Dall’obbligazione naturale al contratto di convivenza: l’eccezione che conferma la regola
L’obbligazione naturale è un atto negoziale fondato sulla spontaneità: non è un atto dovuto, come l’obbligazione giuridica, che trova base normativa all’art. 1173 c.c. e che in caso di inadempimento implica il sorgere di responsabilità a carico del debitore.
L’obbligazione naturale trova la propria giustificazione causale esclusivamente nell’adempimento di un dovere morale o sociale, per cui l’inadempimento non può essere mai fonte di responsabilità risarcitoria.
Il fondamento normativo delle obbligazioni naturali si rintraccia nell’art. 2034 c.c., che dispone: “Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace.
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti.”
Dalla norma emergono i caratteri essenziali dell’obbligazione naturale: in primo luogo la condizione essenziale affinché un adempimento possa dirsi spontaneo ed essere fonte dell’obbligazione naturale è la capacità legale del disponente; l’adempimento deve essere giustificato da un dovere morale o sociale; l’unico effetto prodotto dall’obbligazione naturale è l’irripetibilità di quanto prestato.
La congiunzione disgiuntiva “o” che lega le parole “morale” e “sociale” rispetto al dovere che legittima l’adempimento dell’obbligazione naturale ne evidenzia la differenza: la moralità può avere una connotazione individuale perché considerare un’azione come doverosa o meno può attenere alla sfera intima di un solo soggetto. Il concetto di socialità implica, al contrario, che un’azione sia ritenuta dalla maggioranza come opportuna o doverosa e l’inadempimento comporterebbe un comune senso di riprovazione e sdegno nei confronti dell’autore dell’atto. Per questo è essenziale distinguere la moralità dalla socialità e accertare la sussistenza di entrambi nel dovere che giustifica l’obbligazione naturale.
Alla luce del dato normativo, l’unico effetto prodotto dall’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. è la soluti retentio, ovvero l’irripetibilità di quanto è stato prestato. L’ordinamento giuridico infatti non accorda un’azione per ottenere l’adempimento della prestazione – che infatti non è doverosa ma spontanea- ma nega la possibilità di domandare la restituzione di quanto prestato. Da ciò emerge che il presupposto dell’obbligazione naturale è la datio rei, ovvero la consegna della cosa, in un negozio reale a effetti reali: in caso contrario non potrebbe dirsi realizzato l’unico effetto riconosciuto a tale tipo di obbligazione.
Qual è la ratio di tale accorgimento? L’ordinamento giuridico riconosce quale unico effetto all’obbligazione naturale la soluti retentio, presupponendo la datio rei, per rafforzare la causa debole dell’obbligazione. L’art. 2034 c.c. prevede infatti una causa economicamente disinteressata, cosiddetta debole, che necessita di un surrogato che in questo caso è ravvisato nella consegna della cosa. La causa economicamente debole è comune anche al contratto di donazione, che infatti sopperisce alla debolezza causale con la previsione della forma solenne.
La giurisprudenza più recente si chiede: se la debolezza della causa economicamente disinteressata necessita di un rafforzamento che può essere ravvisato nella datio rei, ovvero in un negozio reale a effetti reali, potrebbe invece adempiersi a un’obbligazione naturale mediante l’assunzione di un’obbligazione civile? Ovvero senza trasferire e consegnare la cosa ma promettendo di farlo?
Potrebbe dunque configurarsi un negozio a effetti obbligatori -anziché reali- che trova la propria giustificazione causale nell’adempimento di un’obbligazione naturale?
A contrastare prima facie questa eventualità si pongono tre elementi: in primo luogo l’obbligazione naturale non avrebbe più come effetto esclusivo la soluti retentio, ma anche la nascita di un’obbligazione civile; verrebbe sostituita l’originaria obbligazione naturale con un’obbligazione civile come se fosse posta in essere una novazione, ma senza che vi siano i presupposti legittimanti: la novazione presuppone infatti la sussistenza di una valida obbligazione civile a monte che -di comune accordo- viene estinta per essere sostituita da un’obbligazione diversa per titolo e per oggetto. Nel caso in esame sarebbe impossibile dar luogo alla novazione perché a monte si ha un’obbligazione naturale, non civile. Infine, verrebbe leso il principio di tipicità delle promesse unilaterali: si darebbe luogo a una promessa unilaterale di pagamento atipica, non prevista dal legislatore.
In realtà questi ostacoli possono essere facilmente superati perché l’obbligazione civile non si sostituisce ma si affianca all’obbligazione naturale, ravvisando in essa solo il presupposto causale, per cui l’adempimento dell’obbligazione civile comporterebbe l’estinzione di entrambe le obbligazioni.
Da ciò emerge come l’unico effetto prodotto dall’obbligazione naturale sarebbe in ogni caso la soluti retentio, perché l’obbligazione civile, affiancandosi a quella naturale originaria, non è effetto di quest’ultima.
Non si realizzerebbe nemmeno una novazione perché il soggetto assume un’obbligazione ulteriore, quella civile, al fine di adempiere all’obbligazione naturale a monte e senza sostituirla.
Infine, occorre evidenziare che sono ammissibili le promessi unilaterali atipiche, in base a quanto previsto dall’art. 1333 c.c., purché abbiano una giustificazione causale.
Unico vero ostacolo a riconoscere la possibilità di adempiere a un’obbligazione naturale mediante l’assunzione di un’obbligazione civile è che la causa rimarrebbe debole: non vi sarebbe alcun elemento idoneo a sopperire alla debolezza della causa economicamente disinteressata come la datio reio il rigore formale previsto per la donazione.
Un negozio con causa debole è un negozio privo di giustificazione causale, dunque un negozio giuridico nullo.
In conclusione, nonostante queste argomentazioni ci permettano di superare i primi dubbi sulla possibilità di affiancare all’obbligazione naturale l’obbligazione civile e mediante l’adempimento della seconda estinguere entrambe, la conclusione rimane la stessa, ovvero l’impossibilità di tale operazione, con una sola eccezione riconducibile alla famiglia di fatto.
Per famiglia di fatto si intende l’unione tra persone maggiorenni che, pur non essendo legate dal vincolo matrimoniale, convivono come se fossero coniugate -convivenza more uxorio– con i figli eventualmente nati dalla loro unione.
Inizialmente, la stabile convivenza tra persone non coniugate risultava priva di una disciplina legislativa e – riconosciuta quale formazione sociale nella quale l’individuo esplica la propria personalità- riceveva copertura costituzionale dall’art. 2 Cost., norma nota quale fonte dei diritti di quarta generazione. Ma come regolamentare le prestazioni effettuate nell’ambito di una convivenza di fatto? Non si tratterebbe infatti di obbligazioni giuridicamente vincolanti come quelle che sorgono nell’ambito del matrimonio, ma sarebbero solo contributi spontanei, adempimento di doveri morali e sociali, esclusivamente irripetibili.
Solo nel 2016, con la Legge Cirinnà, la n. 76, il legislatore attribuisce alla famiglia di fatto una regolamentazione unitaria, e di conseguenza muta anche il regime giuridico dei contributi: l’unica ipotesi in cui è possibile assumere un’obbligazione civile per adempiere a un’obbligazione naturale diventa il contratto di convivenza.
Con la stipula del contratto di convivenza quelle prestazioni che sarebbero giustificate solo come adempimento di un dovere morale e sociale di sostegno e supporto nei confronti del convivente e di contribuzione al menage familiare, diventano delle vere e proprie obbligazioni civili, giuridicamente coercibili, che non si limitano a produrre quale unico effetto la soluti retentio.
Il contratto di convivenza è l’eccezione che conferma la regola: l’unico caso espressamente previsto dal legislatore che permette di assumere obbligazioni civili per adempiere quelle che altrimenti sarebbero solo obbligazioni naturali.
L’ordinamento giuridico in questo caso eccezionale riconosce un negozio a effetti obbligatori che trova la propria giustificazione causale nell’adempimento di un’obbligazione naturale.
Ovviamente la causa dell’obbligazione naturale è economicamente disinteressata, per cui, onde evitare il sorgere di un’obbligazione civile priva di giustificazione causale e pertanto nulla, il contratto di convivenza deve rispettare dei requisiti formali precisi: deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato che attesti la conformità dell’accordo all’ordine pubblico e alle norme imperative.
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Maria Lavinia Violo
Avvocato; laurea conseguita all'Università La Sapienza di Roma con 110/110 e lode