Danno da perdita di chance: Consiglio di Stato n. 372/2017, risarcimento e onere probatorio

Danno da perdita di chance: Consiglio di Stato n. 372/2017, risarcimento e onere probatorio

Il Consiglio di Stato, giusta sentenza n. 372/2017, ha ritenuto infondata una domanda di risarcimento del danno da perdita di chances.

La disamina della fondatezza di tale pretesa risarcitoria postula una sintetica ricognizione dei principi e delle regole che presidiano lo scrutinio della spettanza del relativo diritto.

La configurabilità della responsabilità della p.a. per i danni provocati dall’azione amministrativa esige: l’adozione di un provvedimento illegittimo; la dimostrazione del dolo o della colpa, quale elemento costitutivo del diritto al risarcimento, dell’autorità che ha emanato l’atto e la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, nella sfera patrimoniale del presunto danneggiato, un pregiudizio economico direttamente riferibile all’assunzione od all’ esecuzione della determinazione illegittima. Con riferimento al danno provocato dalla P.A. assume rilevante importanza il c.d. lucro cessante, nella peculiare declinazione della c.d. perdita di chance, e cioè, nel pregiudizio sofferto per aver perduto, quale conseguenza dell’adozione di atti illegittimi, l’occasione di conseguire il bene della vita che l’interessato avrebbe potuto ottenere se l’amministrazione si fosse comportata correttamente.

Al termine chance, la dottrina ha attribuito, nel corso degli anni, diversi funzioni: in una prima ipotesi è stato rilevato che la chance svolgerebbe una funzione eziologica, poiché consentirebbe di ritenere provato il nesso causale tra attività dell’amministrazione e mancato conseguimento del bene della cita sotteso all’interesse pretensivo, ne caso di superamento del 50% delle  possibilità di ottenere il bene della vita; in altre occasioni la chance è stata considerata come bene giuridico in sé , leso dall’amministrazione in relazione ad una tipologia di attività che per sua natura non consente di ritenere con certezza che il privato avrebbe ottenuto il bene della vita negatogli. Non viene, dunque, in rilievo il danno da lucro cessante ma il danno emergente. In altri termini, secondo la prima tesi dottrinale, essendo la chance intesa come lucro cessante, e cioè, come perdita o diminuzione della possibilità di conseguire un risultato favorevole, il soggetto che agisca per il risarcimento è tenuto a dimostrare che senza quel fatto dannoso avrebbe ottenuto il risultato favorevole, con certezza o con un grado di probabilità vicino alla certezza. A parere di altri autorevoli autori, il soggetto dovrà provare la sussistenza di una possibilità di raggiungimento del risultato favorevole.

La rilevante tematica è stata oggetto di analisi da parte della giurisprudenza amministrativista. La giurisprudenza, in particolare, si è occupata di precisare il rapporto esistente tra perdita di chance e lesione dell’interesse pretensivo, quante volte l’amministrazione sia munita di un potere discrezionale dal cui esercizio, solo, dipenda l’accertamento della spettanza del bene della vita.

Ed invero, è stata proposta una via interpretativa in grado di avvicinare le due tesi dottrinali sopraesposte. Si rileva che, affinché un’occasione possa acquisire rilevanza giuridica, ossia ricevere tutela da parte dell’ordinamento, è necessario che sussista una consistente possibilità di successo. La chance che non trova adeguato apprezzamento nella sua ontologica consistenza appare irrilevante sul piano giuridico. Vengono così a fondersi i due orientamenti, da un lato perché la chance si palesa quale bene giuridico autonomo ascrivibile alla posta del danno emergente; dall’altro, perché si attribuisce alla posta del danno emergente; dall’altro, perché si attribuisce rilievo decisivo al giudizio prognostico, al fine di ritenere giuridicamente rilevante la chance da successo. Occorre, inoltre, operare una valutazione secondo la miglior scienza ed esperienza, in modo da formulare un giudizio il più possibile corretto.

La peculiarità delle posizioni giuridiche di vantaggio consente di operare un distinguo, quanto al grado di accuratezza del giudizio probabilistico, tra attività vincolata, attività tecnico-discrezionale e attività discrezionale pura.

Nei primi due casi, il giudice amministrativista potrà fittiziamente sostituirsi- ai soli fini risarcitori- all’amministrazione, per individuare con certezza il grado di possibilità di ottenimento, da parte del privato asseritamente leso, del bene della vita, irrimediabilmente perso, che poteva scaturire dalla chance.

Al contrario, in presenza di attività discrezionale pura, e quindi di parametri valutativi elastici, attraverso i quali si articola l’esercizio del potere della P.A., il g.a. non potrà, nella generalità dei casi, enucleare un valido giudizio prognostico in termini di preciso calcolo percentuale, ma ciò, non esclude di poter riconoscere una perdita di chance, sulla base del grado di approssimazione al bene della vita, raggiunto dal ricorrente.

Quanto all’onere probatorio in capo al ricorrente, la domanda risarcitoria proposta dinnanzi al g.a. è soggetta ai principi generali: chi la propone deve dimostrare in modo rigoroso i fatti e gli elementi specifici che ne costituiscono fondamento, poiché si trova nella posizione migliore per poterlo fare, secondo la regola c.d. della vicinanza della prova. Nel caso di risarcimento per perdita di chance, l’interessato deve dare la prova certa che, se l’atto illegittimo non fosse stato emanato, egli si sarebbe effettivamente aggiudicato il bene della vita cui aspirava.

L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance esige, dunque, la prova anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. Anche nelle ipotesi di illegittimo esercizio del potere amministrativo in gare pubbliche, è onere del ricorrente, ex art. 2691 c.c., fornire al giudice la prova dell’esistenza e dell’entità del danno lamentato. Il ricorrente è tenuto a dimostrare la percentuale di utile effettivo che avrebbe davvero conseguito se fosse risultato aggiudicatario della gara, tenendo conto di tutte le voci di costo.

In merito alla questione della risarcibilità del danno da perdita di chance in materia di appalti si rammenta che l’art.245 –quinquies del codice dei contratti pubblici (introdotto dal d.lgs. n 53/2010 e trasfuso con modifiche nell’art.124 c.p.a.) precedeva testualmente “ se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone, su domanda e a favore del ricorrente avente titolo all’aggiudicazione, il risarcimento per equivalente del danno da questi subito e provato”. Con tale previsione, il legislatore avrebbe configurato la “spettanza” dell’aggiudicazione quale presupposto indefettibile per la risarcibilità dei danni subiti, così escludendo voci di danno come la c.d. perdita di chance, subìta da imprese che avessero partecipato alla procedura di gara- poi dichiarata illegittima, impiegando e distogliendo al contempo da altri affari risorse finanziarie e mezzi tecnici. La chance non era, dunque, suscettibile di risarcimento per equivalente ai sensi dell’art.245 –quinquies, e ciò, in contrasto con il diritto europeo. Sulla questione ha inciso il c.p.a. che, con la nuova disposizione normativa, di cui all’art. 124 consente anche il risarcimento della semplice chance di conseguire l’aggiudicazione della gara.

Sul punto è intervenuta anche una sentenza della Corte di Giustizia nel 2010 che ha affermato che una normativa nazionale non può subordinare il risarcimento dei danni derivanti da violazioni della p.a., commesse nel corso di gare di appalto, al carattere colpevole di tale violazione.

Nelle controversie aventi ad oggetto le procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, la perdita di chance può, dunque, essere esercitata solo quando vengono giudicate illegittime l’esclusione di un’impresa da una gara o l’aggiudicazione della stessa a un’altra impresa e quella individualmente pretermessa dall’affidamento dell’appalto riesce a dimostrare che, se la procedura fosse stata amministrata correttamente, la sua offerta avrebbe avuto concrete probabilità di essere selezionata come la migliore, risultando provato, in questo caso, il nesso causale diretto tra la violazione accertata e la perdita patrimoniale ( nella forma di lucro cessante) patita dalla concorrente alla quale è stata invalidamente sottratta l’occasione di conseguire l’aggiudicazione.

Quando, invece, viene giudicato illegittimo l’affidamento diretto di un appalto, l’impresa che lo ha impugnato riceve in via generale una tutela risarcitoria integralmente satisfattiva per mezzo dell’effetto conformativo, che impone all’amministrazione di bandire una procedura aperta per l’affidamento dell’appalto. Nelle ipotesi, tuttavia, in cui tale forma di tutela non è più possibile, quella risarcitoria per equivalente da perdita di chance resta, in ogni caso, preclusa dal fatto che l’impresa asseritamente danneggiata non può dimostrare, di aver perduto, quale diretta conseguenza dell’invalida assegnazione del contratto da altra impresa, un’occasione concreta di aggiudicarsi quell’appalto. Le possibilità che l’impresa si sarebbe aggiudicato l’appalto, se l’amministrazione lo avesse messo a gara, sono pari a quelle di qualsiasi altro operatore del settore legittimato a partecipare alla procedura, sicché resta preclusa l’analisi delle concrete possibilità di esito favorevole della selezione per l’impresa asservitamente danneggiata.

La situazione, come descritta, è stata oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato, n. 372 del 2017. Il Consiglio di Stato, giusta sentenza n. 372/2017, ha ritenuto infondata una domanda di risarcimento del danno da perdita di chances. Essa è stata avanzata da una società classificatasi al secondo posto di un appalto pubblico di servizi. Nelle ipotesi di illegittimo esercizio del potere amministrativo in gare pubbliche, è onere del ricorrente, ex art. 2697 c.c., fornire al giudice la prova sia dell’esistenza che dell’entità del danno lamentato. Nel caso affrontato il Giudice ha verificato la sussistenza dell’elevata probabilità che, in assenza dell’ipotizzato evento lesivo, l’interessato avrebbe con oggettiva ragionevole sicurezza ottenuto il risultato sperato. In difetto di prova e di idonea allegazione che avrebbe consentito la corretta quantificazione del danno, la domanda risarcitoria è stata respinta. Così decifrata la domanda sostanzialmente azionata dalla ricorrente, si deve rilevare che la configurabilità della responsabilità della pubblica amministrazione per i danni provocati dall’azione amministrativa esige l’adozione di un provvedimento illegittimo, la dimostrazione del dolo o della colpa, da valersi quale elemento costitutivo del diritto al risarcimento, dell’autorità che lo ha emanato, non essendo sufficiente il solo annullamento dell’atto lesivo (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 11 marzo 2015, n.1272), e la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, nella sfera patrimoniale del presunto danneggiato, un pregiudizio economico direttamente riferibile all’assunzione od all’esecuzione della determinazione illegittima (cfr ex multis Cons. St., sez, VI, 8 luglio 2015, n.3400).

Passando all’ambito della quantificazione del danno, nel caso di mancata aggiudicazione, lo stesso deve essere quantificato con il lucro cessante da identificarsi con l’interesse c.d. positivo, cioè l’interesse alla esecuzione della prestazione. Al suo interno possono distinguersi il mancato profitto e il danno c.d. curricolare, vale a dire il pregiudizio subìto a causa del mancato incremento delle proprie esperienze professionali. In mancata utile spetta in misura integrale se si dimostra di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. Ai fini della prova del mancato profitto si può far ricorso alle c.d. presunzioni, è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto.

La valutazione equitativa, invece, è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità, o di estrema difficoltà, di una precisa prova sull’ammontare del danno.

Sul tema del c.d. danno curriculare, cioè il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in essa l’avvenuta esecuzione dell’appalto, il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento. La voce del danno in questione, sebbene suscettibile di apprezzamento in via equitativa, esige in ogni caso l’allegazione, da parte del soggetto interessato, di tutti gli elementi atti a concretizzarla, facendo riferimento, ad esempio, al peso delle referenze correlate all’esecuzione dell’appalto, onde apprezzare che l’impossibilità di allegarle incida, infuturo, sulle chances di aggiudicazione di ulteriori appalti.

Il mancato utile derivante dal contratto illegittimamente aggiudicato a terzi spetta in misura integrale al ricorrente purché dimostri di non aver utilizzato i propri beni strumentali in altre commesse. Diversamente, si può presumere che il ricorrente abbia utilizzato, o avrebbe dovuto utilizzare, rispettando l’ordinaria diligenza, detti beni in altri lavori, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.


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