Decreto penale di condanna e poteri correttivi del Giudice per le Indagini Preliminari
Recentemente la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha offerto interessanti spunti interpretativi in tema di decreto di citazione diretta a giudizio contenente un’imputazione diversa da quella contenuta nel decreto penale di condanna.
Segnatamente, con la sentenza n. 19689 resa in data 21 marzo 2018, il Supremo Collegio ha affermato il principio di diritto secondo il quale “il giudice per le indagini preliminari, una volta emesso il decreto penale di condanna, si spoglia dei poteri decisori sul merito dell’azione penale e non può, quindi, a seguito di opposizione, operare alcuna modifica del capo di imputazione, anche se quello contenuto nel decreto, per mero errore, riporti una contestazione del tutto diversa da quella contenuta nella richiesta del P.M.; è nullo il decreto penale, emesso in assenza dell’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, ove esercitata per un fatto del tutto diverso, in quanto emesso in violazione dell’art. 178, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. e tale nullità si trasmette a tutti gli atti conseguenti a norma dell’art. 185 cod. proc. pen.”.
La vicenda esaminata dalla Corte ha avuto ad oggetto lo scrutinio circa l’individuazione del profilo di invalidità processuale che affligge l’intervento “correttivo” operato dal Giudice per le Indagini Preliminari in sede di emissione di decreto di citazione diretta a giudizio, laddove la formulazione dell’imputazione dibattimentale non risulti perfettamente sovrapponibile a quella contenuta nel decreto penale di condanna.
Il Giudice, in buona sostanza, aveva emesso un decreto penale di condanna contenente un’imputazione diversa da quella formulata dal Pubblico Ministero.
In sede di opposizione e di conseguente emissione di decreto di citazione diretta a giudizio, l’errore era stato emendato attraverso la riconduzione ad uniformità dell’imputazione dibattimentale con quella originariamente formulata dall’organo inquirente.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto il decreto penale affetto da nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b) c.p.p. con effetto invalidante propalato a tutti gli atti conseguenti a norma dell’art. 185 c.p.p.
La decisione in esame censura l’intervento “correttivo” de quo, anzitutto, osservando che il potere ad acta proprio del Giudice per le Indagini Preliminari, in sede di richiesta di emissione di decreto penale di condanna, si esaurisce attraverso l’emissione del provvedimento tipico di tale rito alternativo operandosi, in caso di successiva attività integrativa e/o modificativa dell’imputazione dibattimentale, una evidente violazione del diritto di difesa.
In particolare, a seguito della notifica del decreto penale di condanna, all’imputato viene riconosciuta la possibilità di accedere al giudizio abbreviato, all’oblazione, alla richiesta di applicazione della pena, ovvero al giudizio dibattimentale entro scansioni temporali perentorie, qualora non si presti acquiescenza al decreto, così rinunciando al diritto di proporre opposizione.
In secondo luogo, una volta emesso il decreto penale di condanna, al Giudice per le Indagini Preliminari compete unicamente il potere-dovere di promuovere e dare impulso alla successiva fase processuale, tenuto conto della scelta operata dall’opponente, talché il decreto penale funge sostanzialmente da atto di introduzione del giudizio conseguente all’opposizione e l’imputazione non può che essere quella risultante dal decreto penale.
In terzo luogo, il Giudice per le Indagini Preliminari disponendo la citazione diretta a giudizio per un fatto diverso da quello contenuto nel decreto penale di condanna víola il combinato disposto degli artt. 456, comma 1, 429 comma 1 lett. c) e comma 2, c.p.p., attesa l’omessa enunciazione del fatto in forma chiara e precisa.
Da ultimo, come detto, il decreto penale di condanna emesso per un’imputazione diversa da quella formulata dal Pubblico Ministero risulta insanabilmente affetto da nullità di ordine assoluto ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. b) c.p.p., poiché emesso in difetto di esercizio di azione penale, con conseguente invalidità derivata degli atti consecutivi in forza dell’art. 185 c.p.p. (in questo senso, cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. III, sent.. 10 ottobre 2017 n. 912; Cass. Pen. Sez. I, sent.. 24 settembre 2012 n. 42467).
L’orientamento appena illustrato non appare, peraltro, pacifico all’interno delle Sezioni Semplici della Corte di Cassazione, al cui interno si registrano difformi interpretazioni in ordine all’efficacia del decreto penale di condanna in relazione alla successiva fase processuale instaurata a seguito della scelta dell’opponente.
In tal senso, la Prima Sezione penale del Supremo Collegio osserva come, a fronte della intervenuta revoca del decreto penale di condanna, ogni eventuale questione relativa ad eccepiti profili di nullità sarebbe irrilevante, rimanendo ogni questione sostanzialmente assorbita e “giudicata” dai successivi segmenti processuali (Cass. Pen., Sez I, sent. 5 dicembre 2012, n. 22710.
Sotto diverso profilo, altra Sezione valorizza l’autonomia del giudizio conseguente ad opposizione a decreto penale di condanna, laddove anche in tal caso la revoca del provvedimento evidenzierebbe l’indipendenza della successiva fase di giudizio, in seno alla quale non potrebbe essere utilmente eccepito o rilevato alcun profilo di invalidità del decreto a quo.
Com’è agevole osservare, la sentenza in commento si apprezza per l’indubbio sforzo ermeneutico e la evidente tensione giuridica entrambi volti ad armonizzare le esigenze di conservazione degli atti processuali con quelle, parimenti cogenti, della garanzia del diritto di difesa e di tassatività delle cause di nullità.
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Roberto Santoro
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