Dimissioni rese sotto minaccia: è abuso del diritto del datore di lavoro
In tempi di crisi economica parrebbe giustificabile o quantomeno comprensibile che il datore di lavoro intimi le dimissioni ad un proprio dipendente.
Dietro tale scelta potrebbero celarsi numerose motivazioni, ma c’è un confine entro il quale il datore di lavoro deve attenersi affinché l’atto di dimissioni non possa essere considerato illegittimo e quindi annullabile.
Il Governo con il d.l. 18/2020 ha stabilito il divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto, anche in caso di giustificato motivo oggettivo e indipendentemente dal numero di dipendenti della sua azienda,
Tale divieto non riguarda il caso di dimissioni del lavoratore.
L’art. 46 del d.l. 18/2020 fa riferimento ai licenziamenti collettivi ed ai licenziamenti individuali, indipendentemente dal numero dei lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604; di conseguenza, il divieto non riguarda le dimissioni.
Ma quando le dimissioni sono frutto di una minaccia del datore di lavoro pressato dai tempi di crisi e dalle difficoltà economiche, che strumenti ha il lavoratore per far valere il suo diritto e per poter continuare a lavorare?
Sotto un profilo civilistico, l’atto delle dimissioni è impugnabile per “vizio del consenso” , in quanto estorto e non effettivamente voluto. Ciò implica che il dipendente potrà far annullare le dimissioni e ottenere di nuovo il proprio posto di lavoro.
La norma di riferimento è l’art. 1438 del Codice civile.
Tale norma rientra nel novero dell’esercizio e abuso del diritto soggettivo, ovverosia la specifica tutela approntata dall’ordinamento nel caso in cui un soggetto travalichi i confini del diritto civile, per far valere la propria posizione soggettiva.
La norma chiarisce che un contratto o un atto sottoscritto possa essere annullato, allorquando sia frutto di una minaccia avente lo scopo di conseguire vantaggi ingiusti e ricomprende anche il caso in cui il datore di lavoro minacci di licenziamento un dipendente senza una giusta causa.
La Suprema Corte di Cassazione ha statuito, con diverse pronunce, che le dimissioni non possono essere oggetto di costrizione neanche nel caso in cui il dipendente abbia commesso un comportamento vietato dalla legge o dal contratto collettivo di riferimento.
Il principio espresso dai Giudici di legittimità è rivolto a tutelare il dipendente, a prescindere dalle ragioni che abbiano spinto il datore di lavoro a richiederne le dimissioni.
Quindi non è rilevante quanto probabile sia il licenziamento paventato al dipendente come alternativa alle dimissioni volontarie, ma il modo in cui tale licenziamento venga attuato.
La minaccia è sempre un comportamento passibile di denuncia, anche in sede penale. Inoltre è da rilevare l’oggettiva disparità di forze esistente tra il datore di lavoro ed il dipendente, soggetto debole del rapporto.
La violenza morale esercitabile dal datore di lavoro che può determinare l’annullabilità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, può esplicarsi anche solo come concausa, ad esempio può il datore di lavoro minacciare un trasferimento in una sede lontana dal luogo di residenza del lavoratore al fine di spingere quest’ultimo al licenziamento volontario.
Le dimissioni rassegnate sotto minaccia di licenziamento sono suscettibili di essere annullate per violenza morale, ma deve essere accertata l’inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell’inadempimento addebitato al dipendente, dovendosi ritenere che il datore di lavoro persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del proprio diritto di recesso (Cass civ. 08/24405).
L’orientamento giurisprudenziale è ormai consolidato e risalente e mira a tutelare e difendere gli interessi dei lavoratori, sia sotto il profilo morale che sotto il profilo del diritto del lavoro.
L’onere probatorio è a carico del lavoratore che subisce la minaccia e che deduca l’invalidità dell’atto di dimissioni.
Esso potrà rivolgersi ad uno studio legale specializzato in diritto del lavoro per la tutela dei propri diritti.
Quindi pur essendo vietati i licenziamenti per come previsto dal D.l. 17 marzo 2020, n. 18, con proroga fino al 17 agosto 2020, la tutela approntata dal legislatore è effettiva ed interviene anche in caso di dimissioni proposte dietro costrizione e minaccia.
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dott.ssa Antonella De Marco
Consegue la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università della Calabria, con tesi sperimentale in diritto privato e diritto bancario.
Frequenta la Scuola di Alta Formazione Giuridica, specializzandosi in temi di diritto civile, penale ed amministrativo.
Ha collaborato con lo Studio Legale De Filicaia -sito in Rende (CS)- specializzato in diritto civile, tributario, commerciale e diritto del lavoro occupandosi dell’analisi, trattazione e risoluzione delle maggiori questioni giuridiche nell’ambito dei contratti tipici, nella risoluzione di problemi legati al credito ed ai rapporti tra contribuente e Fisco, oltreché alle controversie in materia di famiglia e diritto del lavoro.
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