Curriculum vitae falso: cosa si rischia e quali sono le sanzioni previste

Curriculum vitae falso: cosa si rischia e quali sono le sanzioni previste

Spesso, quando si deve compilare il proprio curriculum vitae, non si pensa attentamente a quelli che potrebbero essere i rischi e le sanzioni previsti nel caso di attestazioni false fatte in esso. Ebbene, nonostante le conseguenze non proprio piacevoli previste nel nostro ordinamento, quella di dichiarare esperienze o competenze del tutto o in parte non veritiere, sembra essere un’abitudine sempre più diffusa. Titoli mai conseguiti, date manomesse di attività o inattività, mansioni mai svolte e competenze mai veramente acquisite, sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare per comprendere il fenomeno in esame. Non va trascurato, poi, che, soprattutto nel caso in cui la posizione lavorativa messa a disposizione sia di particolare prestigio o richieda particolare preparazione, i recruiter procedono alla c.d. “Employment History Verification”, ovvero alla verifica di ciò che il candidato ha attestato nel suo C.V. e ciò che in realtà ha fatto, contattando i manager delle aziende per le quali il soggetto ha lavorato negli anni passati, ai quali chiede le conferme necessarie e di suo interesse.

Ma veniamo ora alle conseguenze di queste azioni: innanzitutto, occorre diversificare il caso di una candidatura ad un concorso pubblico (che implica l’osservanza delle norme previste appositamente per lo stesso), dal caso di un dipendente privato. Infatti, nella prima ipotesi, si rischia fino a due anni di reclusione (v. Cass. n. 15535 /2008), mentre nella seconda il datore di lavoro potrebbe disporre il licenziamento in tronco del lavoratore di turno, nonché intentare una causa contro di lui, con tanto di richiesta di risarcimento e di restituzione degli stipendi. Riassumendo, dunque, si potrebbe incorrere, nel caso di candidatura ad un concorso pubblico, nel reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, nonché in quello di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie (art. 496 codice di procedura penale); qualche anno fa, infatti, la Suprema Corte aveva ritenuto colpevole una persona che aveva falsificato il proprio curriculum inviato ad un Comune nel quale aveva ricoperto una carica lavorativa (v. Cass. n. 26600/2013). Come abbiamo anticipato, vale un discorso diverso per quanto riguarda l’ambito privato, nel quale il rischio è minore dal punto di vista legislativo e penale, ma non del tutto assente, poiché l’azienda privata che scopre il C.V. falso di un proprio dipendente potrebbe sicuramente licenziarlo in tronco ed intentare anche una causa legale, con la richiesta di un’eventuale risarcimento danni arrecato alla stessa azienda.

Nell’ambito del diritto civile, infatti, la legge impone di tenere, fin dai rapporti precontrattuali un comportamento improntato a buona fede e correttezza, il che implica il fatto di non nascondere circostanze di cui si è a conoscenza o manifestarne altre non veritiere che potrebbero incidere sul consenso della controparte a stipulare la scrittura privata.

Anche il contratto a tempo indeterminato, naturalmente, consente una marcia indietro nei confronti del lavoratore incompetente. All’esito, infatti, del periodo di prova, il datore può licenziare il dipendente senza bisogno di fornire motivazioni qualora sia insoddisfatto della prova stessa. Inoltre, va aggiunto al novero della casistica presa in considerazione, anche il caso in cui sia un professionista a falsificare il proprio curriculum: in tale ipotesi, si va incontro ad un illecito deontologico e ad una sanzione disciplinare da parte del consiglio dell’ordine cui appartiene il professionista.

Integra, poi, il reato di falso ideologico commesso dal privato su documento informatico pubblico, la condotta di chi inserisce dati relativi al superamento di esami mai sostenuti su un supporto informatico, concernente il proprio curriculum universitario, che abbia funzione vicaria dell’archivio dell’Università.

Queste conseguenze decisamente spiacevoli previste per il candidato che mente in relazione a qualsivoglia aspetto del suo C.V., sono confermate da numerose sentenze della Suprema Corte e non solo. Si pensi, ad es., alla recente pronuncia della Corte di Cassazione relativa ad un caso in cui si era riconosciuta la colpevolezza dell’imputato per il delitto di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali, per avere falsamente attestato nel proprio curriculum vitae, inviato al Comune, di avere in precedenza ricoperto posizioni occupazionali di rilievo in ambito televisivo, in realtà non corrispondenti al vero.

Il principio di diritto affermato da questa pronuncia riconosce senza remore la sussistenza del delitto di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali ex art. 496 c.p., qualora le affermazioni mendaci siano contenute in un curriculum vitae presentato ad un ente pubblico. Tutto ciò vale anche a prescindere dal mancato rispetto delle formalità previste per le dichiarazioni sostitutive di cui all’art.38 del d.P.R. n.445 del 2000.

Nel caso in esame, infatti, il ricorrente lamentava il fatto di non aver sottoscritto il curriculum in oggetto, pertanto affermava la non integrazione degli estremi del reato di cui sopra. La Corte, però, dal canto suo, ha specificato che “per qualità personali, ai fini del delitto di cui all’art.496 c.p., devesi intendere ogni attributo che serva a distinguere un individuo nella personalità economica o professionale e che possa avere interesse per l’autorità interrogante; pertanto, una qualifica professionale ovvero l’effettivo esercizio di un’attività lavorativa rientrano nel novero delle suddette qualità da dichiarare nella loro reale consistenza ai fini e per gli effetti del precetto penale di cui all’art.496 c.p.”.

Ma vi è di più, dal momento che “l’allegazione, ad una domanda rivolta ad un Ente pubblico, di un curriculum vitae contenente false dichiarazioni circa le proprie esperienze lavorative vale, quindi, ad integrare gli estremi oggettivi del mendacio richiesto dall’art.496 c.p., così come non pertinente deve ritenersi la rimostranza circa la mancata sottoscrizione del curriculum falso, atteso che la sottoscrizione in calce alla domanda presentata al Comune vale a rendere proprie dell’istante anche le allegazioni riguardanti le pregresse esperienze lavorative, sia pure indicate in diverso foglio”.

Questa pronuncia risulta, dunque, di particolare importanza poiché ribadisce come la mancata sottoscrizione del curriculum, non vale ad esentarsi da responsabilità per il delitto di falso, atteso che il soggetto, avendo in ogni caso sottoscritto l’istanza alla quale il curriculum era stato allegato, aveva comunque fatto proprie anche le predette allegazioni.


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Daria Mignacca

Dottoressa magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Roma Tre. Praticante avvocato presso studio legale Coen sito in Roma ed autrice di articoli giuridici inerenti principalmente le materie civilistiche.

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