Danno cagionato da animali: una norma poco conosciuta, ma insidiosa

Danno cagionato da animali: una norma poco conosciuta, ma insidiosa

Tribunale di Pordenone, sentenza n. 304/2018

Tutta colpa di quel guinzaglio…

In tema di responsabilità extracontrattuale (laddove manca un precedente rapporto o vincolo obbligatorio tra due persone che solo accidentalmente entrano in contatto) il fatto che ha determinato un danno deve essere doloso o colposo (ex. art. 2043 c.c.) e   il danno deve essere legato al fatto da un nesso di causalità (sicché se si elimina il fatto non si determina il danno).

Se questa è la regola, Vi sono però ipotesi in cui si prescinde quindi dalla rimproverabilità per colpa o dolo. La responsabilità extracontrattuale diventa responsabilità oggettiva.

La responsabilità per danno cagionato da animali è una ipotesi di responsabilità oggettiva. Lart. 2052  cc dispone che il proprietario  di un animale  o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile  dei danni cagionati  dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito  o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. La norma, espressione di una visione antropocentrica, è eredità di un mondo antico dove l’animale  era  inteso quale “bene” in grado di attribuire un’utilità economica al soggetto che lo utilizzava e, poiché spesso  potenzialmente pericoloso, quel soggetto era chiamato a rispondere per i danni da esso animale cagionati proprio per il fatto di sfruttarlo economicamente.

Mettiamo sotto la lente di ingrandimento questa norma. 

Non rilevano le caratteristiche dell’animale, la pericolosità. Neppure l’eventuale fuga o smarrimento. Neppure rileva che l’animale abbia cagionato il danno con un comportamento inconsueto e imprevedibile (data, ad esempio, la risaputa mansuetudine e tranquillità). Deve esserci una partecipazione attiva alla causazione dell’evento dannoso. Ergo, se taluno  inciampa sul corpo del cane, tra l’altro di notevole mole, accovacciato in modo ben visibile all’interno di un esercizio commerciale, non può  chiedere i danni al suo proprietario. Si badi bene che non deve necessariamente riscontrarsi un contatto fisico tra animale e danneggiato essendo sufficiente che il fatto posto in essere dall’animale si ponga come causa primaria dell’evento (indietreggio per l’avvicinarsi minaccioso di un cane e inciampo nel gradino che non vedo).

Il presupposto di attribuzione della responsabilità si fonda sulla mera relazione di fatto intercorrente con l’animale e non discende dall’azione umana. E’ irrilevante qualsiasi indagine circa colpa, diligenza, prudenza, perizia in capo all’umano. Solo il caso fortuito salva può salvare il proprietario dell’animale laddove per caso fortuito si intende un fattore esterno alla causazione del danno che presenti i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e eccezionalità, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento lesivo. Rientra in tale ambito il fatto del terzo e il fatto colposo del danneggiato che abbiano avuto comunque efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Il danneggiato deve solo dimostrare il nesso eziologico tra il fatto dell’animale e il danno subito, con l’effetto, tuttavia, che, in difetto di tale prova, la sua domanda va rigettata a prescindere dall’accertamento del fortuito. Una volta però assolto dal danneggiato il suo onere probatorio, incombe al danneggiante non già la prova negativa della propria assenza di colpa, ma quella positiva della ricorrenza del fortuito. 

Svolte queste forse noiose ma necessarie premesse, veniamo al fatto deciso dal Tribunale di Pordenone. Un fatto che, pur inserendosi in una copiosa e consolidatasi giurisprudenza, è importante perché sottolinea, ancora una volta, quanto sia importante una matura consapevolezza di quelle che sono le responsabilità in capo a chi ha la fortuna di condividere un tratto della sua vita insieme ad un animale (nel caso di specie, un cane). E di quanto ritenute innocenti libertà (come quella di non condurre a guinzaglio il proprio cane o lasciarlo incustodito) possano determinare danni importanti.

Tizio, nel mentre si appresta ad entrare in un ambulatorio medico, non si avvede della presenza accidentale di un cane non tenuto al guinzaglio da alcuno e inciampa nel guinzaglio, rovinando per terra. Segue la richiesta a Caio, proprietario del cane, dei danni derivati dalla caduta (trauma cranico lieve non commotivo, contusione della mano sinistra con frattura dell’epifisi radiale). Caio ha una versione differente secondo la quale Tizio, distratto da una conversazione telefonica al cellulare ed avendo la visuale impedita da un voluminoso plico che teneva in mano, non si avvedeva dell’animale tenuto a guinzaglio dallo stesso Caio inciampando prima sul cane e poi sul suo guinzaglio. Solo a seguito della caduta Caio avrebbe legato il proprio cane ad un palo per prestare soccorso a Tizio.

In buona sostanza emergerebbe -secondo Caio- che il comportamento di Tizio, palesemente distratto, sia stato senz’altro idoneo ad interrompere il nesso eziologico dal momento che -se solo fosse stato più attento- avrebbe certamente visto il cane regolarmente tenuto al guinzaglio evitando di inciamparvi.

Seguiamo il ragionamento  del Tribunale.

L’esistenza del rapporto eziologico tra l’animale e l’evento lesivo, onere che incomberebbe su Tizio, viene finanche riconosciuto da Caio il quale dichiara nei propri scritti difensivi che Tizio -impegnato in una conversazione telefonica al cellulare ed avendo la visuale impedita da un voluminoso plico tenuto  in mano – inciampava sia sul cane che sul  guinzaglio, cadendo a terra.

Rilevante diventa la sussistenza del c.d. caso fortuito che potrebbe consistere in un comportamento imprudente di Tizio il quale nel corso del giudizio ha però negato di essere stato impegnato in una  conversazione telefonica, come pure di avere avuto la visuale impedita.

Dalle testimonianze escusse emergerebbe  che  nel momento in cui è avvenuta la caduta Caio non si trovava all’esterno dell’ambulatorio medico con a fianco il proprio cane al guinzaglio ma si trovava, invece, seduto nella sala d’attesa dell’ambulatorio medico, totalmente immerso nella lettura del giornale, mentre il suo cane, lasciato incustodito all’esterno con la catena lunga del guinzaglio legata attorno ad un palo poteva muoversi liberamente e, soprattutto, tentava di raggiungere all’interno dell’ambulatorio il proprio padrone, ogni volta che qualcuno entrava dalla porta.

Per il Tribunale  è assolutamente coerente  ritenere che durante uno dei tentativi fatti dal cane, Tizio sia caduto inciampando prima sull’animale e poi sul guinzaglio. Circostanza che peraltro  risulta dalla dichiarazione  di un testimone che aveva riferito di aver udito una sorta di  tonfo.

Non mi soffermo circa le considerazioni, pur interessanti, che hanno argomentato la liquidazione del danno valutato e individuato dal  Tribunale. Tribunale che  ha accertato la responsabilità di Caio ai sensi dell’art. 2052 c.c. condannandolo a corrispondere a Tizio -a titolo risarcitorio -euro 8.683,04. Segue la condanna alla rifusione delle spese processuali sostenute da Tizio, delle spese di CTU nonché di quelle di CTP. Avendo Caio chiamato in malleva la propria compagnia di assicurazione, questa viene condannata come terza chiamata a tener indenne Caio stesso di quanto questi deve corrispondere a Tizio in forza della sentenza.


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