DEMOLIZIONE: si può ordinare anche senza annullare la d.i.a.
T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 5 novembre 2015, n. 5136
a cura di Giacomo Romano
Una volta accertato che gli interventi edilizi sono difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per i quali l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale.
In presenza di variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la P.A. deve ripristinare lo stato dei luoghi ordinando la demolizione delle opere abusive.
L’ordinanza di demolizione può, infatti, legittimamente essere emessa nei confronti del proprietario dell’opera abusiva, anche se non responsabile della relativa esecuzione, trattandosi di illecito permanente sanzionato in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa del soggetto interessato.
Il fatto
I ricorrenti impugnavano, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, un’ordinanza di demolizione emessa dal responsabile del Settore Politiche del territorio del Comune di Orta di Atella.
Gli abusi contestati erano, segnatamente, consistiti nella realizzazione, in assenza dei necessari titoli abilitativi edilizi dei seguenti interventi: “cambio di destinazione d’uso di n. 4 unità immobiliari al piano terra da porticati/posti auto ad appartamenti e n. 4 unità immobiliari al quarto piano da sottotetti non abitabili ad appartamenti”.
A sostegno del gravame esperito avverso la disposta misura repressivo-ripristinatoria, i ricorrenti lamentavano, principalmente, che l’amministrazione resistente avrebbe disposto la gravata misura repressivo-ripristinatoria senza previamente rimuovere in autotutela gli effetti di una d.i.a., in virtù della quale sarebbe stato legittimato il contestato mutamento di destinazione d’uso dei porticati/box auto e dei sottotetti-stenditoi nonché senza previamente verificare l’avvenuta presentazione o meno della stessa, anche in contraddittorio con i soggetti interessati.
Costituitasi, l’amministrazione comunale intimata eccepiva l’infondatezza dell’impugnazione proposta ex adverso, della quale richiedeva, quindi, il rigetto.
La decisione
Il Collegio ha rammentato, in primis, che la vigente normativa edilizia riconosce la possibilità di assentire varianti al progetto approvato.
La giurisprudenza distingue, in proposito, tra varianti in senso proprio, varianti essenziali e varianti minime (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1572; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2010 n. 24236; 25 settembre 2012 n. 49290).
a) Per quanto riguarda le c.d. varianti in senso proprio, deve rilevarsi che non tutte le modifiche alla progettazione originaria possono definirsi varianti e che queste si configurano solo allorquando il progetto già approvato non risulti sostanzialmente e radicalmente mutato dal nuovo elaborato.
La nozione di variante deve, cioè, ricollegarsi a modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto originario, e gli elementi da prendere in considerazione, al fine di discriminare un nuovo permesso di costruire dalla variante ad altro preesistente, sono la superficie coperta, il perimetro, la volumetria, le distanze dalle proprietà viciniori, nonché le caratteristiche funzionali e strutturali, interne ed esterne, del fabbricato.
Il nuovo provvedimento – da rilasciarsi col medesimo procedimento previsto per il rilascio del permesso di costruire – rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario, e in questo rapporto di complementarità e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso di costruire in variante, che giustifica, tra l’altro, le peculiarità del regime giuridico cui esso soggiace sul piano sostanziale e procedimentale (in particolare, restano salvi tutti i diritti quesiti, e ciò specialmente a fronte di una contrastante normativa sopravvenuta, che, se non fosse ravvisata l’anzidetta situazione di continuità, potrebbe rendere irrealizzabile l’opera).
b) Costituisce, poi, c.d. variante essenziale ogni modifica incompatibile col disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, sia sotto l’aspetto qualitativo sia sotto l’aspetto quantitativo.
Ai fini della configurazione dell’ambito di tale istituto, soccorre la definizione di variazione essenziale enunciata dall’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, la quale ricomprende il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standards, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica, mentre non ricomprende le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
Le domande di esecuzione di varianti essenziali sono, dunque, come tali, da considerarsi sostanzialmente volte al rilascio di un nuovo ed autonomo permesso di costruire e, conseguentemente, assoggettate alle disposizioni vigenti nel momento in cui sono presentate, non trattandosi, con esse, solo di modificare il progetto iniziale, ma di realizzare un’opera diversa, nelle sue caratteristiche essenziali, rispetto a quella originariamente assentita.
c) Caratteri peculiari presentano, infine, le c.d. varianti minori.
In proposito, l’art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 prevede che sono subordinate a d.i.a. (ora s.c.i.a.) le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, non violano le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso di costruire.
In tali ipotesi, la d.i.a. costituisce “parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale” e può essere presentata prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori: la formulazione dell’art. 22 consente, pertanto, la possibilità di dare corso alle opere in difformità dal permesso di costruire e poi regolarizzarle entro la fine dei lavori, purché si tratti – come si è visto – di ‘varianti leggere’.
Ora, nella fattispecie in esame, le difformità riscontrate dal Comune di Orta di Atella rientrano appieno nel fuoco applicativo dell’art. 32 del d.p.r. n. 380/2001 (“variazioni essenziali”).
Trattasi, infatti, della trasformazione (non solo funzionale, ma anche materiale) di 8 locali da porticati/box auto e sottotetti-stenditoi ad appartamenti residenziali, ossia di una significativa modifica al progetto originario, in quanto incidente sulle destinazioni d’uso con aggravio del carico urbanistico e, quindi, alterazione degli standards, oltre che incidente, in via consequenziale, sui parametri urbanistico-edilizi di zona.
Da quanto sopra discende, dunque, che, a dispetto degli assunti di parte ricorrente, la natura essenziale della variante posta in essere rende ab origine irrilevante la presentazione della menzionata d.i.a.
In altri termini, una volta accertato che gli interventi edilizi erano difformi dal paradigma normativo (art. 22 del d.p.r. n. 380/2001), l’amministrazione comunale, anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, è rimasta nella condizione di esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2005 n. 3498; 12 settembre 2007 n. 4828; 18 dicembre 2008 n. 6378; 12 febbraio 2010 n. 781) e, più in generale, i poteri di controllo sulle attività edilizie per i quali l’art. 27 del d.p.r. n. 380/2001 cit. non prevede alcun termine decadenziale (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 4 ottobre 2007 n. 8951).
Ciò posto, essendosi riscontrate variazioni essenziali ex art. 32 del d.p.r. n. 380/2001, i poteri anzidetti si sono correttamente incanalati nell’alveo naturale e vincolato del ripristino dello stato dei luoghi.
I superiori approdi – quanto, precipuamente, al mancato consolidamento degli effetti della d.i.a. presentata per interventi esulanti dal relativo regime abilitativo e, quindi, quanto alla diretta irrogabilità della sanzione reale, senza l’intermediazione delle garanzie dell’autotutela, operanti in esito al prodursi degli effetti anzidetti (cfr. art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990) – hanno indotto, poi, il Collegio a ripudiare anche il motivo di impugnazione inteso a denunciare l’omessa ponderazione tra l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi e il confliggente affidamento dei privati (non responsabili dell’abuso) nella conservazione delle opere eseguite.
Al riguardo, occorre rimarcare che la gravata misura repressivo-ripristinatoria rimane affrancata dalla ponderazione discrezionale dell’interesse privato al mantenimento in loco della res, in quanto costituisce – come già evidenziato – atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove il preminente interesse pubblico risiede in re ipsa nell’eliminazione dell’abuso e, stante il carattere permanente di quest’ultimo, non viene meno per il mero decorso del tempo, insuscettibile di ingenerare affidamenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79; sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592; TAR Campania, sez. VI, 6 settembre 2010, n. 17306; sez. VII, 3 novembre 2010, n. 22291; sez. VIII, 5 gennaio 2001, n. 4; 6 aprile 2011, n. 1945; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 10 settembre 2010, n. 1962; 9 novembre 2010, n. 2631; TAR Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4164; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404; TAR Liguria, Genova, sez. I, 21 marzo 2011, n. 432).
Tale conclusione neppure resta menomata dalla dedotta circostanza che i ricorrenti non sarebbero responsabili dell’abuso contestato (avendo acquistato da terzi l’immobile già nelle condizioni emerse in sede di accertamento).
L’ordinanza di demolizione può, infatti, legittimamente essere emessa nei confronti del proprietario dell’opera abusiva, anche se non responsabile della relativa esecuzione, trattandosi – come accennato – di illecito permanente sanzionato in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa del soggetto interessato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Latina, 6 agosto 2009, n. 780; TAR Campania, Napoli, sez. II, 15 dicembre 2009, n. 8704; sez. IV, 9 aprile 2010, n. 1890; sez. III, 23 aprile 2010, n. 2106; sez. IV, 24 maggio 2010, n. 8343; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 13 agosto 2013, n. 1619).