DASPO: si applica anche durante un allenamento di calcio
T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. I, 23 ottobre 2015, n. 1347
a cura di Giacomo Romano
Quanto all’ambito oggettivo di applicazione del DASPO le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa. In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità.
Il fatto
Nel corso degli allenamenti della squadra Brescia calcio presso il campo sportivo ubicato all’interno del “Centro San Filippo” di Brescia tre tifosi, appartenenti al gruppo ultrà “Curva Nord Brescia”, facevano irruzione nel terreno di gioco approfittando di un cancello rimasto inavvertitamente aperto, interrompendo l’allenamento della squadra e ingaggiando un acceso confronto con l’allenatore al fine di indurlo ad abbandonare l’incarico a causa dei risultati insoddisfacenti della squadra. Tale episodio non degenerava solo grazie al tempestivo interventi del personale della DIGOS.
Con tre distinti provvedimenti, il Questore di Brescia disponeva nei confronti dei tifosi la misura del c.d. DASPO.
I tifosi, così, agivano in giudizio per sull’assunto che il DASPO potrebbe essere disposto unicamente in relazione ad eventi accaduti “in occasione o a causa di manifestazioni sportive”, tra le quali non rientrerebbero gli allenamenti; inoltre, nella specie, l’allenatore non sarebbe stato fisicamente aggredito ed il confronto, “per quanto acceso sebbene breve”, sarebbe stato esclusivamente verbale.
La decisione
Il Collegio, quanto alla riconducibilità della fattispecie in esame (allenamento) all’ambito oggettivo di applicazione del DASPO – questione che costituisce il focus della prima censura svolta dai ricorrenti -, ha richiamato tre sentenze “gemelle” della III^ Sezione del Consiglio di Stato (8/11/2011, nn. 5886, 5887 e 5888) secondo cui l’articolo 6 della L. 13 dicembre 1989, n. 40 “indica con chiarezza che le condotte sanzionabili sono non soltanto quelle realizzate “in occasione” di una manifestazione sportiva, ma anche quelle poste in essere “a causa” della manifestazione sportiva stessa. In tale quadro di riferimento non è dubitabile che gli episodi di violenza verificatisi durante l’allenamento di una squadra di calcio partecipante alle competizioni previste dalle federazioni sportive (come definite dall’articolo 2 bis, comma 1, del D.L. 20 agosto 2001, n. 336, convertito nella L. 19 ottobre 2001, n. 377) sono strettamente collegati con le “manifestazioni sportive”, secondo un rapporto di diretta causalità“.
Inoltre, ai fini dell’emanazione del DASPO non rileva che l’episodio contestato abbia o meno (a seguito di querela di parte o denuncia d’ufficio) avuto delle conseguenze sul piano penale: questa volta è la anzitutto la giurisprudenza dei TAR a ritenere che “il c.d. DASPO costituisce una misura di prevenzione che presuppone la pericolosità sociale e non già la commissione di un reato” (cfr. Tar Milano n. 19/2015) e che “la misura del Daspo può essere applicata anche a persone che non abbiano commesso, come nella specie, fatti penalmente rilevanti neppure sotto il profilo concorsuale” (T.A.R. Liguria n. 768/2015).
Infatti, il divieto di cui al c.d. daspo integra – secondo l’attuale orientamento del Consiglio di Stato – una misura non repressiva, bensì di prevenzione e “precauzione di polizia” (cfr. pareri Consiglio di Stato, Sez. I, 25/03/2015, nn. 931 e 946/2015): appartiene, cioè, a quel genus di misure che – secondo la dottrina – possono essere definite come strumenti ante o comunque praeter delictum, aventi la finalità di evitare che il singolo che ne è colpito compia fatti di reato, illeciti o comunque tenga comportamenti lesivi di dati interessi, mediante la rimozione o il contenimento delle cause che si pongono alla base della commissione di tali condotte.
In tale valutazione discrezionale dell’inaffidabilità del soggetto, un ruolo considerevole assumono, poi, i c.d. “precedenti” ascritti al soggetto colpito da DASPPO.
In conclusione, il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione ad ulteriori episodi di violenza.