Danno “da fermo tecnico”: breve disamina del contrasto giurisprudenziale
Il danno “da fermo tecnico” è un particolare pregiudizio di tipo patrimoniale. Esso consiste nei danni subiti dal proprietario di un veicolo a causa dell’impossibilità di utilizzare il medesimo per il tempo necessario alla sua riparazione. L’ipotesi più frequente è quella del danno “da fermo tecnico” conseguente ad un sinistro stradale[1].
Tale categoria di danno ha formato oggetto di un articolato dibattito giurisprudenziale, volto a definire se il danno medesimo possa essere qualificato o meno come danno in re ipsa.
Il primo orientamento, più risalente negli anni (Cass. n. 2109/1972), qualifica il pregiudizio in esame come un danno in re ipsa, liquidabile, cioè, anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso a cui esso era destinato. Tale corrente di pensiero si fonda sull’assunto secondo cui il fermo di un veicolo, durante il periodo necessario per le riparazioni, è fonte di un pregiudizio patrimoniale, che in quanto tale deve essere risarcito (Cass. n. 13215/2015 e Cass. n. 22687/2013). Tale pregiudizio consistente: a) nella tassa di circolazione; b) nel premio assicurativo; c) nella diminuzione di valore del mezzo causata dal sinistro.
Inteso in questi termini, il danno “da fermo tecnico” sarebbe risarcibile in via automatica: il danneggiato che ne chiede il ristoro è tenuto a dimostrare solo i giorni di fermo del veicolo, senza dover fornire specifica prova dei pregiudizi patiti, poiché questi sono da considerarsi conseguenza naturale e immediata della sosta forzata della vettura. Ovviamente, il risarcimento di tale posta di danno deve ritenersi escluso ove la parte controinteressata fornisca in giudizio idonea prova contraria.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, inoltre, il danno “da fermo tecnico”, nel caso in cui non sia possibile determinare con esattezza l’ammontare dello stesso, è liquidabile in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.. In quanto danno in re ipsa, infatti, rileva la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato (cfr. Cass. 6907/2012).
La seconda corrente giurisprudenziale, invece, in contrasto con l’orientamento sopra esaminato, ritiene che il danno “da fermo tecnico” non sia qualificabile come in re ipsa, e quindi automaticamente risarcibile, ma sostiene che lo stesso debba essere provato in concreto. Secondo tale giurisprudenza, ai fini della risarcibilità del danno “da fermo tecnico” di veicolo incidentato, è necessario che il pregiudizio sia allegato e dimostrato. La relativa prova, inoltre, non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo o della perdita dell’utilità economica derivante dalla rinuncia forzata ai proventi ricavabili dal suo uso (cfr. Cass. n. 13178/2017).
L’orientamento in esame si basa su diversi assunti, analizzati in prima battuta dalla Cass. n. 20620/2015 e poi ripresi dalla pronuncia n. 9348/2019.
In primo luogo, secondo gli Ermellini, non sono ammissibili nel nostro ordinamento forme di danno in re ipsa, cioè risarcimenti che derivano dalla lesione dell’interesse giuridicamente tutelato. In caso contrario, infatti, si andrebbe incontro ad una duplice conseguenza: a) il danno coinciderebbe con l’evento dannoso e non consisterebbe nelle conseguenze derivanti dallo stesso, di talché il danno verrebbe risarcito anche in assenza di un effettivo pregiudizio; b) la responsabilità civile verrebbe utilizzata in funzione sanzionatoria, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
In secondo luogo, la S.C. ritiene erroneo l’assunto, proprio dell’orientamento giurisprudenziale contestato, per cui il danno “da fermo tecnico” possa essere liquidato in via equitativa.
La liquidazione operata ai sensi dell’art. 1226 c.c., infatti, trova applicazione qualora il pregiudizio sia stato provato nell’an, ma vi sia incertezza in merito al quantum. Questo in quanto il potere del giudice di liquidare equitativamente il danno ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della sua precisa determinazione e non può sopperire ad eventuali mancanze delle parti dal punto di vista probatorio.
In terzo luogo, la Corte ritiene infondato che il fermo forzoso del veicolo determini un pregiudizio patrimoniale consistente nel pagamento della tassa di circolazione, nelle spese di assicurazione e nel deprezzamento del veicolo. Tale assunto su basa su tre ordini di ragioni: a) la tassa di circolazione è una tassa di proprietà e il suo pagamento prescinde dall’utilizzazione del mezzo, ma è dovuto per il semplice fatto dell’iscrizione del medesimo al Pubblico Registro Automobilistico. Essendo dovuto in ogni caso, quindi, il pagamento della tassa di circolazione non può in alcun modo integrare un danno; b) il premio assicurativo non può ritenersi mai “inutilmente pagato”, in quanto, da una parte, il rischio che il veicolo possa causare danni a terzi non viene meno durante il periodo della riparazione e, dall’altra, perché durante il periodo della riparazione il proprietario potrebbe chiedere all’assicuratore la sospensione dell’efficacia della polizza. Ove ciò non avvenga, il pagamento del premio sarebbe riconducibile ad una negligenza del danneggiato, allo stesso imputabile ai sensi dell’art. 1227 c.c., e non potrebbe costituire un danno risarcibile; c) il deprezzamento del bene non è in una relazione causale con il fermo tecnico. Se da un canto, infatti, il deprezzamento è causato dalla necessità della riparazione e non dalla durata di questa, dall’altro esso non è una conseguenza necessaria del fermo tecnico, ma un danno eventuale da accertare caso per caso (ad esempio, la riparazione di un veicolo obsoleto e malandato potrebbe addirittura fargli acquistare un valore superiore a quello che aveva prima del sinistro).
Infine, la S.C. ritiene non corretto affermare che l’indisponibilità del veicolo durante il tempo delle riparazioni costituirebbe un danno patrimoniale “a prescindere dall’uso a cui esso era destinato”.
Non potere utilizzare un veicolo per svago o diporto non costituisce una perdita patrimoniale, ma un pregiudizio d’affezione: come tale non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c., mancando la lesione di un interesse della persona costituzionalmente garantito[2].
In base all’orientamento appena esaminato, quindi: – il danno da “fermo tecnico”, consistente nel pregiudizio derivante dall’indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni, non è un danno in re ipsa, ma, perché sia risarcibile deve essere allegato e dimostrato; – la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve avere ad oggetto la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo (danno emergente), ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo (lucro cessante).
Questa seconda corrente di pensiero sembra essere, allo stato, quella prevalente, ma non quella definitiva. Appare, quindi, quanto mai opportuno un intervento delle Sezioni Unite, al fine di addivenire ad un orientamento unitario in materia di danno da “fermo tecnico”.
[1] Si tratta di una categoria di danno elaborata dalla giurisprudenza degli anni ’50, che riconosceva il risarcimento del danno “da fermo tecnico” nel solo caso del pregiudizio patito dalle vetture del trasporto pubblico (taxi) che venivano coinvolte in un sinistro e che, non potendo essere utilizzate nel tempo della riparazione, erano fonte di una perdita di guadagno. Con l’evoluzione della giurisprudenza, il risarcimento per “la sosta forzata in officina” è stato progressivamente esteso anche alle vetture private, in quanto cominciava a farsi largo l’idea per la quale l’inutilizzabilità del veicolo fosse di per sé fonte di un pregiudizio.
[2] Sul punto si veda Cass. n. 13178/2017 secondo cui non pare possibile “negare rilevanza all’uso effettivo a cui il veicolo in riparazione era destinato, omettendo di considerare che, al contrario, l’uso effettivo del veicolo assume rilievo determinante ai fini della esistenza di un danno risarcibile, non potendosi dubitare, sotto questo aspetto, della differenza intercorrente tra il pregiudizio derivante dal fermo di un mezzo utilizzato solo per ragioni di svago e il pregiudizio derivante dal fermo di un mezzo utilizzato per ragioni di lavoro”.
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