Culti bacchici e diritto: il Senatus consultum de Bacchanalibus

Culti bacchici e diritto: il Senatus consultum de Bacchanalibus

Nel Kunsthistorisches Museum di Vienna è conservata un’iscrizione risalente all’epoca romana, rinvenuta nel 1640 in una cittadina della Calabria – specificamente Tiriolo – nel corso della realizzazione degli scavi aderenti al progetto di edificazione del palazzo appartenuto al principe Cigala.

Tavola di Tiriolo

Tavola di Tiriolo – © Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone

L’iscrizione, riportata su una tavola di bronzo, rappresenta quanto i consoli, nell’assolvimento del proprio incarico nel territorio dell’Agro di Taurano, predisposero osservando il Senatus consultum de Bacchanalibus, provvedimento emanato dal senato romano nel 186 a.C. atto a rendere i culti bacchici conformi all’ordinamento romano e alle prescrizioni dell’ordine pubblico che lo qualificavano. Ci si chiede, dunque, se fosse sopravvenuto un mutamento nelle celebrazioni in onore del dio Bacco, in ragione del quale il senato ritenne opportuno regolare giuridicamente la questione così drasticamente. Il testo, riportando, difatti, le parole: “Si qui essent, qui adversum ea fecissent, quam supra scriptum est, eis rem capitalem faciendam censuere“, commina la pena di morte nei confronti di coloro che avrebbero violato le disposizioni in esso contenute.

Inizialmente, il culto del dio greco Dioniso era stato accolto dal popolo romano, che ne aveva promosso l’identificazione con il dio Bacco. La cittadinanza si rivolgeva al dio in ragione dell’autorità propiziatoria nei culti agresti. Più semplicemente, Bacco era riconosciuto quale dio della fertilità e veniva, dunque, invocato anche ai fini di un buon raccolto. Inoltre, rispetto alla sua rappresentazione all’interno del pantheon romano, va evidenziato come essa sia stata alimentata dagli elementi che ne hanno consentito la congiunzione con la figura del Liber Pater. Liberalia, erano così denominate le festività in omaggio al dio; si svolgevano il 17 marzo e contemplavano, quale peculiarità, il fatto che i giovani che avevano raggiunto il sedicesimo o il diciassettesimo anno di età, dimostrando l’avvenuta maturità fisica, avrebbero deposto la toga praetexta e la bulla, tipici simboli della fanciullezza, per indossare la toga virilis e acquisire definitivamente, in tal modo, lo status di civis adulto.

Senonché, progressivamente, i festeggiamenti in onore di Bacco finirono per contraddistinguersi per le modifiche apportate ai suoi rituali, ritenute del tutto confliggenti con i valori fondanti della civiltà romana, il cui nucleo centrale era costituito dai mores maiorum. Tale mutamento, più dettagliatamente, era stato dettato dal fatto che i rituali erano divenuti segreti e notturni; ad essi prendevano parte uomini e donne di tutte le età; questi ultimi, in completo stato di ebbrezza, commettevano i crimini più efferati e violenti – tra cui stupri e stragi.

A questo livello della ricostruzione subentra un ulteriore aspetto preminente, evidenziato esaustivamente dallo storico Livio nel libro XXXIX della sua celeberrima opera ab Urbe condita. Difatti, il racconto testimonia come a codesti rituali fosse altresì imputata la fattibilità di costituire l’occasione di ordire congiure ed attacchi contro l’ordine costituito, ossia contra la res publica e lo Stato. Ciò si evince chiaramente dalla filippica del console Postumio: “Crescit et serpit quotidiane malum; iam maius est, quam ut capere id privata fortuna possit, ad summam rem publicam spectat” (Ogni giorno codesto male cresce e serpeggia di più; è già troppo grande perché possa essere contenuto nella sfera privata, giacché esso è finalizzato a rovesciare la repubblica). Scrive a tal proposito E. Silverio:

Il culto orientale di Dioniso, il Bacco latino, [era] distinto all’epoca da una forte avversione verso l’ordine costituito, dall’abbandono della morale ufficiale, da una commistione sessuale altrimenti inconcepibile e dalla creazione tra gli adepti di una salda rete di legami alternativi rispetto a quelli che univano il civis alla civitas e ai suoi dèi. In questo senso è significativa la definizione del fenomeno in termini di congiura (coniuratio): essa pone l’accento sul giuramento fatto dagli adepti, giudicato incompatibile con i doveri verso la Repubblica. Soprattutto l’organizzazione strutturata del culto rappresentò un fenomeno giudicato idoneo a porre in pericolo la Repubblica intesa come sistema giuridico-religioso”.

Nella sua opera, lo storico Livio riferisce di cinque senatus consulta strettamente pertinenti i Baccanali, ai quali si affiancano due edicta emanati dai consoli. La corrispondenza con la tavola di Tiriolo è riscontrabile nel terzo senatum consultum nonché nei decreta menzionati. Essi, difatti, conferiscono ai consoli il compito: a) di perpetuare la distruzione di tutti i siti e oggetti del culto bacchico, con l’eccezione riservata ai luoghi ove vi fosse un’antica ara o reliquie consacrate; b) di vietare ovunque la celebrazione di Baccanali, sia in sede pubblica che privata; c) di consultare obbligatoriamente il Senato laddove taluno avesse ritenuto tale rituale necessariamente obbligatorio in virtù degli usi e delle pratiche da rispettare in ossequio al proprio culto religioso; d) di poter autorizzare il rito, giunti a tale comune decisione in accordo con il Senato, purché alla celebrazione avrebbero preso parte al massimo cinque persone, alle quali, in ogni caso, sarebbe stato vietato di associarsi, riconoscendo la presenza di un sacerdote o di un’autorità preposta o prevedendo forme di condivisione di denaro attraverso l’istituzione di una cassa comune.

Il presente tema consente di sviluppare una riflessione nell’ambito della corrente di studi denominata Law and the Humanities (Diritto e Cultura), all’interno della quale è possibile distinguere il più specifico campo di studi Law and the Arts (Il Diritto e le Arti).

Cesare Maccari, La liberta Fenenia Ispala denuncia l'associazione dei Baccanali, © Corte di Cassazione

Cesare Maccari, La liberta Fenenia Ispala denuncia l’associazione dei Baccanali, © Corte di Cassazione

Nell’opera La liberta Fenenia Ispala denuncia l’associazione dei Baccanali l’artista Cesare Maccari ha perpetuato il messaggio prescelto dal ministro Giuseppe Zanardelli, I grandi fasti della giurisprudenza, tema principale degli affreschi realizzati nell’Aula Magna della nuova Corte di Cassazione di Roma, eretta a partire dal 1889  sulla base del progetto dell’architetto Guglielmo Calderini. L’affresco, che si contraddistingue per gli afflati stilistici tipici dell’arte classica, illustra il momento, riportato nell’opera dello storico Livio, nel quale trova fondamento la decisione del Senato di dar luogo ad un’indagine convergente sulla celebrazione dei Baccanali; momento che, appunto, corrisponde alla denuncia sporta dalla liberta Ispala Fecenia concernente i riti bacchici. In siffatta opera, facente parte del raffinato patrimonio storico-artistico del Palazzo di Giustizia, si rivela il legame in ragione del quale la costellazione di eventi storico-giuridici si estrinseca nella narrazione artistica: l’arte diviene la testimonianza raffinata, visibile, immediatamente percepibile del diritto, della sua forza nell’ambito della società, delle conseguenze dettate dal suo affermarsi e dal riconoscimento della sua legittimità.

 

 

 

 

 


Tito Livio, Ab Urbe condita;
V.E.J. Macchione, D. Mastroianni, La proibizione dei Bacchanalia tra la Magna Grecia e l’Etruria. Il Senatus Consultum de Bacchanalibus di Tiriolo e il Trono delle Pantere di Bolsena, in “Acta Antiquae Academie Scientiarium Hungaricae”, 58, 2018, pp. 641-656;
E. Silverio, Il sistema romano di informazione e sicurezza durante l’inchiesta sui Baccanali. «Rivelò la cosa al console Postumio senza testimoni», in “Gnosis. Rivista italiana di intelligence”, 2, 2017, pp. 163-170;
S. Gialdroni, (Hi)stories of Roman Law. Cesare Maccari’s frescoes in the Aula Massima of the Italian Supreme Court, in “Forum historiae iuris”, 2019.

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