Datio in solutum: evoluzione storica e disciplina
Sommario: 1. Nozione e origini storiche – 1.1 Natura giuridica e pubblicità – 1.2 Datio in solutum legale e giudiziale
1. Nozione e origini storiche
La prestazione in luogo dell’adempimento, altrimenti chiamata “datio in solutum” per le origini di matrice romanistica, è regolata dagli articoli 1197 e 1198 del codice civile.
Nel diritto romano, infatti, la prestazione in luogo dell’adempimento identificava l’adempimento che aveva luogo mediante il trasferimento di un qualcosa per un altro soggetto (aluid pro alio), e si denominava “dazione in pagamento” (datio in solutum) con riferimento al caso prevalente, ma non esaustivo, delle obligationes in dando.
Oggi, la datio in solutum costituisce la prestazione che il debitore esegue con il consenso del creditore in sostituzione di quella originariamente dovuta, in deroga al principio secondo il quale l’esecuzione di una prestazione diversa da quella dedotta in obbligazione non libera il debitore, anche se il suo valore è uguale o superiore a quella originaria.
Ebbene, ai fini di una corretta analisi dell’istituto, è opportuno fin da subito evidenziare come, la dazione in pagamento debba essere distinta dall’istituto della novazione oggettiva.
Ed invero, l’individuazione dell’oggetto della prestazione è rimessa all’autonomia negoziale delle parti e questo costituisce l’elemento essenziale, che consente di distinguere la datio in solutum dalla novazione oggettiva: infatti, mentre nella prima si ha la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione, nella novazione si ha sostituzione dell’intera obbligazione.
Ordunque, per quanto concerne l’oggetto, si può affermare che la datio in solutum è, ammessa per qualunque prestazione: unico limite della dazione è rappresentato dall’obbligazione originaria, posto che l’oggetto della prestazione sostitutiva non può essere identico a quello della prestazione originaria.
Si configura, infatti, un’ipotesi di datio in solutum anche in caso di adempimento di obbligazione pecuniarie con mezzi diversi dal denaro. Sulla questione, in tema di revocatoria fallimentare, si è occupata la Cassazione nel 2007, sancendo che ” al fine di escludere che l’estinzione di un’obbligazione da parte del debitore mediante una prestazione diversa dal denaro costituisca una datio in solutm, qualificabile come mezzo anormale di pagamento e quindi revocabile ai sensi dell’art. 67, comma 2 l. fall., non è sufficiente l’accertamento che tale possibilità sia stata prevista dalle parti all’atto di stipulazione del contratto, con la conseguente configurabilità della fattispecie come obbligazione alternativa o con facoltà alternativa; occorre, infatti, considerare anche la funzione della clausola contrattuale, e cioè verificare, in base al comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione, se tale pattuizione sia stata da esse volute a tutela del’ interesse del debitore, che non può normalmente liberarsi se non effettuando il pagamento, ovvero di un apprezzabile interesse del creditore, indipendentemente dal soddisfacimento del credito vantato, dovendo altrimenti ritenersi che essa costituisca uno strumento contrattuale preordinato ad assicurare al creditore la possibilità di sottrarsi alla legge del concorso”[1]
1.1 Natura giuridica e pubblicità
Molto si è discusso in ordine alla natura giuridica della datio in solutum.
La dottrina maggioritaria ritiene che essa abbia natura contrattuale e si configuri come contratto solutorio liberatorio che estingue l’obbligazione in modo satisfattivo.
La tesi minoritaria[2] evidenzia, invece, che la datio in solutum non è un contratto solutorio reale perché la dichiarazione di consenso del creditore resta una semplice dichiarazione recettizia autononoma, che realizza un presupposto del trasferimento, ma non fa parte del consenso che lo realizza: essa funziona sempre unicamente da tramite, per ricondurre l’atto di disposizione alla sua causa, mediante la qualifica come adempimento, rappresentata dall’obbligazione da adempiere.
La forma, salva diversa previsione, è libera.
Per quanto concerne la pubblicità, la tesi dominante sostiene che la trascrizione debba essere effettuata al momento del raggiungimento dell’accordo sostitutivo e non al momento della consegna del bene, in quanto la predetta consegna, pur se rappresentativa del momento estintivo dell’obbligazione, dal punto di vista dell’accordo sostitutivo assume natura meramente obbligatoria, inidonia pertanto ad escludere la necessità della pubblicità[3].
Il secondo comma dell’art. 1197 c.c., tuttavia, prevede che “se la prestazione consiste nel trasferimento della proprietà o di un altro diritto, il debitore è tenuto alla garanzia per evizione e per i vizi della cosa secondo le norme della vendita, salvo che il creditore preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno”.
L’accordo solutorio, dunque, tra debitore e creditore determina l’estinzione delle garanzie prestate dai terzi, la cui reviviscenza, in caso di risoluzione del contratto, è espressamente esclusa dall’art. 1197 c.c.
1.2 Datio in solutum legale e giudiziale
Otre alla dazione in pagamento volontaria, l’ordinamento riconosce due ulteriori specie di datio in solutum: quella legale e quella giudiziale.
La prima si configura quando la legge prevede la possibilità di estinguere l’obbligazione attraverso una prestazione diversa da quella dovuta.
La seconda invece, si verifica tutte le volte in cui la sostituzione della prestazione trova la sua giustificazione in un provvedimento del giudice.
[1] Cass., Sez., I 22 maggio n. 11850/2007
[2] CANNATA, L’adempimento, in Trattato di Rescigno, IX, Torino, 1984, 75.
[3] BIANCA, op. cit. 440
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