Decreto semplificazioni e abuso d’ufficio: l’ultimo step di un travagliato iter normativo
Il reato di abuso d’ufficio, disciplinato dall’art. 323 c.p., ha vissuto negli anni un complesso iter normativo che ha dato luogo ad una disciplina dai contorni più netti rispetto all’astrattezza della formulazione originaria.
Trattasi di un reato proprio in quanto i soggetti attivi possono essere il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio, definiti dagli artt. 357-358 c.p.
La formulazione normativa[i] apriva le porte ad una mera tutela sussidiaria, stante la clausola di riserva assolutamente indeterminata, in virtù della quale il legislatore riconosceva l’illiceità penale della condotta del pubblico ufficiale quale commissione di qualsiasi fatto non previsto dalla legge come reato, mediante abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni.
Si delineava, in tal modo, un reato a consumazione anticipata connotato dal dolo specifico che si estrinsecava nel voler recare ad altri un danno o procurare un vantaggio.
L’estrema genericità della previsione del Codice Rocco è stata oggetto della legge di riforma n. 86/1990[ii] che non ha prodotto gli esiti sperati, estendendo, al contrario, il sindacato del giudice sulle condotte poste in essere non più solo dai pubblici ufficiali ma anche dagli incaricati di pubblico servizio.
È opportuno, invece, sottolineare l’inserimento della clausola di sussidiarietà relativamente indeterminata che attribuisce alla norma dell’abuso d’ufficio una funzione di chiusura del sistema dei reati commessi dai pubblici amministratori.
L’intervento normativo, infine, ha specificato come l’abuso dovesse essere diretto a realizzare un danno altrui o un vantaggio connotati dall’elemento dell’ingiustizia.
Le modifiche maggiormente significative sono intervenute con la l. 234/1997[iii] che ha delimitato i confini del sindacato del giudice penale, dando vita ad un reato di evento a dolo generico.
In primis, l’intervento del legislatore ha inciso sulla descrizione della condotta prevedendo che il reato risultasse integrato dalla violazione di norme di legge o di regolamento, da un lato, o dall’omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, dall’altro.
In merito all’elemento soggettivo, il dettato normativo prevede che il soggetto attivo debba, intenzionalmente, procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o arrecare un danno ingiusto, momento che determina la consumazione del reato.
È opportuno sottolineare, dunque, come il giudice debba procedere alla verifica della doppia ingiustizia del danno riconoscendo non solo una condotta contra legem ma anche un ingiusto vantaggio.
Venendo, dunque, alla recente modifica dell’art. 323 c.p., il decreto semplificazioni (d.l. 16 luglio 2020, n. 76)[iv] ha introdotto, con l’art. 23, una modifica rilevante alla disciplina dell’abuso d’ufficio mediante la tecnica di arricchimento della formulazione legislativa.
Mentre la condotta alternativa e il duplice evento restano invariati, mutano le modalità di realizzazione della condotta; violazione di norme di legge o di regolamento risultano insufficienti per l’integrazione del reato, per cui si richiede la «violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità»[v].
Ne deriva che, se la violazione di una norma contenuta in un regolamento non integra più il reato di abuso d’ufficio, si restringe, quasi pericolosamente, l’area del penalmente rilevante.
La ratio della modifica risiede nell’esigenza di garantire una maggiore efficienza della pubblica amministrazione, consentendo a funzionari e pubblici amministratori di operare senza il timore della spada di Damocle di una responsabilità sempre incombente.
In dottrina, infatti, si è parlato di una rivoluzione che ha segnato il passaggio «dal volto feroce della legge ‘spazza-corrotti’[vi] al più mite e comprensivo decreto-semplificazioni»[vii].
Inoltre, si esclude che la violazione di principi generali possa integrare il reato di abuso d’ufficio, il che ha destato perplessità in relazione ai principi di imparzialità e buon andamento della p.a., sanciti dall’art. 97 Cost.
Se partissimo dall’assunto che l’art. 97 Cost. è norma programmatica, come affermato da un orientamento giurisprudenziale, risulterebbe inidonea a codificare regole di condotta e a consentire l’integrazione del reato di abuso d’ufficio.
È opportuno, invece, qualificare l’art. 97 Cost. come norma precettiva, alla luce della più recente giurisprudenza[viii], per cui l’inosservanza del principio di imparzialità soddisferebbe il requisito della violazione di legge, con conseguente configurazione del reato di abuso d’ufficio.
In ultima analisi, è opportuno sottolineare come, prima della modifica introdotta al reato in esame, l’eccesso di potere, qualificato come violazione di legge[ix], fosse idoneo a configurare il reato di abuso d’ufficio, mentre nel post riforma l’eccesso di potere risulta neutralizzato in quanto presuppone l’utilizzo della discrezionalità amministrativa.
In realtà, l’antigiuridicità della condotta di violazione di regolamento viene recuperata qualificandola come violazione del dovere si astensione imposto da un regolamento, ove non si prevede la discrezionalità quale elemento negativo della tipicità della condotta stessa.
Alla luce della presente analisi, dunque, la restrizione dell’area del penalmente rilevante della prima condotta menzionata dalla norma parrebbe valorizzare l’ambito applicativo della seconda.
Un’ulteriore conseguenza della nuova delimitazione dei confini del reato di abuso d’ufficio investe il rapporto con la fattispecie di peculato di cui all’art. 314 c.p. e di rifiuto o omissione di atti d’ufficio ex art. 328 c.p.
Ante riforma, infatti, la clausola di riserva di cui all’art. 323 c.p. determinava l’assorbimento delle condotte di peculato per distrazione e rifiuto o omissione di atti d’ufficio.
Qualora, infatti, il pubblico ufficiale avesse cagionato un ingiusto vantaggio patrimoniale o un ingiusto danno, rendendosi responsabile, allo stesso tempo, di un reato meno grave, ne sarebbe derivata l’applicazione della disciplina del concorso apparente di norme incriminatrici.
Il nuovo testo della norma, invece ha ampliato il perimetro applicativo della disciplina di cui agli artt. 314 e 328 c.p.
Quanto al tema della successione di leggi nel tempo, invece, in dottrina sono state presentate due diverse ipotesi: conversione del decreto-legge senza modificazioni o conversione con modifiche funzionali ad un nuovo ampliamento dei margini applicativi della fattispecie[x].
In caso di modifiche sarebbe stato necessario verificare se la violazione di regolamento relativa alla prima delle due condotte alternative fosse stata posta in essere in un momento precedente o posteriore alla riforma.
Nella prima ipotesi vi sarebbe stata l’applicazione della legge successiva più favorevole, ma, in caso di riattribuzione di rilevanza penale alla violazione di regolamento, tale violazione avrebbe continuato a produrre effetti giuridici vista la caducazione ex tunc del decreto per mancata conversione nella parte di interesse.
Nella seconda ipotesi, invece, vi sarebbe stata applicazione, senza dubbio, dell’art. 2 comma 6 c.p., per cui la condotta non sarebbe risultata punibile in quanto posta in essere in epoca in cui non costituiva reato, in ossequio al principio di legalità.
A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione n. 120/2020, la conferma delle modifiche esaminate nel corso della trattazione ha prodotto l’abolitio criminis parziale della norma, dalla quale deriverà l’ archiviazione dei procedimenti in fase di indagine, il proscioglimento nei processi in corso e la revoca delle sentenze definitive.
Infine, è doveroso sottolineare come il governo e il parlamento siano intervenuti anche sulla responsabilità amministrativa dei pubblici amministratori.
La responsabilità amministrativa si qualifica come tertium genus che condivide dei caratteri della responsabilità civile e della responsabilità penale.
Per aversi responsabilità amministrativa è necessario che si verifichi un danno erariale al patrimonio economico o all’immagine alla pubblica amministrazione, una condotta antigiuridica e che vi sia, quantomeno, un rapporto di servizio con la p.a., anche in assenza di un rapporto organico.
Ai fini della configurazione di una responsabilità amministrativa si richiede, inoltre, la sussistenza di un nesso di causalità e dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, nella logica di evitare una paralisi nell’azione amministrativa dettata dal timore di agire del pubblico amministratore.
L’art. 21 del decreto semplificazioni ha previsto che la prova del dolo richieda «la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso» ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa per dolo.
A prima vista parrebbe non esserci alcuna novità in quanto in base all’art. 43 «il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione»[xi], ma la relazione illustrativa al decreto chiarisce come in tema di responsabilità amministrativa il dolo debba intendersi in chiave penalistica e non civilistica ai sensi dell’art. 2043 c.c. ove il dolo è riferito alla mera condotta.
A seguito di tale modifica i problemi connessi alla qualificazione giuridica e alla verifica del dolo incidono sul giudizio di responsabilità amministrativa.
Ad ogni modo, ove non si giungesse alla prova del dolo, la responsabilità amministrativa risulterebbe normalmente provata sulla base della colpa grave, punto sul quale interviene il decreto sancendo come, fino al 31 dicembre 2021, la responsabilità amministrativa sarà limitata a fatti dolosamente commessi, salvo l’ipotesi dei danni cagionati per omissione o inerzia del pubblico agente, affinché «i pubblici dipendenti abbiano maggiori rischi di incorrere in responsabilità in caso di non fare (omissioni e inerzie) rispetto al fare, dove la responsabilità viene limitata al dolo»[xii].
In dottrina[xiii] sono state già sollevate perplessità in merito alla compatibilità di una simile limitazione di responsabilità con i principi di buon andamento e imparzialità della p.a. di cui all’art. 97 Cost., per cui si ipotizza che verrà sollevata una questione di legittimità costituzionale, stante il rischio che una simile disciplina possa comportare interventi e azioni incaute e superficiali da parte dei pubblici dipendenti.
[i] Si veda Padovani T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, in www.giurisprudenzapenale.com.
[ii] Sul punto Padovani T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, cit.
[iii] Si veda Padovani T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, cit.;Gambarella M., Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in www.sistemapenale.it
[iv] In argomento: Avv. Grosso S., Avv. Di Fiorini E., decreto semplificazioni e modifica del reato di abuso d’ufficio, in www.diritto24.ilsole24ore.com; Blasi I., Abuso d’ufficio, “depenalizzata l’area della discrezionalità amministrativa, in www.diritto24.ilsole24ore.com; Castaldo A. R., Coppola F., La riforma dell’abuso d’ufficio nel D.L. “Semplificazioni”, in www.quotidianogiuridico.it; Gambarella M., Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, cit.; Gatta G. L., Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto – semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), in www.sistemapenale.it; Padovani T., Vita, morte e miracoli dell’abuso d’ufficio, cit.
[v] Nuova formulazione dell’art. 323 c.p.
[vi] La l. 190/2012 (Spazzacorrotti) ha modificato i limiti edittali elevando da uno a quattro anni la pena prima prevista tra sei mesi e tre anni.
[vii] Gatta G. L., Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto – semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), cit.
[viii] Cass. Sez. VI 2 aprile 2015, n. 27816, Di Febo, CED 263933; Cass. Sez. VI, 21 febbraio 2019, 22871, Vezzola, CED 275985, per cui «l’art. 323 c.p., pur non essendo di per sè riferibile alla violazione di norme poste da fonti diverse da quelle menzionate, tuttavia ricomprende la violazione di quei canoni costituzionali, che assumono precisa valenza e costituiscono la base stessa dell’esercizio dei pubblici uffici. Ne deriva che il riscontro del carattere discriminatorio e ritorsivo dell’azione amministrativa non vale solo a qualificare ab extrinseco il movente, ma rileva sul piano oggettivo, connotando il contenuto di tale azione e rendendo la condotta penalmente tipica».
[ix] Cass. Sez. Un. 29 settembre 2011, n. 155, Rossi, CED 251498: «sussiste il requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l’attribuzione».
[x] In argomento Gatta G. L., Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto – semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), cit.
[xi] Art. 43 c.p.
[xii] www.appaltiecontratti.it.
[xiii] Gatta G. L., Da ‘spazza-corrotti’ a ‘basta paura’: il decreto – semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal governo ‘salvo intese’ (e la riserva di legge?), cit.
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Ilenia Vitobello
Ilenia Vitobello, nata a Trani (BT) il 18 maggio 1997. Ha conseguito il diploma di maturità classica presso il Liceo Classico "A. Casardi" di Barletta con votazione 100/100 e Lode. Termina il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli il 6 luglio 2020, con votazione 110/110 e Lode, discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il trattamento punitivo dei sex offender". Attualmente svolge la pratica forense presso uno Studio Legale di Roma.