Descrizione della formazione delle sezioni protette: normativa di riferimento e individuazione delle criticità presenti nelle stesse
Sommario: 1. Dai circuiti penitenziari alle sezioni protette – 2. L’analisi delle sezioni protette destinate alle recluse trans – 3. Individuazione delle specifiche problematiche
1. Dai circuiti penitenziari alle sezioni protette
L’Amministrazione Penitenziaria dà particolare attenzione alla differenziazione dei ristretti . Le distinzioni da questa fatte per sesso e per età , rispondono a considerazioni relative alla possibilità, in un’ottica sempre risocializzante e rieducativa (art. 27 Cost.), di procedere ad un trattamento educativo comune, pur evitando, per quanto possibile, « influenza nociva reciproche tra i detenuti» [1] . Difatti, specifici gruppi di custodia, deputati a poter divenire oggetto di violenza e sopraffazione, a causa del reato commesso, vengono ristretti in sezioni dedicate , ovvero le sezioni protette, con l’obiettivo di far fronte esigenze di ordine e sicurezza. Queste sezioni rientrano nella definizione di circuiti penitenziari, che trovano la loro definizione formale all’interno della Circolare DAP n. 3359/5808 del 21 aprile 1993 , la quale insieme ad una pluralità di interventi di natura amministrativa ha portato alla creazione di circuiti differenziali, strutturati tenendo conto delle necessità di custodia e del grado di pericolosità [2] . Tali entità logistiche sono le uniche pienamente e formalmente riconosciute come circuiti. Originariamente i tre circuiti erano: alta sicurezza, media sicurezza (la maggioranza dei detenuti) e custodia attenuata [3] . La circolare del DAP n. 3619/6069 del 21 aprile 2009 ha ulteriormente suddiviso il circuito dell’alta sicurezza in tre circuiti : Alta Sicurezza 1 (AS 1) in cui sono collocati “i detenuti ed internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis Ord. penit. ”.; l’Alta Sicurezza 2, in cui sono custoditi “soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza”; infine, l’Alta Sicurezza 3, in cui si trovano i detenuti che hanno avuto posizioni apicali nelle organizzazioni criminali dedite allo spaccio di stupefacenti (ex art. 4-bis co. 1°, fatte salve le deroghe fissate nella circ. DAP n . 20 del 19 gennaio 2007 ) [4] . Inoltre, è necessario sottolineare come la declinazione del concetto di sicurezza e l’assegnazione di un detenuto a particolari circuiti detentivi dipenda anche dal comportamento, posto in essere dallo stesso in carcere come sottolinea, l’art. 32 DPR. n. 230 del 2000.
2. L’analisi delle sezioni protette destinate alle recluse trans
Tuttavia, la dicitura di circuito può essere ampliata ad altre situazioni, anche se non strettamente connessa al significato originario di tale definizione, creando i cosiddetti circuiti informali . Difatti vi è l’aggiunta di un altro criterio per definire gli stessi, ovvero l’incolumità del detenuto , secondo quanto sancito dall’articolo 32 , terzo comma del DPR n. 230 del 2000 , al fine di prevenire episodi di aggressioni o sopraffazioni a carico di specifiche categorie di detenuti ( delinquenti sessuali , transessuali, ex appartenenti alle forze dell’ordine). Per questo l’Amministrazione Penitenziaria dispone la creazione di sezioni apposite con lo scopo di “rispondere alle esigenze di tutela di determinate categorie di detenuti per motivi oggettivamente esistenti ancorché talora connessi a caratteristiche soggettive dei ristretti (ad esempio perché transessuali)” [5 ] . Sulla base di quanto detto è fondamentale la circolare DAP n. 500422 del 2 maggio 2001, con oggetto, “Sezioni protette – criteri di assegnazione dei protetti” , che indica l’omosessualità tra i criteri di assegnazione dei ristretti alle “sezioni protette”. Tale misura applicata alle donne trans implica, che le stesse vengono poste in sezioni e carceri maschili, utilizzando come unico riferimento il dato biologico (se non operate). Tuttavia, tali recluse sono anche riconosciute come soggetti vulnerabili e per questo le stesse erano inizialmente gestite ricorrendo all’isolamento protettivo continuo ( ex art. 32 Reg. esec .) e poi con l’assegnazione a sezioni separate protette . Le recluse trans diventavano in questo modo una categoria residuale, come era stato per gli omosessuali. A tal proposito è utile ricordare, per comprendere come l’ambiente penitenziario sia improntato su un rigido machismo eteronormato , volto ad adottare soluzioni ghettizzanti , per depotenziare episodi di violenza, un’iniziativa specifica. Nel 2016, il Garante nazionale dei diritti dei detenuti Mauro Palma , in visita al carcere di Gorizia , è intervenuto, a seguito di numerose segnalazioni sull’argomento delle sezioni gay nelle carceri, sottolineando come tale tipologia di provvedimento, non solo, rappresentava una limitazione alla possibilità di usufruire delle attività trattamentali, ma si configurava anche come una violazione del diritto alla riservatezza, poiché rendeva noto l’orientamento sessuale dei detenuti [6 ] . Inoltre, è indispensabile sottolineare, come una simile soluzione, dovendo far fronte a delle situazioni contingenti, dovrebbe servire solo per tamponare un problema nell’immediato. Difatti tali misure sono inutili, se non vengono affiancate da un programma di sensibilizzazione su questi temi [7] . Sul lungo periodo si dovrebbe intervenire, tramite corsi di formazione per i detenuti, improntati sulla non discriminazione e sul superamento dei comportamenti violenti [8]
Di nuovo una categoria residuale dunque, transex (come già omosex ), creata per ragioni di sicurezza, che favorisce la promiscuità, perché gli spazi destinate alle recluse, i cosiddetti spazi “protetti”, sono condivisi insieme a detenuti soggetti a riprovazione sociale . A tal proposito, con l’obiettivo di risolvere «il problema percepito di avere delle donne, seppur non biologiche, protette insieme agli uomini, nel 2009 un gruppo di lavoro PEA (Programmi Esecutivi di Azione) del DAP aveva elaborato un modello di trattamento che ipotizzava la creazione di piccoli istituti o sezioni dedicate alle persone trans, nelle quali le stesse sarebbero potute essere seguite da personale misto, formato sulle tematiche dell’identità di genere» [ 9] . Tra le sperimentazioni previste si può ricordare, l’annessione della sezione transex a un reparto femminile, poi realizzatasi nell’esperienza del Reparto D del Carcere di Sollicciano, Firenze . Esito diverso ha avuto il progetto del PRAP (Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria) Toscana di attivare una prassi di detenzione esclusivamente dedicata a una sorta di “ terzo genere ”, quello delle persone trans, in un piccolo istituto a Empoli: esso si è prima arenato e poi interrotto. Difatti, l’Amministrazione Penitenziaria ha adottato delle misure specifiche per le recluse transgender, creando nelle carceri di Como, Belluno, Roma, Rimini, San Vittore, Secondigliano, Ivrea e Reggio Emilia delle sezioni dedicate all’interno degli istituti maschili mentre a Firenze vi è una sezione collocata in uno spazio adiacente alla sezione femminile, permettendo in questo modo una condivisione totale delle attività e degli spazi collettivi con le donne recluse e garantendo una vigilanza assegnata prevalentemente al personale penitenziario femminile. Nelle altre carceri, invece, le persone transessuali e transgender vengono inserite nei reparti precauzionali insieme agli autori di reati sessuali , ai collaboratori di giustizia e agli ex appartenenti alle forze dell’ordine [10] .
3. Individuazione delle specifiche problematiche
È possibile fare una descrizione sommaria della situazione e delle problematiche, presenti nelle singole sezioni, sulla base dei dati raccolti da Antigone e aggiornati a febbraio 2023 .
La Casa Circondariale di Como è composta da sette sezioni maschili, due sezioni femminili e una sezione protetta dedicata a donne transgender [11] . A fronte di una capienza regolamentare di 230 posti, al momento della visita le persone detenute erano 383. Tra queste, 46 erano le donne nelle sezioni femminili e 11 le donne transgender [12] . La sezione per donne trans è ospitata negli spazi una volta destinati ad accogliere i nuovi giunti. In istituto è presente una volta al mese uno specialista endocrinologo che può quindi seguire le terapie ormonali delle donne transgender e vi è la possibilità di usufruire h24 della guardia medica e del servizio psichiatrico [13] . Non sono state rilevate attività scolastiche, lavorative e ricreative dedicate alle donne transgender. Tale carenza è in linea con quanto previsto per le altre due sezioni femminili dell’istituto. In generale, gli spazi destinati ai laboratori sono davvero ridotti e/o inagibili. A differenza degli uomini, alle persone ospitate nella sezione protetta non è concesso l’utilizzo della palestra né del campo sportivo [14] .
La Casa circondariale di Belluno è stata ristrutturata, ma i suoi spazi non sono di agevole fruizione per persone con ridotta capacità motorie. La sezione dedicata alle recluse trans ha una capienza di 16 anni e viene occupata pienamente. Tale sezione è articolata su due piani: l’area detentiva è al piano superiore e al piano terra vi è una saletta per la socialità. In generale, viene segnalato che le condizioni igieniche dell’istituto e anche della sezione per donne transgender sono pessime [15] . Ogni sezione ha un’area passeggini ad uso esclusivo. Le aree esterne sono tutte cementate, ristrette e non vi sono aree verdi. Nel mezzo tra le sezioni dell’istituto vi è poi una sala polivalente, molto grande, usata sia dagli uomini che dalle donne transgender. In alcune rare occasioni, infatti, tutte le persone detenute a Belluno si incontrano nella sala polivalente per svolgere attività in comune. Le persone detenute non svolgono alcuna attività [16] . L’unica possibilità di impiegare il tempo della detenzione è data dal lavoro, che viene offerto da datori di lavoro esterni e vede impiegate più della metà delle persone detenute a Belluno. Non è rilevato se tra queste vi siano anche donne transgender [17] . Soltanto una detenuta transgender partecipa ad un corso scolastico. Viene riferito che l’assenza di attività è dato dal fatto che non vi è richiesta da parte delle persone detenute, dal momento che queste lavorare preferiscono per avere possibilità di guadagno immediato [18] .
La Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso è un istituto maschile composto da 7 reparti [19] . All’interno di uno di questi (il G8) è presente una sezione dedicata alle donne transgender. Al momento della visita la sezione ospitava 16 persone, su una capienza regolamentare di 30 posti. Oltre alle donne transgender, tale reparto ospita nelle altre sezioni uomini detenuti in via definitiva, lavoratori, studenti universitari e nel padiglione “Venere” le persone autorizzate al lavoro all’esterno ex art. 21OP [20] . Diversamente, dalle sezioni viste sinora vi è la presenza di corsi scolastici e di alcune attività ricreative [21] . Cinque donne lavorano a turno alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. Si segnala la presenza di un endocrinologo per proseguire le terapie ormonali avviate all’esterno [22] .
La Casa Circondariale di Secondigliano è un istituto maschile, tra i più grandi in Europa ed è diviso in diversi padiglioni, con numerose sezioni per uomini detenuti sia in regime di Media che di Alta sicurezza[23 ] . Inoltre, all’interno della struttura sono presenti: un Servizio di Assistenza Intensificato (SAI), un’Articolazione per la tutela della salute mentale (ATSM) e una grande sezione per la semilibertà [24] . Oltre a queste aree detentive, Secondigliano ha al suo interno una sezione per donne transgender con una capienza di 24 posti. Al momento della rilevazione, la sezione ospitava 8 donne, mentre altre 3 erano collocate in altre aree dell’istituto per la loro scelta. La sezione per donne transgender è presente dal mese di ottobre 2022, quando viene trasferita dal Carcere di Poggioreale a causa di lavori di ristrutturazione [25] . Gli spazi ospitavano prima detenuti collaboratori di giustizia e sono stati rapidamente convertiti alla nuova funzione. Sin dal mese di novembre, le donne transgender hanno potuto partecipare a un corso di formazione [26] . Per quanto riguarda gli spazi detentivi c’è una maggiore attenzione rispetto ad alcune sezioni viste, perché vi è la possibilità di passeggio autonomo, la presenza di una sala per la socialità, una sala colloqui, una cucina che è riconosciuta dalla ASL, ma non può essere ancora utilizzata perché dotata di coltelli. Per quanto riguarda il rapporto tra le detenute, ospitate nella sezione transgender, si segnala una forte conflittualità, derivante principalmente dal paese di provenienza delle stesse, accompagnata anche da episodi autolesionistici. Tale situazione impedisce la creazione di gruppi costruttivi, nel tentativo di favorire progetti di alfabetizzazione. Vi sono 4 recluse alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Altri elementi da considerare sono: l’avvio a partire da febbraio 2023 di iniziative formative, nail art in questo caso), la possibilità di iniziare un corso di pasticceria e di strutturare insieme ad Arcigay attività sportiva all’esterno.
Molto diversa è la situazione all’interno della Casa Circondariale maschile di Ivrea . All’interno di questa vi è una sezione per donne transgender [27] . A fronte di una capienza regolamentare di 20 posti, al momento della visita la sezione ospitava 7 donne, di cui solo una italiana, poiché tutte le altre sono di nazionalità straniera, provenienti perlopiù dal Brasile. Le condizioni generali delle celle sono critiche e non sono garantite i 3 mq calpestabili a persona [28]. Una sola donna è autorizzata al lavoro all’esterno ex art. 21 OP. Tutte le donne detenute sono a regime comune. Viene segnalato che per qualche tempo è stata presente nella sezione anche una donna transgender internata, la quale lavorava in art. 21 OP all’interno della struttura, assieme agli uomini detenuti. Le recluse hanno la possibilità di seguire insieme alle altre persone detenute i corsi scolastici di scuola primaria o secondaria di primo grado [29]. Al momento della visita però nessuna risultava iscritta, poiché per le stesse la priorità è il lavoro. Infatti alcuni di loro (non è rilevato il numero preciso, ma sono la maggior parte) è assunta alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e svolge attività di pulizia della struttura [30].
Per quanto riguarda le attività ricreative, invece, attualmente nessuna risulta attiva [31] .
All’interno degli istituti penali di Reggio Emilia è presente l’unica sezione per donne transgender [32]. Al momento della visita le persone presenti nella sezione erano 11 [33]. L’eterogeneità dei circuiti detentivi presenti a Reggio Emilia (sia maschili che femminili) produce una serie di difficoltà, soprattutto in relazione all’offerta trattamentale che pare decisamente più carente all’interno del femminile e della sezione per donne transgender [34 ]. Non vi sono corsi scolastici o professionali a loro dedicati. La Direzione e l’Area educativa ritengono che la presenza di sezioni come queste, con numeri particolarmente bassi, non permettono di investire adeguatamente le già poche risorse presenti in tema di trattamento tanto che suggeriscono che, quantomeno la sezione per donne transgender, andrebbe chiusa [ 35]. Tra le attività culturali e ricreative previste si segnalano le attività gestite da UISP e il laboratorio teatrale. Entrambi si dedicano alla totalità della popolazione e dunque anche alle donne transgender, di cui però non è registrato il numero di partecipanti [36]. Si tratta comunque di esperienze significative in quanto sono le uniche nell’ambito delle quali è permesso l’incontro tra sezioni [37] .
È importante fornire una panoramica della situazione delle detenute, all’interno della sezione di Firenze Sollicciano , che possiede come tutti gli istituti misti un reparto maschile e uno femminile ed è all’interno di quest’ultimo che si trova «un reparto-isola» [38] , il reparto D, dedicato all’incarceramento di persone transgender. All’interno di tale sezione vi è una prevalenza di detenute di nazionalità straniera, proveniente principalmente dal Brasile e dall’ Argentina . Tale sezione è innovativa, perché gradualmente è riuscita a realizzare un superamento della catalogazione delle detenute, fondata su procedure automatizzate e basata sulla vista dei genitali esterni. Si tratta di una sezione separata dal complesso detentivo femminile che occupa un’intera ala detentiva. Inizialmente lo spazio non era destinato a una gestione totalmente autonoma: presenta, quindi, notevoli difetti e carenze strutturali, prima fra tutte la mancanza di una stanza dedicata alla socializzazione, come di apposite stanze dedicate ai colloqui con avvocati o operatori. Inoltre il passaggio dalla sezione maschile a quella femminile ha portato un cambiamento a livello trattamentale, soprattutto con lo scopo di garantire una «riduzione del rischio di “promiscuità”» [39], garantendo a tale spazio più autonomia e indipendenza possibile. Altro elemento importante da considerare è «l’afasia delle fonti normative» [40] in tale sezione, perché vi è una regolamentazione affidata principalmente alla prassi, mediata dalle esigenze di sicurezza, dalle istanze della Polizia penitenziaria e dalle dinamiche amministrative e di trattamento. Tuttavia, sussistono una serie di tensioni derivanti, «dalla discrasia tra volontà amministrativo-trattamentale di creazione di un vero e proprio “reparto”, separato, autonomo e indipendente» e le altre problematiche esistenti, tra le quali si annoverano: la carenza materiale di spazi separati e autosufficienti, nonché la mancanza di riferimenti teorici e legislativi, atti a individuare un « tertium genus di detenzione formalizzata» [41]. A livello di composizione del personale bisogna sottolineare, come la maggioranza degli agenti del reparto D sono in prevalenza uomini, con una struttura organizzativa che vede questi ultimi impegnati nella sicurezza, mentre le agenti donne si occupano della gestione. La storia del reparto D di Sollicciano rappresenta in parte un’evoluzione, rispetto al progetto, poi abortito di Empoli. Sostanzialmente, suddetto caso, con tutte le sue critiche, ha evidenziato la possibilità di concepire una modalità diversa di detenzione , ribadendo l’esigenza di ripensare il carcere, anche attraverso l’inclusione di questioni legate al genere e all’orientamento sessuale.
Da questa breve panoramica si può individuare un problema comune, ovvero l’ isolamento dei reclusi, accompagnato spesso dalla preclusione alla partecipazione alle attività trattamentali e/o ai progetti di inserimento lavorativo a cui accedono gli altri. La novella dell’art. 14 Ord. penit. comma sette (modificato dal D.lgs. n.123/2018 ) cerca di rimediare agli effetti discriminatori di questa separazione, sancita dalla circolare DAP n. 500422 del 2 maggio 2001 , chiarendo che chi è a rischio di sopraffazioni in ragione dell’identità sessuale va assegnata a sezioni omogenee , in cui non si ritrovi a condividere gli spazi con autori di reati che hanno a che fare con la sessualità o generino riprovazione sociale (ossia coloro che appartengono alle “sezioni promiscue”). Risulta evidente, che la questione del collocamento delle recluse trans è stata affrontata sempre in un’ottica di «gestione» [ 43] degli spazi penitenziari, perché la loro condizione viene associata alla promiscuità e percepita come un possibile attento alla sicurezza di questa istituzione totale.
Si può tracciare un’evoluzione storica nella gestione delle recluse trans, che passa dall’ isolamento protettivo individuale (per gestire la vulnerabilità), per poi arrivare alle sezioni promiscue protette ed infine approdare alle sezioni omogenee . Tutti questi interventi hanno in comune la promozione di situazioni, caratterizzate da emarginazione ed esclusione delle recluse, giustificata sulla base delle esigenze, percepite come fondamentali, ossia la sicurezza e la protezione. Inoltre, vi un altro importante elemento da analizzare, ovvero la composizione delle sezioni, perché all’interno delle stesse vengono collocati soggetti aventi tra loro diversi bisogni di protezione, contribuendo così, alla creazione di un maggiore divario tra i reclusi, poiché non si tiene conto della complessità dei vissuti e dei percorsi individuali.
Inoltre, «la scelta di gestire la collocazione in sezioni protette attraverso “circuiti” (connotati dal carattere dell’informalità), anziché attraverso “regimi” (che invece formalizzano la limitazione del diritto all’uguaglianza di accesso al trattamento), non si traduce , nella materialità della condizione detentiva, nel godimento del pieno diritto al trattamento, anzi, può rivelarsi di fatto come una condizione punitiva» [44] .
***
[1] Peroni C. & Vianello F., Il governo del penitenziario di fronte alla sfida delle soggettività transgender: riconoscimento, normalizzazione e resistenze, in Vianello F., Vitelli R., Hochdorn A.& Mantovan C. (a cura di) , Che Genere di Carcere? – Il sistema penitenziario alla prova delle detenute transgender , Milano, 2018, Edizioni Angelo Guerini e Associati – Guerini Scientifica, p. 194.
[2] Santorso S., Un carcere fatto a circuiti: tra definizione formale e partiche , in https://www.antigone.it/quattordicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/circuiti-e-regimi-detentiv .
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] http://win.dirittopenitenziario.it/portale-di-scienze-penitenziarie/circolari/circ_6/500422.pdf .
[6] Civillini M., Le “sezioni gay” nelle carceri italiane esistono davvero — e per una ragione precisa, in https://www.vice.com/it/article/3kmkvn/sezioni-gay-carceri-italiane ;
Carceri, sezioni apposite per detenuti gay. Il garante: “Isolamento ingiustificato” , in https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/09/carceri-sezioni-apposite-per-detenuti-gay-il-garante-e-un-isolamento-ingiustificato/2709472 /.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Rossi A., I diritti LGBT+: Il carcere alla prova del principio di non discriminazione verso la differenza sessuale e di genere, in https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione /i-diritti-lgbt-in-carcere/ .
[10] De Caro E., Tra sezioni-ghetto, abusi e sopraffazioni. Dove e come vive la comunità LGBT ristretta?
Recluse tra i reclusi, protette tra i protetti, è ancora questa la realtà ?, in https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/03-lgbt/ .
[11] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-nella-casa-circondariale-di-como/ .
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-nella-casa-circondariale-di-belluno/ .
[16] Ibidem.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-nella-casa-circondariale-rebibbia-nuovo-complesso/ .
[20] Ibidem.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-nel-centro-penitenziario-di-napoli-secondigliano-pasquale-mandato / .
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Ibidem.
[27] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-nella-casa-circondariale-di-ivrea/ .
[28] Ibidem.
[29] Ibidem.
[30] Ibidem.
[31] Ibidem.
[32] https://www.rapportoantigone.it/primo-rapporto-sulle-donne-detenute-in-italia/sezione-per-detenute-trans-negli-istituti-penali-di-reggio-emilia/ .
[33] Ibidem.
[34] Ibidem.
[35] Ibidem.
[36] Ibidem.
[37] Ibidem.
[38] Vieira AD, Ciuffoletti S., Reparto D: Un tertium Genus Di detenzione? Caso di studio sull’incarcerazione di persone transgender nel carcere di Sollicciano , in Rassegna penitenziaria e criminologica , n. I, 2015, pp. 162-207.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem.
[41] Ibidem.
[42] Ronca D., Diritti LGBTQI+ in carcere: la difficile affermazione dell’identità di genere tra norme, pratiche e spazi del penitenziario , in https://www.rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di- detenzione/i-diritti-lgbtqi-in-carcere/ .
[43] Ibidem.
[44] Ibidem.
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Chiara Ottaviano
Dottoressa in giurisprudenza. Ho conseguito la laurea presso il dipartimento di Roma tre, ad ottobre 2022, con una tesi in diritto missionario, analizzando gli Acta Apostalicae Sedis dal 1918 al 1963. Attualmente, praticante avvocato in diritto civile, con attenzione al diritto di famiglia ed al diritto fallimentare. A settembre 2023 ho conseguito un Master di II livello in diritto penitenziario e Costituzione, presso il dipartimento di Roma tre, discutendo una tesi sulla condizione delle recluse transgender all'interno dell'amministrazione penitenziaria e sviluppando un grande interesse per la normativa concernente la comunità LGBTQAI+. Ho da poco terminato, presso il dipartimento di Giurisprudenza di Roma tre il corso in materia diritti umani e ONG curato in collaborazione con CILD. Attualmente collaboro come volontaria presso Antigone nell'ufficio del Difensore civico.
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