Danno da nascita indesiderata: diritto al risarcimento del concepito
Nel novero dei danni non patrimoniali ha rinvenuto collocazione, recentemente, il cd. danno da nascita indesiderata.
Tale peculiare species di danno non patrimoniale ricorre qualora, a causa della mancata rilevazione e/o comunicazione di malformazioni congenite del feto, la gestante perda, secondo quanto sancito dalla L. n. 194/1978, la concreta possibilità di interrompere la gravidanza.
Particolare attenzione, difatti, ha destato la questione giuridica sottesa al riconoscimento in capo al concepito, e non solo alla partoriente, della legittimazione alla richiesta risarcitoria nei confronti del medico, il quale abbia omesso di appurare e/o informare delle malformazioni fetali.
Dottrina e giurisprudenza, pertanto, si sono domandate se l’individuo, nella fase prenatale, sia da considerare soggetto effettivamente tutelabile e, dunque, titolare, al pari di tutti gli altri soggetti giuridici, del diritto al risarcimento del danno sofferto.
Nonostante il legislatore, secondo quanto stabilito dall’art. 1 cod. civ., subordini l’acquisto della capacità giuridica (vale a dire l’idoneità d’essere titolari di diritti e doveri) alla nascita, consolidato orientamento ritiene che, ancora prima di tale momento, l’individuo sia titolare di diverse posizioni giuridiche soggettive, aventi tutte una propria rilevanza.
La tutela del concepito, che già viene in rilievo in numerosi articoli del codice civile, difatti, ha fondamento costituzionale: l’art. 31, comma 2, Cost. impone, espressamente, la protezione della maternità e, più in generale, l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali, sicuramente, si colloca la tutela del soggetto nella fase prenatale.
Ne segue che tra le diverse posizioni giuridiche soggettive sussistenti e riconosciute in capo al nascituro v’è da annoverarsi, in particolare, la legittima aspettativa alla vita e, di riflesso, la legittima aspettativa a nascere e vivere come individuo sano.
Il pieno sviluppo della persona umana e la libera estrinsecazione della personalità, difatti, costituiscono beni costituzionalmente garantiti e protetti; di conseguenza, la lesione subita dal nascituro durante la gestazione, consistente nella materiale riduzione della legittima aspettativa alla vita sana, ben può essere qualificata come danno ingiusto e può, pertanto, far sorgere in capo al soggetto leso, una volta nato, il diritto al relativo risarcimento, “comprensivo sia della valutazione relativa al cd. danno biologico, sia di quella relativa ai danni che di quest’ultimo sono conseguenze indotte, ossia quello di natura morale e quello attinente alla diminuita capacità lavorativa” (cfr. Cass. Civile, nr. 10741/2009).
Ciò in virtù della circostanza per la quale il contratto di prestazione professionale, che viene a stipularsi tra partoriente, medico ed ente ospedaliero, non è un semplice negozio a favore di terzi ma un contratto con effetti protettivi , che impone ai prestatori d’opera l’obbligo di non arrecare danni al nascituro, con la conseguenza che, in caso di inadempimento, possa agire in giudizio anche il soggetto a protezione del quale è posto l’obbligo.
Il professionista medico, pertanto, in questo rapporto trilaterale, non è soltanto giuridicamente responsabile della salute della gestante ma è, ulteriormente, gravato da una piena responsabilità futura nei riguardi del nascituro: assicurargli, seguendo tutte le linee guida ed i protocolli sviluppatisi in letteratura medica, il diritto a vivere ed a vivere sano.
Più specificamente, in caso di malformazioni fetali, sul medico grava il dovere di informare accuratamente la partoriente, laddove dalle analisi abituali risultino valori indiziari di anomalie, della possibilità di sottoporsi a test diagnostici prenatali più efficaci ed attendibili, che consentano di meglio indagare la formazione del feto; laddove il professionista sanitario ometta di segnalare la possibilità di avvalersi di tali esami, il concepito, una volta nato, avrà diritto ad essere risarcito “del danno consistente nell’essere nato non sano e rappresentato dall’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impeditiva di una libera estrinsecazione della personalità, a nulla rilevando che la sua patologia fosse congenita, né che la madre, ove fosse stata informata, avrebbe verosimilmente scelto di interrompere la gravidanza” (cfr. Cass. Civ., nr. 16754/2012).
Giova ricordare, infine, che il contratto con effetti protettivi, che viene ad instaurarsi tra gestante, medico e struttura sanitaria, esplica la sua efficacia giuridica nei confronti di tutti gli altri terzi collegati da un particolare rapporto con la gestante. Ne segue, dunque, che tra i soggetti terzi legittimati alla richiesta risarcitoria rientrano anche il padre del nascituro, i fratelli e le sorelle, così come espressamente chiarito dalle Sezioni Unite dalla Corte di Cassazione.
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Simona Vitale
Consulente legale, esperta in diritto civile e diritto di famiglia, appassionata di scrittura e buona lettura.
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