Destinazione e illimitatezza del patrimonio
La destinazione patrimoniale è un fenomeno che nel corso degli anni ha portato alla progressiva erosione del principio di universalità della responsabilità patrimoniale.
L’articolo 2740 co.1 c.c. stabilisce che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le limitazioni a tale principio, come evidenzia il comma secondo dell’articolo 2740 c.c., sono ammesse ma necessitano di una base legale.
Il legislatore storico, infatti, nel prevedere deroghe all’illimitatezza della responsabilità patrimoniale, ha avvertito la necessità di ribadire l’esigenza di una espressa previsione legislativa, dal momento che l’articolo 2740 c.c. e, ancor di più, l’articolo 2741 c.c. sono orientati al favor creditoris.
La destinazione patrimoniale è un tema che abbraccia al suo interno diverse situazioni, ognuna con delle proprie peculiarità.
Ai fini della trattazione in esame risulta necessario distinguere la destinazione patrimoniale da altre due situazioni, affini, ma pur sempre diverse quali: il patrimonio separato e il patrimonio autonomo.
La destinazione patrimoniale in senso stretto consiste nella separazione netta delle masse patrimoniali che dà vita alla creazione di due distinte categorie di creditori: i creditori destinati che possono rivalersi sul patrimonio oggetto di destinazione e i creditori non destinati che, invece, non possono aggredire il patrimonio destinato, ma soltanto il residuo patrimonio.
Accanto alla destinazione in senso stretto si colloca la destinazione in senso ampio, la quale non dà vita ad una divisione netta dei patrimoni e alle conseguenze in tema di tutela dei creditori che ne derivano, un esempio si rinviene nell’articolo 817 c.c. che disciplina i vincoli di pertinenzialità i quali possono essere oggetto di destinazione da parte del proprietario della cosa principale o da colui che ha un diritto reale sulla medesima.
Diverso ancora è il concetto di patrimonio separato che ricorre nel fondo patrimoniale di cui all’articolo 167 c.c. e non si caratterizza per la incomunicabilità totale delle masse patrimoniali, diversamente dal patrimonio destinato in senso stretto, poiché i creditori non destinati possono rivalersi sul fondo patrimoniale in caso di sua incapienza.
Infine vi è il patrimonio autonomo che sussiste quando un gruppo organizzato ha la contitolarità di un patrimonio, pur mantenendo distinta la titolarità del proprio patrimonio, si pensi al fondo pensione.
In passato il fenomeno della destinazione patrimoniale era visto con un certo sfavore dalla dottrina e dalla giurisprudenza che erano restie ad ammettere limiti all’universalità della responsabilità patrimoniale.
Un escamotage, alla fine, venne comunque trovato nella persona giuridica.
Da sempre il fenomeno della persona giuridica è stato accostato per le sue affinità alla destinazione patrimoniale.
La persona giuridica viene considerata come il primo modello di patrimonio destinato, trattandosi nella sostanza, di un patrimonio individuale o collettivo destinato ad uno scopo morale o economico, che non altera il principio della universalità della responsabilità patrimoniale, dal momento che vi sono due persone, quella fisica e quella giuridica, ognuna titolare di un proprio patrimonio e che risponde, in caso di inadempimento, con i beni oggetto del suo compendio patrimoniale.
La persona giuridica, inizialmente considerata dalla dottrina come una combinazione di mezzi e persone, con l’avvento delle teorie riduzionistiche venne ritenuta, invece, come uno speciale regime normativo che consentiva alle persone fisiche di poter beneficiare del regime di responsabilità patrimoniale limitata.
Per tale motivo, ad un certo momento si comincia ad assistere alla proliferazione di forme di destinazione patrimoniale senza il cd. sdoppiamento soggettivo, sicuramente più problematiche in quanto confliggenti con diversi principi del sistema di diritto privato.
Viene intaccato non solo il principio di cui all’articolo 2740 c.c., ma anche il principio di tassatività delle fattispecie trascrivibili di cui all’articolo 2643 c.c., i principi di tipicità e del numerus clausus caratterizzanti i diritti reali, ma soprattutto si viene a creare una forma inedita, atipica, di proprietà che fuoriesce dagli schemi previsti dall’art. 832 c.c.
Si assiste alla nascita di una proprietà funzionalizzata ad uno scopo, una proprietà fiduciaria da sempre avversata dal nostro ordinamento.
Il legislatore, tuttavia, preso atto ormai che la persona giuridica è una mera fictio iuris ed è un regime normativo speciale, ma soprattutto consapevole dei costi che comportava la creazione di una persona giuridica, nel codice civile del 1942 prevede numerose ipotesi di destinazione patrimoniale senza sdoppiamento soggettivo come il fondo patrimoniale, l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, la cessione di beni da parte del debitore, i patrimoni destinati ad uno specifico affare (introdotti a seguito della riforma del diritto societario nel 2003).
Anche la legislazione speciale prevede forme di destinazione senza sdoppiamento soggettivo e ne sono esempio i fondi previdenziali e la disciplina della cartolarizzazione dei crediti.
Un ulteriore passo avanti oggi si può dire che è stato compiuto con la creazione di patrimoni destinati senza sdoppiamento soggettivo, ma atipici.
Nel 2005 il legislatore ha introdotto tra le norme dedicate alla disciplina della trascrizione l’articolo 2645 ter c.c. che si occupa del vincolo reale di destinazione.
Attraverso la creazione di questo vincolo, secondo uno schema astratto e dal contenuto atipico, si ha una separazione e funzionalizzazione della proprietà.
La norma in esame non prevede un nuovo tipo negoziale, si tratta, invece, di una norma sugli effetti che attraverso la trascrizione dell’atto rende opponibile a terzi il vincolo.
Addirittura si prevede che in caso di violazione del vincolo, potrà agire per il recupero del bene non solo il conferente ma chiunque vi abbia interesse, configurandosi così una sorta di azione aasimilabile a quella di tracing prevista dal sistema di common law.
Il vincolo reale di destinazione ha suscitato il vivace interesse dei commentatori all’indomani della sua introduzione.
Si tratta di una norma sistematicamente importante, dal momento che sembra aver consentito l’ingresso nel nostro sistema della fiducia germanica e aver classificato l’Italia come uno Stato che conosce il trust, poiché il vincolo reale di cui all’articolo 2645 ter c.c. presenta gli elementi minimi e necessari alla costituzione di un trust.
L’orientamento dottrinale prevalente, infatti, ritiene che è grazie a questa disposizione che oggi anche il nostro sistema ha un trust di diritto interno, ovvero, un trust i cui elementi essenziali sono collocati in Italia e viene regolamentato dalla legge dello stato straniero che prevede il trust.
In conclusione, possiamo evidenziare come il fenomeno della destinazione patrimoniale sia molto diffuso a testimonianza della predilezione del legislatore della creazione di centri specializzati di responsabilità e non di universalità, il tutto nel rispetto della legge.
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Michela Falcone
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