Diffamazione a mezzo stampa nell’era nell’informazione digitale. Analisi critica e prospettive di sviluppo.

Diffamazione a mezzo stampa nell’era nell’informazione digitale. Analisi critica e prospettive di sviluppo.

Nota a Cassazione penale, sez. V, 14/11/2016, (dep.01/02/2017), n. 4873

di Rosa Romano

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. I termini della questione – 4. La diffamazione nell’era dei social network – 5. Interpretazione evolutiva del termine “stampa” – 6. Osservazioni critiche – 7. Conclusioni

1. Premessa

La questione trae spunto da una recentissima sentenza della Cassazione penale, sez. V, depositata in data 1 febbraio 2017, n. 4873 con la quale i giudici di legittimità si sono pronunciati sull’annosa questione circa la ricomprensione dei nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero nel concetto di c.d. stampa.

La problematica non è di poco conto ed è estremamente attuale atteso che, specialmente negli ultimi anni, la giurisprudenza sta compiendo un notevole sforzo interpretativo che ha reso addirittura necessario un pronunciamento da parte delle Sezioni Unite nel luglio del 2015 con la sentenza n. 31022.

2. Il caso

Un utente del noto social network “Facebook” pubblicava sul proprio profilo una affermazione lesiva dell’altrui reputazione. Ne discendeva la contestazione del delitto di diffamazione aggravata dall’attribuzione di un fatto determinato e dall’uso del mezzo della stampa (ex artt. 595 c.p. e 13 l. n. 47/1948).

In seguito all’applicazione della L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13 (Disposizione sulla stampa) la pena massima edittale della reclusione poteva arrivare fino a sei anni e si rendeva, pertanto, necessario lo svolgimento dell’udienza preliminare.

Il giudice dell’udienza preliminare, tuttavia, ritenendo che la vicenda andasse inquadrata nell’alveo dell’art. 595 c.p., comma 3 – delitto per il quale è prevista la citazione diretta a giudizio – disponeva, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Il Procuratore della Repubblica proponeva, quindi, ricorso per cassazione deducendo l’abnormità dell’ordinanza in parola poiché, a suo dire, la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “Facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 c.p., comma 3, venendo in essere una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone.

3. I termini della questione

L’art. 21 Cost., comma 2, sancisce che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Il termine “stampa” compare per la prima volta nel dettato costituzionale e la L. n. 47 del 1948, art. 1 precisa che sono da considerarsi stampe o stampati «tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».

Tanto premesso, nel 2015 le Sezioni Unite[1], nel tentativo di estendere la disciplina a tutela della stampa anche alle testate telematiche registrate on-line in una prospettiva di ampliamento delle garanzie apprestate dall’art. 21 Cost. operarono delle precisazioni.

In particolare, fu chiarito che «è possibile un differente approccio al significato del termine “riproduzione”. La riproduzione può ben essere intesa come potenziale accessibilità di tutti al contenuto dello stampato; la produzione di un testo su internet è funzionale alla possibilità di riprodurne e leggerne il contenuto sul proprio computer. L’immissione dell’informazione giornalistica in rete, inoltre, lascia presumere la diffusione della stessa, che diventa fruibile da parte di un numero indeterminato di utenti, il che integra la nozione di “pubblicazione”».

Allo stesso tempo le Sezioni Unite chiarirono che l’esito di tale operazione ermeneutica non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), a prescindere dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi, ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili strutturale e finalistico che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio.

Ebbene, sulla scorta di quanto affermato, se da un lato appare certamente lodevole il tentativo compiuto dal più autorevole Consesso di allargare l’ambito di applicazione delle leggi previste a tutela della stampa anche per le testate giornalistiche on-line, dall’altro l’interpretazione evolutiva così operata rischia di creare nuove insidie per gli operatori del diritto sotto il profilo dell’analogia c.d. in malam partem delle norme sulla stampa[2].

Invero, facendo applicazione del concetto di stampa così come elaborato dalle Sezioni Unite, ad una testata giornalista on-line dovrebbero applicarsi sia le norme di favore circa il sequestro e il divieto di censura che quelle più specifiche e sfavorevoli, previste per la repressione dei particolari reati realizzati a mezzo stampa.

Tra queste, anche l’art. 13 della legge sulla stampa, nonché lo stesso art. 57 c.p. in tema di responsabilità del direttore del periodico.

Sotto quest’aspetto, il caso di specie appare particolarmente interessante poiché il Procuratore ricorrente, basandosi appunto sull’interpretazione delle Sezioni Unite nel 2015, in relazione ad una ipotesi di diffamazione perpetrata mediante Facebook (strumento certamente in grado di raggiungere un numero indeterminato di persone) aveva chiesto proprio l’applicazione dell’art. 13 della legge sulla stampa, con un significativo aumento del massimo edittale della pena.

4. La diffamazione nell’era dei social network

La diffamazione è un reato di evento, inteso quest’ultimo come avvenimento esterno all’agente e causalmente collegato al comportamento di costui. Si tratta di evento non fisico, ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte del terzo (rectius dei terzi) della espressione offensiva, che si consuma non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all’agente ed alla persona offesa. Esso si consuma anche se la comunicazione con più persone e/o la percezione da parte di costoro del messaggio non siano contemporanee (alla trasmissione) e contestuali (tra di loro), ben potendo i destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri ovvero dall’agente.

Ma, mentre, nel caso, di diffamazione commesso, ad esempio, a mezzo posta, telegramma o e-mail, è necessario che l’agente compili e spedisca una serie di messaggi a più destinatari, nel caso in cui egli crei e utilizzi uno spazio web, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes, sia pure nel ristretto – ma non troppo – ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, nel caso di siti a pagamento, la legittimazione, a connettersi[3].

Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione l’esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici (si veda, ad esempio, l’art. 623-bis c.p. in tema di reati contro l’inviolabilità dei segreti), non ha ritenuto di mutare o integrare la normativa con riferimento ai reati contro l’onore (artt. 594 e 595 c.p.), pur essendo intuitivo che questi ultimi possano essere commessi anche per via telematica o informatica. Ci si rende facilmente conto che è certamente possibile che un agente, inviando messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse).

Ovviamente, l’azione è altrettanto idonea a ledere il bene giuridico dell’onore anche se l’agente immette il messaggio in rete con modalità diverse, ivi compresi gli “altri mezzi di pubblicità” con cui si intendono, in senso ampio, tutti gli altri mezzi divulgativi, quindi, anche internet. Sul punto, la dottrina ha osservato come la perfezione della diffamazione con altro mezzo di pubblicità, ex art. 595, comma 3, c.p., avvenga nel momento della pubblicità, ovvero della comunicazione al pubblico, e quindi dell’effettiva percezione e comprensione dell’offesa da parte del pubblico medesimo; peraltro, ai fini probatori, può individuarsi la perfezione del reato con l’immissione in rete di messaggi e dei dati, poiché sulla base di comuni regole di esperienza si può ritenere che tale momento coincida con quello dell’effettiva percezione e comprensione dell’offesa da parte del pubblico, restando salva la (seppur ardua) prova contraria[4].

Invero, la giurisprudenza ha chiarito che anche la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo per questo di una bacheca Facebook, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca Facebook non avrebbe senso), sia perché l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione[5].

Il principio secondo cui la diffamazione mediante Facebook costituisce diffamazione aggravata dall’uso di un qualunque altro mezzo di pubblicità ex art. 595, comma terzo, c.p., rappresenta oramai ius receptum sia nella giurisprudenza di legittimità che in quella di merito[6].

Purtuttavia, la questione non è completamente risolta atteso che, come supra esposto, l’intervento delle Sezioni Unite non ha dipanato tutti i dubbi circa l’esatta portata del concetto di “stampa”.

La questione, allora, diventa capire se, come ritenuto dal P.M. nel caso che qui si annota, il social network “Facebook” possa essere considerato “stampa”.

5. Interpretazione evolutiva del termine “stampa”

La L. n. 47 del 1948, art. 1 si limita a definire esplicitamente il concetto di stampa nella sua accezione tecnica di riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisicochimici.

Il termine “stampa”, però, ha anche un significato figurato e, in tal senso, indica i giornali, che sono strumento elettivo dell’informazione e lo erano soprattutto all’epoca in cui entrarono in vigore la Carta Fondamentale e la richiamata L. n. 47 del 1948, quando cioè gli altri mass media, in particolare la televisione e i siti di informazione on-line, non erano operativi.

L’art. 21 Cost., comma 1, proclama solennemente la libertà di manifestare il proprio pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». La norma, di carattere generale e precettivo, ha una portata molto ampia, nel senso che riconosce a tutti i consociati, in quanto individui, tale diritto di libertà ed incide inevitabilmente sulle specifiche previsioni che i successivi commi dello stesso art. 21 riservano alla “stampa”, che è la più importante espressione della libera manifestazione del pensiero.

Certamente lungimirante è l’espressione utilizzata dal Costituente «con (…) ogni altro mezzo di diffusione», che oggi abbraccia anche internet, frontiera moderna per la diffusioni dell’informazione professionale, ancorata ai valori della responsabilità e della correttezza.

È evidente che l’area riduttiva del significato attribuito al termine “stampa” dalla L. n. 47 del 1948, art. 1 è strettamente legata alle tecnologie dell’epoca, il che non impedisce – oggi – di accreditare, tenuto conto dei notevoli progressi verificatisi nel settore, una interpretazione estensiva del detto termine, la quale non esorbita dal campo di significanza del segno linguistico utilizzato ed è coerente col dettato costituzionale.

Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione ha incluso la pubblicazione del messaggio diffamatorio sulla bacheca “Facebook” nella tipologia di “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, che, ai fini della tipizzazione della circostanza aggravante di cui all’art. 595 c.p., comma 3, il codificatore ha giustapposto a quella del “mezzo della stampa”[7].

L’interpretazione proposta si pone, invero, in linea di continuità con la soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite nel 2015 che, dopo avere affermato la legittimità di una interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa” – così da estendere alle testate giornalistica telematiche le guarentigie di rango costituzionale e di livello ordinario assicurate a quelle tradizionali in formato cartaceo – hanno ritenuto necessario chiarire che l’esito di tale operazione ermeneutica non può riguardare tutti in blocco i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, pagine Facebook), ma deve rimanere circoscritto a quei soli casi che, per i profili, strutturale e finalistico, che li connotano, sono riconducibili nel concetto di “stampa” inteso in senso più ampio.

Il più autorevole Consesso ha, quindi, spiegato che: «Deve tenersi ben distinta l’area dell’informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo“, ed ha concluso, quindi, con il precisare che: “Anche il social-network più diffuso, denominato Facebook, non è inquadrabile nel concetto di “stampa”“, essendo: “un servizio di rete sociale, basato su una piattaforma software scritta in vari linguaggi di programmazione, che offre servizi di messaggistica privata ed instaura una trama di relazioni tra più persone all’interno dello stesso sistema».

Tanto chiarito, occorre dare atto che anche la sentenza che qui si annota, in linea di continuità con la soluzione cui sono pervenute le Sezioni Unite, ha concordato con la qualificazione del fatto operato dal giudice dell’udienza preliminare.

6. Osservazioni critiche

La pronuncia, com’è evidente, è frutto dello “spartiacque” tracciato dalle Sezioni Unite nel 2015 tra i diversi mezzi di comunicazione presenti nella rete internet: da un lato le testate telematiche delle quali è stata affermata la piena equiparazione a quelle cartacee e, così, l’applicazione della relativa disciplina ordinaria e costituzionale; dall’altro blog, social network, newsgruop e newsletter, per i quali non varrebbe altrettanto.

Ponendo l’accento sull’attività in concreto svolta, ogni giornale, anche se diffuso con mezzi differenti da quelli tipografici, sarebbe riconducibile alla nozione di stampa e soggetto allo statuto previsto per la stessa, purché contraddistinto da una testata, dotato di un direttore responsabile, registrato presso il tribunale e diffuso con una periodicità regolare.

La Corte giunge a tale conclusione principalmente basandosi sull’interpretazione della legge 7 marzo 2001, n. 62, intitolata «Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali», la quale offre una nuova definizione di «prodotto editoriale».

Per tale s’intende, ai sensi dell’art. 1, comma 1, «il prodotto realizzato su supporto cartaceo (…) o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico».

Questa nuova definizione di prodotto editoriale comporterebbe, secondo l’interpretazione datane dalle Sezioni Unite, l’estensione anche all’editoria on-line delle norme relative alle indicazioni obbligatorie sugli stampati e all’obbligo di registrazione delle testate giornalistiche e dei periodici.

L’art. 1, comma 3, infatti, testualmente statuisce: «Al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 2. Il prodotto editoriale diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dalla L. n. 47 del 1948, art. 5».

Si distinguono, quindi, analogamente a quanto previsto dalla legge sulla stampa, due tipi di prodotto editoriale: senza o con periodicità regolare. La prima parte della disposizione testè richiamata prescrive che ogni prodotto editoriale deve contenere le indicazioni di cui alla L. n. 47 del 1948, art. 2; la seconda parte prevede che devono essere iscritte nell’apposito registro tenuto dalla cancelleria del competente Tribunale le testate telematiche che abbiano le stesse caratteristiche di quelle cartacee.

Tanto premesso, si ritiene di non condividere in toto le argomentazioni, pur certamente apprezzabili, della Suprema Corte. A ben vedere, infatti, l’art. 1 della L. 7 marzo 2001, n. 62 non equipara affatto il concetto di stampa a quello di prodotto editoriale.

L’intentio legis è esclusivamente quello di imporre anche al prodotto editoriale telematico il rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 2 della L. n. 47 del 1948 (rubricato «Indicazioni obbligatorie sugli stampati»), nonché la loro registrazione ai sensi dell’art. 5 della medesima legge.

Se ne deve concludere che, trattandosi di un rinvio limitato «ai fini della presente legge» – come esplicitamente recita l’art. 1 – ricomprendere la carta stampata ed il periodico on-line nell’unico, onnicomprensivo concetto di «prodotto editoriale» rileva ai soli fini sopra citati: indicazioni obbligatorie e registrazione.

La conseguenza è, allora, pacifica: alla testata telematica non si applicano che le disposizioni in materia di stampati esplicitamente indicati dalla legge, e cioè non si applicano, per esempio, le previsioni di cui agli art. 13 (pene per la diffamazione) e 15 (pubblicazioni contenuto impressionante o raccapricciante) della L. n. 47 del 1948.

Ma soprattutto – conseguenza ben più rilevante, ai nostri fini – non si applicano al «prodotto editoriale» (che, appunto, comprende anche la testata telematica) le previsioni di altre leggi dell’ordinamento giuridico, dettate in materia di carta stampata, come la L. 4 marzo 1958, n. 127, che ha modificato il regime del codice penale, portando all’attuale disciplina di cui agli artt. 57-58-bis c.p.

Né l’esito di tale ragionamento può essere eluso muovendo dal richiamo, operato dall’art. 1, comma 3, L. n. 62 del 2001, alla necessaria registrazione del prodotto editoriale, dal momento che, come ampiamente noto, una norma successiva, l’art. 7, comma 3, del D. Lgs. 9 aprile 2003, n. 70 prevede esplicitamente che «La registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla L. 7 marzo 2001, n. 62».

Ma vi è di più. La frattura delineata dalla Corte tra i giornali on line e gli altri siti internet è un confine che, però, sembra destinato ad essere superato dalla tecnologia. Basta pensare al fenomeno dei cosiddetti instant articles, ovverosia articoli pubblicati dalle testate direttamente sul social network Facebook e non più tramite links che rimandano ai siti dei diversi giornali on line[8].

In questo caso, seguendo l’interpretazione – pur autorevolissima – tracciata dalla Suprema Corte si verrebbe a creare una situazione a dire il vero assai stravagante, se non paradossale: un articolo dal contenuto diffamatorio pubblicato su una testata telematica e su quella cartacea non sarebbe sequestrabile, mentre lo stesso identico articolo pubblicato dal medesimo editore su Facebook potrebbe essere oggetto di sequestro preventivo. E ciò, determinando una forte tensione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. che le Sezioni Unite miravano, invece, a scongiurare.

7. Conclusioni

Allo stato di quanto affermato, occorre rilevare che il concetto di “stampa”, avendo subito un ampliamento considerevole, on appare più idoneo a distinguere i vari mezzi telematici rischiando, da un lato di ricomprendere solo determinati strumenti e, dall’altro di comportare una ingiustificata esclusione di altri mezzi altrettanto idonei ad influire in maniera netta sull’informazione.

Ciononostante, sicuramente apprezzabile è lo sforzo che la giurisprudenza ha fatto al fine di far luce sulla questione ed è auspicabile che la stessa continui a progredire in quanto non si è, comunque, ancora giunti ad un criterio chiaro ed univoco attraverso cui distinguere i vari mezzi di comunicazione.

Al contrario, proprio alla luce della non unanimità di vedute, è bene mettere in evidenza che a voler seguire l’orientamento delle Sezioni Unite e, conseguentemente, a voler estendere la nozione di “stampa” anche ad altri mezzi di informazione telematica al solo fine di applicare le norme di tutela previste per il sequestro si rischi, però, di allargare la portata applicativa anche delle norme di sfavore realizzando (ed è questo ciò che si vuole evitare) un’inammissibile analogia c.d. in malam partem.

Invero, la possibilità di applicare le norme di sfavore previste esclusivamente, per la carta stampata, anche ad un giornale telematico è stata finora decisamente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità, a meno di non violare il principio di tassatività.

Ma il problema va forse al di là della applicabilità o meno, per via analogica o legislativa, delle norme di sfavore ai giornali on-line.

Il mondo dell’editoria sta vivendo una rivoluzione globale e l’informazione sta cambiando dalle radici più profonde. Si pensi soltanto ai quotidiani che sbarcano sull’i-pad e allo sviluppo di massa dell’adsl, e che le storiche agenzie di stampa di tutto il mondo vengono scavalcate e bruciate sul tempo dai messaggi del cosiddetto giornalismo partecipativo dei twitter che spesso mettono in rete notizie non verificate e talvolta non veritiere ma che tuttavia fanno il giro del mondo prima di essere rettificate o smentite.

Tutte tematiche che difficilmente potranno essere affrontate e risolte per il semplice fatto che l’universo del web non ha confini e si rinnova e si trasforma di giorno in giorno.


[1] Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2015 (dep. 17 luglio 2015), n. 31022, Pres. Santacroce, Rel. Milo, Fazzo e altro.

[2] Per una ricostruzione dello stato del dibattito in materia sia in dottrina che in giurisprudenza si veda: A. Gullo, Delitti contro l’onore, in AA. VV., Reati contro la persona, Estratto dal VII volume del Trattato Teorico-Pratico di Diritto penale diretto da F. Palazzo e C.E. Paliero: Reati contro la persona e contro il patrimonio, F. Viganò, C. Piergallini (a cura di), Torino, 2015, pag. 164 ss.; S. Seminara, Internet (diritto penale), in AA.VV., Enciclopedia del diritto – Annali VII, Milano, 2014, pag. 567 ss..

[3] Cass. pen., Sez. V, 21 giugno 2006, n. 25875; Sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741.

[4] Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, I, Delitti contro la persona, Padova, 2013, 257; Garofoli, Manuale di diritto privato. Parte speciale. Tomo II, Roma, 2009, 212 ss; Picotti, Profili penali delle comunicazioni illecite via Internet, in Dir. inf. Informatica., 1999, 283; Manca, Diffamazione col mezzo della stampa (595 co. 3°, 596 bis), Cocco-Ambrosetti (a cura di), Trattato breve di Diritto Penale – Parte speciale – I: I reati contro le persone, Padova, 2014, 563 s.; Corrias Lucente, Il diritto penale dei mezzi di comunicazione di massa, Padova, 2000, 274 ss.; per un quadro della giurisprudenza sul momento consumativo della diffamazione a mezzo internet, Sommaruga, Art. 595 c.p., in Dolcini, Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2011, 5633.

[5] Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2015, n. 24431.

[6] Cass. pen., Sez. I, 22 gennaio 2014 (dep. 16 aprile 2014), n. 16712, Pres. Siotto, Rel. La Posta, P.M. in proc. Sarlo; Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 2015 (dep. 8 giugno 2015), n. 24431 cit., Pres. Chieffi, Rel. Bonito; Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2015 (dep. 24 febbraio 2016), n. 7264, Pres. Savani, Rel. Settembre; Tribunale di Ascoli Piceno, Sent. 10 maggio 2016; Tribunale di Firenze, Sez. I, Sent. 18 giugno 2014; Tribunale di Livorno, Uff. indagini preliminari, Sent. 31 dicembre 2012, n. 38912, Gip Pirato.

[7] Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015 – dep. 08/06/2015, Conflitto di competenza, Rv. 26400701.

[8] Il servizio è stato offerto dal più noto social network nella primavera del 2015 negli Stati Uniti e in Italia verso la fine dell’anno grazie all’accordo con alcune delle testate nazionali più diffuse, tra cui “La Stampa”, “Il Corriere”, “La Repubblica” e “Il Fatto quotidiano”.


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