo la Sezione remittente della Corte di Cassazione, infatti, l’inapplicabilità di tale norma al processo minorile e, con essa, l’assoluta irrilevanza, ai fini della pena da eseguire, delle pregresse attività svolte durante l’espletamento della prova dal minore contrasterebbero sia col principio di uguaglianza, sia con la finalità rieducativa della pena, sia – infine – con l’interesse educativo del minore, rispettivamente contemplati dagli art.li 3, 27 e 31 della Costituzione.

Nell’affrontare le questioni prospettate, invero, la Corte costituzionale parte da una premessa di fondo: sottoponendosi alla messa alla prova, l’imputato maggiorenne, diversamente dal minorenne, ha l’obbligo di svolgere il lavoro di pubblica utilità previsto dall’art. 168-bis, terzo comma, del codice penale, le cui prescrizioni, pur avendone egli spontaneamente accettato l’osservanza, finiscono col limitare in modo così significativo la sua libertà personale, da assumere una connotazione sanzionatoria del tutto carente nelle prescrizioni che caratterizzano invece l’omologo istituto previsto per gli imputati minorenni.

Nell’ambito del processo penale minorile, infatti, la messa alla prova è sostanzialmente presidiata da finalità di recupero del minore, attraverso prescrizioni ed attività riproducenti le occasioni educative mancate, che consentano l’evoluzione della sua personalità attraverso proibizioni, divieti, impegni di lavoro, di studio, di apprendistato e di volontariato, in cui trova concreta attuazione il diritto all’educazione1.

Orbene, è proprio la natura sanzionatoria delle prescrizioni in cui si sostanzia, invece, la messa alla prova per adulti che, secondo la Consulta, impedisce una loro equiparazione ai divieti e alle attività tipiche della probatio dedicata agli imputati minorenni: ed è questo il motivo per il quale a questi ultimi non può affatto estendersi la possibilità di ottenere, in caso di condanna conseguente al fallimento della messa alla prova, lo scomputo dalla pena da eseguire di un periodo corrispondente a quello della prova già eseguita.

Non si vede tuttavia cosa possa giustificare l’estinzione del reato per effetto del lavoro di pubblica utilità svolto2, considerata – come la Corte costituzionale ha sottolineato con la sentenza in esame – la natura sanzionatoria dello stesso3, che, proprio per tale natura, dovrebbe presupporre un accertamento di penale responsabilità.

Né si comprende come, pur in assenza di tale accertamento, possa formularsi una prognosi di futura astensione dell’imputato dal “commettere ulteriori reati” che l’organo giudicante è pur chiamato ad operare, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, del codice di procedure penale, in sede di valutazione della sussistenza dei presupposti di ammissione alla prova4.

Come è stato, quindi, correttamente rilevato, il “punto più critico, al riguardo, è la mancanza o il particolare atteggiarsi, all’interno del rito stesso, di un giudizio di responsabilità”5: il che desta non pochi dubbi sulla compatibilità della messa alla prova per adulti col principio di presunzione di non colpevolezza sancito dall’art. 27, secondo comma, della Costituzione.

Dubbi, questi, che non possono invece investire il corrispondete istituto previsto nell’ambito della giustizia minorile, da cui quello introdotto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67 mutua solo alcune caratteristiche e le cui affinità con lo stesso sono ridotte “al dato strutturale costituito dalla sequenza sospensione del processo/messa alla prova/proscioglimento dell’imputato in caso di esito positivo della prova” 6.

Diversamente da ciò che accade nel rito minorile, del resto, la messa alla prova dell’imputato maggiorenne, già prefigurata quale strumento utile al conseguimento di risultati di deflazione del carico penale7, è nata proprio con tale finalità, se non anche con quella di favorire la decarcerizzazione, come può agevolmente evincersi dalla relazione che accompagnava la relativa proposta di legge, secondo cui, «attraverso le nuove pene detentive non carcerarie, il condannato non dovrà più subire l’inadeguatezza del sistema penitenziario e la relativa ingiustificata compressione del diritto a un’esecuzione della pena ispirata al principio non solo di rieducazione, ma anche di umanità. Si tratta, pertanto, di disposizioni che conciliano i fondamentali obiettivi di un moderno sistema penale ispirato ai princìpi non soltanto di necessità, legalità, proporzionalità, personalità della pena, ma anche di rieducazione e umanizzazione della stessa secondo il disposto dell’articolo 27 della Costituzione, che ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele, escludendo dalla pena ogni afflizione che non sia inscindibilmente connessa alla restrizione della libertà personale»8.

Orbene, proprio facendo leva sui diversi scopi che presidiano la messa alla prova per adulti, rispetto alle finalità che il legislatore ha inteso perseguire con l’omologo istituto previsto per i minorenni, la Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha posto le basi per un nuovo approccio all’istituto de quo da parte di una giurisprudenza che, sin dalle sue prime applicazioni, si era mostrata orientata a perseguire risultati tutt’altro che deflattivi.

Basti considerare, a titolo esemplificativo, il provvedimento con il quale il Tribunale di Torino non esitò a consentire a due imputate adulte, che avevano avanzato la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova oltre il termine previsto a pena di decadenza dall’art. 464 bis, comma 2, c.p.p., di richiederne l’applicazione9: una decisione, questa, destinata a suscitare non poche perplessità nella misura in cui la probation per adulti sia concepita con finalità meramente deflattive, potendo la restituzione nel termine di cui all’art. 175 c.p.p. vanificare le attività processuali eventualmente già compiute; di contro, ogni decisione destinata ad estendere la portata della messa alla prova rivela una diversa visione dell’istituto de quo, valorizzandone soprattutto la natura di esperimento di giustizia riparativa e di esperienza rieducativa dell’imputato, in sintonia con la funzione attribuita alla probation nell’ambito del processo minorile, in cui non a caso difettano preclusioni processuali e limiti rispetto alla gravità dei reati10.

Nel rito minorile, del resto, a svolgere un ruolo catalizzatore è il diritto allo sviluppo psico-fisico dell’imputato attraverso un sano e proficuo inserimento sociale11.

Orbene, se l’interesse educativo del minore giustifica, in caso di esito positivo della messa alla prova, la rinuncia alla celebrazione del processo e all’emissione di una sentenza di condanna rispetto a qualsiasi tipo di reato, a prescindere dalla relativa pena edittale (gravitando l’istituto de quo attorno alla valutazione della personalità del minore), non si comprende invece come possa la diversa logica punitiva-risocializzante, cui risponde il sistema penale degli adulti12, ammettere l’impiego di un trattamento anticipato in alternativa alla punizione, che peraltro chiama il giudice della cognizione a compiti decisamente inediti13.

Non possono non condividersi, quindi, le perplessità espresse in dottrina14, secondo cui la sospensione del processo con messa alla prova si risolve in una rinuncia da parte dello Stato alla pretesa punitiva che appare ragionevole solo nei confronti dell’imputato minorenne, alla cui personalità è dedicato un peculiare giudizio, che vede l’interesse alla prosecuzione del processo sacrificato in vista di una misura che, dovendo consentire la rieducazione e il positivo reinserimento del minore nella società, “contiene regole comportamentali riconducibili alle prerogative costituzionali del diritto all’educazione”.

Lungi dal perseguimento di tali finalità rieducative, invece, la messa alla prova per adulti, al di là di alcuni aspetti che sembrerebbero rivelarne scopi di prevenzione speciale (giacché la personalità dell’imputato è pur sempre al centro della valutazione sull’idoneità del trattamento e sulla possibilità di formulare la prognosi di sua futura astensione dalla commissione di altri reati), finisce col riflettere una logica essenzialmente premiale, più che specialpreventiva, caratterizzata dalla rinuncia ad una cognizione piena in vista di una prova il cui espletamento risulta, in ogni caso, di gran lunga più sopportabile delle conseguenze di una sentenza di condanna.

Tanto più quando si consideri la discutibile adeguatezza del programma trattamentale che l’ufficio di esecuzione penale esterna è chiamato a predisporre, non potendo esso acquisire atti la cui rilevanza non sia rimessa, ai sensi dell’art. 141 ter, 2º co. disp att., alla discrezionalità dell’imputato15.

Dal consenso di quest’ultimo, del resto, dipende la stessa applicazione della messa alla prova nei suoi confronti.

Val la pena di soggiungere che, proprio in ragione di quest’aspetto dell’istituto de quo, la Corte costituzionale dichiarò, con sentenza n. 201 del 2016, l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva che il decreto penale di condanna contenesse l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere, con l’opposizione allo stesso, la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Nel rito minorile, per converso, il legislatore ha disancorato l’ordinanza di sospensione del processo alla prestazione del consenso da parte del minore, prevedendo la mera audizione delle parti16.

Non può sfuggire, a questo punto, l’interesse dell’imputato adulto ad esprimere il proprio consenso col solo intento di perseguire, attraverso la messa alla prova, i seguenti, innegabili vantaggi:

– possibilità di accedere all’istituto de quo anche in relazione a fatti espressivi di un disvalore tutt’altro che modesto, sebbene si tratti di reati non particolarmente allarmanti, essendo il giudice chiamato ad individuarli senza tener conto dell’incidenza di eventuali circostanze aggravanti, anche speciali, destinate ad appesantire il complessivo disvalore del fatto17;

– possibilità che l’imputato incensurato, anziché nutrire la pur fondata speranza di ottenere, in caso di condanna, la sospensione condizionale della pena, possa preferire la messa alla prova per riservarsi il beneficio de quo in un secondo momento, nell’eventualità di doversi difendere in futuro da un’altra accusa;

– possibilità che dalla complessiva pena da espiare il P.M. scomputi, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, un periodo corrispondente a quello della prova già eseguita.

Pertanto, a dispetto delle previsioni di quanti sostenevano che l’istituto de quo avrebbe trovato scarso ambito di applicabilità18, si deve prendere atto che esso, invece, presenta aspetti tali da favorirne l’applicazione per ragioni di mera convenienza, aprendo la via ad un modello di giustizia meno repressivo, che rischia di vedere il processo e la pena limitati alle ipotesi di esito negativo della prova19.


1 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012.

2 Cfr. Valeria Bove, Messa alla prova per gli adulti: tra vuoti normativi e criticità, una alternativa al processo ed alla pena?, in www.scuolamagistratura.it.

3 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012.

4 Cfr. Alberto Macchia e Piero Gaeta, Messa alla prova ed estinzione del reato: criticità di sistema e adattamenti funzionali, in Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it).

5 Cfr. Lucia Parlato, La messa alla prova dopo il dictum della Consulta: indenne ma rivisitata e in attesa di nuove censure, Nota a Corte cost., sent. 21 febbraio 2018 (dep. 27 aprile 2018), n. 91, Pres. Red. Lattanzi, in Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it).

6 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012.

7 Cfr. Roberto E. Kostoris, Per un’obbligatorietà temperata dell’azione penale, in Riv. Dir. Proc., 2007, 4, 875.

8 Proposta di legge n. 331, presentata alla Camera dei deputati il 18 marzo 2013, www.camera.it).

9 Trib. di Torino, (ord.) 21 maggio 2014, A.B., in Archivio Penale (www.archiviopenale.it).

10 Cfr. Giovanni Zaccaro, Prima applicazione della messa alla prova per adulti, in Questione Giustizia (www.questionegiustizia.it).

11 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012.

12 Cfr. Roberto Bartoli, La “novità” della sospensione del procedimento con messa alla prova, in Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it).

13 Cfr. A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 6/2014, p. 682.

14 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012.

15 Cfr. Carlotta Conti, Sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato maggiorenne, in Digesto delle Discipline penalistiche – aggiornamento *********.

16 Cfr. Prof.ssa Clelia Iasevoli, Ragioni e prospettive di riforma del processo penale minorile, in Diritto e Giustizia Minorile, Anno I, n. 4-2012., secondo la quale la prospettiva de jure condendo deve essere quella dell’esplicita previsione del consenso, non potendosi facilmente immaginare come la misura possa contribuire a responsabilizzare il minore con la mera imposizione del programma quale risultato di una decisione altrui non accettata.

17 Cass. pen., Sez. Unite, 31/03/2016, n. 36272 – Sorcinelli – Fonti: Foro It., 2017, 1, 2, 67; P. Sorcinelli, Messa alla prova dell’imputato, pena edittale massima, aggravanti speciali, in Foro it., 2017, II, 67; A. Pugiotto, Per un rinnovato statuto costituzionale della clemenza collettiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, pp. 109 e ss.

18 Cfr. Melissa Liedico, Sospensione del processo e messa alla prova anche per i maggiorenni, in Diritto Penale Contemporaneo, 14 aprile 2014 (www.penalecontemporaneo.it).

19 A. Marandola, La messa alla prova dell’imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 6/2014, p. 676.

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Superato “con lode” l'esame di diritto penale, consegue la laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", discutendo una tesi in diritto penale, dal titolo Legislazione penale tributaria e principio di effettività. È avvocato cassazionista e magistrato onorario, con funzioni giudicanti penali, presso il Tribunale di Torre Annunziata. In qualità di difensore dell'imputato o della parte civile, si è occupato di numerosi processi penali in tema di rapina aggravata, omicidio colposo (con particolare riferimento a colpa specifica connessa allo svolgimento della professione sanitaria, nonché alla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), estorsione, reati edilizi, violenza sessuale, calunnia, ricettazione, furto, truffa, associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, abuso d'ufficio ed altro. È stato uno degli undici formatori decentrati presso la Struttura territoriale di Napoli della Scuola Superiore della Magistratura. È autore delle seguenti pubblicazioni di carattere scientifico: 1) I limiti dell'assunto accusatorio nell'applicazione della legge penale - Casa editrice Aracne – nell'ambito della collana "Diritto / Prospettive" diretta da Paolo Cendon; 2) I criteri valutativi in tema di prova indiziaria - Casa editrice Aracne - nota a sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata nella Rivista di Polizia (Rassegna di dottrina, tecnica e legislazione), anno sessantasettesimo, novembre-dicembre 2014; 3) Causalità omissiva e colpa medica - Casa editrice Aracne - nota a sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata nella Rivista di Polizia (Rassegna di dottrina, tecnica e legislazione), anno sessantottesimo, ottobre 2015; 4) Criticità e valutazine delle fonti dichiarative nel processo penale - Casa editrice Aracne - nell'ambito della collana "Teoria e prassi della giustizia penale contemporanea” diretta dai professori Alfredo Bargi, Alfonso Maria Stile e Vincenzo Roberto Garofoli; 5) Divieto di reformatio in peius e riqualificazione del fatto contestato, nota a sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata (nel luglio 2017) nella Rivista “Ratio Legis”; 6) La qualificazione giuridica degli oggetti da punta e da taglio, nota a sentenza della Corte di Cassazione, pubblicata (nel luglio 2017) nella Rivista “Ratio Legis”; 7) Non punibilità per particolare tenuità del fatto e reato impossibile, articolo pubblicato (nell'agosto 2017) nella Rivista “Ratio Legis”; 8) Il disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, articolo pubblicato (il 19 novembre 2017) nella Rivista “Ratio Legis”; 9) Colpa specifica e violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (Cassazione penale, Sez. feriale, sentenza 39879/2017), articolo pubblicato (il 29 novembre 2017) nella Rivista “Ratio Legis”; 10) La configurabilità della circostanza aggravante prevista dall’art.7 del decreto legge 13 maggio 1991 n.152, convertito in legge 12 luglio 1991 n.203 (Cass. pen. Sez. V, Sent. 26.10.2017, n. 49234), articolo pubblicato (il 3 gennaio 2018) nella Rivista “Ratio Legis”; 11) Intervento edilizio in zona sismica e reato permanente (Cass. pen. Sez. III, Sent., 20.10.2017, n. 48345), articolo pubblicato (il 3 gennaio 2018) nella Rivista “Ratio Legis”; 12) L’unicità del disegno criminoso nel reato continuato (Commento a Cass. Pen., Sez. I, Sent. N. 54317/2017), articolo pubblicato (il 17 gennaio 2018) nella Rivista “Ratio Legis”; 13) L’attendibilità della testimonianza della persona offesa dal reato (commento a Cassazione Penale, sezione III, sent. [ud. 14-11-2017] 18-12-2017, n. 56286), articolo pubblicato (il 5 marzo 2018) nella Rivista “Ratio Legis”. È stato relatore in occasione dei seguenti convegni: 1) convegno organizzato dal Sindagato Forense puteolano sul tema La certezza della prova e il libero convincimento del giudice penale, tenutosi in data 16 giugno 2012; 2) convegno “Una mano sul volto”, tenutosi in data 17 marzo 2015 a Napoli, presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e dedicato al tema della violenza di genere; 3) convegno organizzato dal Sindagato Forense puteolano sul tema I reati sui social network, tenutosi in data 24 giugno 2017 presso la Sala Consiliare del Comune di Quarto (NA).

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