Diritti d’autore e sistemi di intelligenza artificiale

Diritti d’autore e sistemi di intelligenza artificiale

Principi giuridici e requisiti alla base del diritto in un mondo globalizzato

di Michele Di Salvo

Il rapporto uomo macchina è stato sempre al centro delle riflessioni in materia di diritto d’autore, spostando sempre il limite e rendendo necessarie periodicamente revisioni interpretative estensive, mano a mano che le innovazioni tecniche hanno consentito “un nuovo agire” umano.

Il punto essenziale delle innovazioni in ambito tecnico però considerava immutato il fatto che il soggetto agente creatore del “prodotto finale” e del “processo di creazione”, fosse e restasse sempre un essere umano.

Ad esempio, nonostante l’espressa previsione legislativa sulla tutela autoriale di un’opera fotografica, nessuno mette in dubbio che una fotografica costituisca un’opera dell’ingegno meritevole di protezione. Le prime fotografie si sono diffuse nella metà del XIX secolo, contribuendo ad un dibattito acceso non solo tra i giuristi. C’era chi sosteneva che una fotografia non potesse essere considerata un’opera creativa meritevole di tutela (primi fra tutti gli editori), insistendo sul fatto che la fotografia fosse il risultato di un processo meccanico di una macchina fotografica riproducente la realtà senza intervento umano.

Sono stati i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti a risolvere il dibattito, riconoscendo la natura autoriale alla fotografia intitolata “Oscar Wilde No. 18” realizzata da Napoleon Sarony allo scrittore Oscar Wilde, qualificando il fotografo come l’autore di un’opera d’arte originale.

Nelle parole della Corte, Sarony “non si è limitato ad utilizzare la macchina fotografica posta davanti ad Oscar Wilde ma ha disposto il soggetto in modo tale da presentare ornamenti aggraziati, gestendo le luci e le ombre, suggerendo ed evocando l’espressione desiderata”. Sarony poté così far valere i suoi diritti d’autore sulla fotografica nei confronti la Burrow-Giles Lithographic Company che aveva commercializzato delle riproduzioni litografiche dell’opera medesima senza il consenso del fotografo.

Con questa sentenza la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato soluzione al rapporto complesso sulla creatività mediata dalla macchina.

Oggi siamo andati oltre la “creatività mediata dalla macchina” e il dibattito è incentrato sulla questione della tutelabilità delle creazioni “realizzate con” sistemi di intelligenza artificiale e la tutelabilità delle creazioni “realizzate da” sistemi di intelligenza artificiale.

Nel contesto di questa rivoluzione tecnologica sempre più spesso autori umani (dal settore musicale, a quello grafico, letterario, del design…) utilizzano sistemi di intelligenza artificiale per ottenere un risultato creativo con contributi “non trascurabili” o marginali della macchina o, spesso, assistono all’uso di dati recuperati on-line per alimentare un sistema di I.A.

Il modello tradizionale antropocentrico del diritto d’autore è stato profondamente messo in discussione prima dal rapporto uomo-macchina, e poi dai processi di “duplicazione” in cui l’opera unica è diventata oggetto potenzialmente di massa. Ma queste due fasi hanno sinora riguardato sempre e comunque un’autorialità indiscussa: chi era autore pieno dell’opera creativa era sempre un essere umano.

In Italia, che si è dotata di una normativa all’avanguardia e particolarmente tutelante, la legge 633/1941 sul diritto d’autore non fornisce una definizione di autore né tanto meno di creatività e originalità che possono essere oggi utili in concreto per comprendere la complessità dei sistemi di I.A.

Sia la giurisprudenza sia la dottrina hanno dato un contributo rilevante (talvolta anche supplente ed integrante) per definire un’opera creativa, ovvero, un’opera nuova ed originale che sia idonea a rivelare la personalità dell’autore, dando un apporto creativo non banale che si discosti da quelle precedenti.

Nei sistemi di common-law, invece, il copyright dipende dalla soglia di originalità ovvero dalla c.d. “threshold of originality” data da tre presupposti ovvero: skill (competenza creativa), labour (impegno, lavoro) e judgement (capacità di discernere, distinguere e scegliere gli elementi distintivi dell’opera).

In estrema sintesi, possiamo dire che utilizzando questo triplice parametro (simultaneamente sussistente e in cui gli elementi devono essere quantomeno equipollenti, se non quantitativamente equivalenti) per la giurisprudenza anglo-americana, le opere prodotte con sistemi di intelligenza artificiale presentano skills e labour. Manca, invece, il judgement che appartiene all’essere umano.

È l’uomo che impartisce gli input al sistema ed è sempre l’uomo a decidere se il risultato, ovvero l’output, è corrispondente al suo gusto e alla sua idea creativa.

Sono numerosi i casi in cui un sistema di intelligenza artificiale ha scritto libri, creato quadri o melodie musicali in maniera completamente autonoma.

Ci si è chiesto se tali opere fossero tutelabili, e a chi andasse tale tutela (chi fosse il soggetto titolare del diritto da tutelare).

Tra le decisioni in cui si è negata tutela autoriale alle opere create con sistemi di intelligenza artificiale, si segnala la recente ordinanza del 18 agosto 2023 della Corte del distretto di Columbia che ha confermato la decisione del 14 febbraio 2022 resa dal Copyright Review Board dello U.S. copyright Office.

L’ordinanza in questione rigetta nuovamente la richiesta di registrazione dell’opera d’arte intitolata “A Recent Entrance to Paradise” a nome dell’AI “Creativity Machine” di Steven Thaler.

La Corte ha negato all’Intelligenza artificiale la possibilità di essere riconosciuta autrice di un’opera d’arte in ragione della mancanza di creatività intellettuale che la legge riserva all’uomo.

Ad oggi si nega che un’Intelligenza Artificiale (“IA”) possa essere creatrice di opere d’arte (nonostante ci siano casi isolati come la decisione emessa dal Tribunale cinese di Shenzen che ha riconosciuto tutela autoriale ad un articolo scritto da un programma di intelligenza artificiale).

In passato era già stata negata tutela autoriale alle opere create da animali (tra i casi più emblematici, il murale dipinto da un elefante o il famoso il selfie, denominato Monkey Selfie, scattato da una femmina di macaco con la macchina fotografica, lasciata volutamente dal fotografo Slater) ma i sistemi di intelligenza artificiali ci impongono di ripensare al concetto di creatività.

Oltre al diritto d’autore, ci si è posti anche il problema se un’intelligenza artificiale possa essere considerata inventrice del sistema realizzato e, quindi, titolare del trovato stesso.

Ad esempio, nel 2020 l’EPO (Ufficio Brevetti Europeo) ha espressamente stabilito nel caso DABUS che i sistemi di I.A. non possano figurare come lavoratori subordinati, detenere invenzioni e trasferirne i relativi diritti (articolo 81 e regola 19 della Convenzione sul Brevetto Europeo).

In senso conforme si sono espressi gli uffici IP in altre giurisdizioni, come UKIPO, USPTO ed Australian Deputy Commissioner of Patents.

Gli interventi normativi più recenti sulla disciplina dell’intelligenza artificiale rispetto ai diritti IP sono rappresentati dalla Risoluzione del Parlamento Europeo n. 2020/2015 sui diritti di proprietà intellettuale e le tecnologie generate dall’AI; dall’istituzione di un Comitato ad hoc presso il Consiglio UE per lo studio del quadro giuridico AI; dal “Draft Regulation on a European Approach on AI” e dagli “Open Process” WIPO che aprono dibattiti e discussioni sulla brevettabilità dei beni immateriali “AI generated”.

Tra le varie questioni giuridiche, meritevoli di approfondimento e sforzo interpretativo, vi è certamente la tutela delle opere protette dal diritto d’autore nei confronti delle piattaforme generative di I.A. (esplose soprattutto nel 2022) che utilizzano opere d’ingegno già esistenti e tutelate dal diritto d’autore da cui traggono “ispirazioni” ed input per nuovi lavori creativi.

Parte della dottrina ha introdotto un’ipotetica soluzione nella possibilità di imporre alla macchina, nel suo lavoro di apprendimento e creazione, di utilizzare solamente il materiale legittimamente acquisibile (il c.d. “copyright by design”).

Per contro, si stanno diffondendo sistemi di intelligenza artificiale che, attraverso meccanismi di apprendimento automatico profondo denominati “deep learning”, generano melodie, testi ed immagini utilizzando un’enorme quantità di dati presenti on-line. Il sistema di A.I. raccoglie ed estrae dati da Internet (compresi anche contenuti coperti da copyright), attraverso modalità di raccolta indistinte, c.d. web-scraping.

I titolari dei diritti d’autore sui contenuti utilizzati (senza alcun consenso) dagli strumenti di A.I. hanno già avviato delle azioni legali; ad esempio, la Universal ha promosso un’azione contro la startup Anthropic in relazione al modello di IA denominato Claude che sarebbe in grado di generare delle lyrics identiche alla canzone I Will Survive di Gloria Gaynor.

Un’altra azione giudiziaria è stata avviata davanti alla Corte Federale di San Francisco contro le società GitHub, Microsoft e OpenAI. Sulla base delle azioni proposte i relativi software di intelligenza artificiale, GitHub Copilot e OpenAI Codex avrebbero sfruttato un’enorme quantità di codici altrui, presenti nella piattaforma open-source di GitHub, per produrre propri codici in spregio ai diritti di licenza degli utenti come disciplinati dai termini e condizioni d’uso della piattaforma stessa.

In concomitanza con l’ordine esecutivo di Joe Biden in tema di Intelligenza Artificiale, la Corte distrettuale della California del Nord ha emesso l’ordinanza 23-cv-00201-WHO in relazione alla class action promossa da Sarah Andersen, Kelly McKernan e Karla Ortiz.

Gli artisti hanno contestato la legalità dei software generatori di immagini Stable Diffusion, Midjourney e DreamUp, facenti capo, rispettivamente, alle aziende Stability AI, Midjourney e DeviantArt, lamentando:

i) la violazione dei diritti d’autore sia per le modalità di addestramento dei software utilizzati (che attingono a database disponibili online contenenti miliardi di immagini e fotografie) sia per gli output generati dagli stessi sistemi di intelligenza artificiale in ragione della frequente somiglianza tra il prodotto finale dell’algoritmo e l’opera altrui protetta;

ii) la violazione del diritto all’immagine e del diritto al nome degli artisti;

iii) atti di concorrenza sleale e violazione contrattuale (quest’ultima contestata dagli artisti solo nei confronti di DeviantArt).

L’ordinanza è utile per comprendere le grosse difficoltà probatorie nel far valere un contenuto protetto nei confronti dei sistemi di I.A.

Come si legge nella medesima decisione, Stable Diffusion è una “software library” che fornisce image-generating services attraverso un processo matematico “Le immagini vengono create attraverso un processo matematico che si basa interamente sulle immagini di addestramento e sono “derivate” dalle immagini di addestramento”.

Come espressamente riconosciuto da Stability AI, le immagini rilasciate dal sistema non sono perfettamente uguali a quelle originali ma “nello stile” degli artisti. Il processo di diffusione non comporterebbe quindi la copia delle immagini ma l’applicazione di equazioni matematiche e algoritmi per catturare i concetti dalle immagini di addestramento.

Gli artisti hanno lamentato la violazione delle opere sulla base di una mera ricerca del proprio nome sul sito www.ihavebeentrained.com senza riuscire però a dimostrare esattamente quali opere specifiche, registrate presso lo U.S. Copyright Office, fossero state utilizzate come immagini per l’addestramento del sistema di I.A.

La Corte ha accolto tutte le motions to dismiss dei convenuti (ad eccezione della domanda di accertamento della violazione del copyright proposta da Anderson contro Stability) e ha assegnato il termine di 30 giorni per modificare e tentare di rimediare alle carenze probatorie delle allegazioni degli artisti affinché:

a) forniscano prove concrete di opere create da strumenti AI che siano identiche al loro materiale coperto da copyright, invitando espressamente gli artisti ad identificare quali opere siano state protette presso lo U.S. Copyright Office “posto che nessuna delle immagini generate da Stable Diffusion fornite in risposta a un particolare comando di testo corrisponda ad una specifica immagine nei dati di addestramento”.

b) procedano con “un’integrazione per chiarire la loro teoria riguardo alle copie compresse delle immagini di addestramento e per enunciare fatti a supporto di come Stable Diffusion – un programma che è open source, almeno in parte – operi rispetto alle immagini di addestramento”.

c) chiariscano le accuse mosse nei confronti di Midjourney che dispone di app e siti web per l’uso di Stable Diffusion, stabilendo che “Non è chiaro, ad esempio, se Stable Diffusion contenga solo algoritmi e istruzioni che possono essere applicati alla creazione di immagini che includono solo alcuni elementi di un’immagine di formazione protetta da copyright, se DeviantArt o Midjourney possano essere responsabili di violazione diretta offrendo ai propri clienti l’uso della “libreria” di Stable Diffusion attraverso le proprie app e siti web”. A parere della Corte le ricostruzioni fornite dagli artisti non contengono “fatti che supportino l’inferenza che Stability sia vincolata dai Termini di servizio o che il querelante McKernan o altri siano beneficiari terzi di disposizioni specifiche nei Termini di servizio che possono citare in giudizio per far rispettare i termini degli accordi stipulati tra DeviantArt e Stability”.

Questa prima ordinanza è utile per comprendere le elevate difficoltà di far valere, e soprattutto provare, la violazione dei diritti nei confronti di sistema di intelligenza artificiale.

Parallelamente, Stability AI è stata coinvolta in un’altra vicenda giudiziaria, instaurata presso la Corte Federale del Delaware e presso l’Alta Corte di Giustizia di Londra, dalla società Getty Images secondo cui Stability AI avrebbe copiato – senza apposita licenza – numerose immagini, testi e metadati recuperati per addestrare la propria Stable Diffusion.

Getty Images, una delle più importanti agenzie fotografiche al mondo, ha annunciato il lancio di una piattaforma di AI generativa capace di generare contenuti con remunerazione delle opere originarie utilizzate per addestrare gli algoritmi.

Sembrerebbe trattarsi, nell’attesa di conoscere dettagli, di un sistema virtuoso di intelligenza artificiale che non punta meramente a recuperare dati presenti su Internet con modalità di web-scrabing.

Non è un caso che la maggior parte delle azioni contro le presunte violazioni di copyright delle I.A. siano state instaurate in USA dove le Corti applicano la dottrina del “fair use” che consente ai giudici di seguire in modo flessibile le regole sul copyright e di contemperare le esigenze in gioco a seconda delle specificità del caso.

In UK, l’eccezione di “fair dealing” ha limiti più stretti rispetto al “fair use” americano, consentendo l’utilizzo dell’opera altrui solamente per finalità non commerciali, ad esempio per scopi di ricerca, di critica, di cronaca e per uso personale.

In Unione Europea opera la c.d. Direttiva Copyright (n. 790/2019) che ha introdotto un’espressa disciplina delle eccezioni al diritto d’autore per le operazioni di text e data mining recepite in Italia con il D. Lgs. n. 177/2021 (art. 3 Direttiva e art. 70-ter LDA e artt. 4 Direttiva e 70-quater LDA).

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I parametri da seguire possono essere molteplici, e quello che va ricercato è un approccio utile e globale che ponga al centro considerazioni generali, tutt’altro che meramente teoriche.

Innanzitutto in un mondo globalizzato, in cui la sfida non è più solo tecnica ma soprattutto tecnologica, le tempistiche di questo sviluppo (e trasformazione) sono esasperatamente accelerate rispetto a quelle della storia recente, il che pone non poche difficoltà a sistemi normativi rigidi di regolamentazione ex ante a stare concretamente al passo coi tempi e con i fenomeni.

La globalizzazione stessa pone problemi seri alla gestione territoriale in materia di tutela dei diritti d’autore, in un contesto fortemente orientato in tutti i settori al “forum shopping”, ovvero a radicarsi da parte delle aziende di volta in volta in quel territorio normativamente favorevole, non solo a fini fiscali.

In questo senso la relativa flessibilità dei sistemi di common-law può supplice e integrare efficacemente il tradizionale approccio positivista europeo.

Non è secondario considerare che la normativa “applicata in concreto” è nel settore delle IA un attrattore ben più potente di elementi come “la normativa in astratto” o la fiscalità di vantaggio: in questa direzione vanno lette gli interventi di maggior tutela societarie, e minor tutela autoriale, da parte della Cina, per esempio.

In un quadro così articolato alcuni principi possono essere pilastri dirimenti oltre altre implicazioni.

Il primo può essere incentrato sull’individuazione precisa e puntuale – anche questa una scelta politica a monte – di chi sia in definitiva il soggetto ultimo degno di tutela.

Il diritto d’autore nasce dall’esigenza di tutelare – e quindi stimolare – la creatività umana, l’ingegno, e la sua capacità di generare progresso diffuso, in ogni ambito, dalla ricerca scientifica alle arti espressive.

In questo quadro di riferimento soggetto di tutela resta l’uomo, e così dirimendo la questione della titolarità, appare chiaro che solo qualora una IA si consideri essa stessa creativa, e contestualmente in sé consapevole del proprio atto creativo, e nel momento in cui ritenga la IA di aver “creato qualcosa in autonomia degno di tutela per originalità”, allora dovrà anche la stesa IA – da sola – essere “capace” con la propria “personalità giuridica” di agire in giudizio per far valere i propri diritti.

Sino a quando ciò non avverrà – e non parzialmente, ma concretizzando in toto gli elementi richiamati – la IA non potrà essere “titolare di un diritto d’autore”.

Infatti, in concreto, sono i Ceo delle società informatiche agiscono, e il diritto d’autore eventualmente riconosciuto va alla azienda – intesa come soggetto e come organizzazione di uomini – e non al presuntamente “dichiarato e asserito autore” ovvero la IA.

Già questo elemento, di chi decide, di chi è consapevole, di chi agisce in giudizio, è dirimente per affermare che la IA non ha una personalità giuridica autonomamente capace di azione creativa, e non è capace di farne valere il diritto conseguente.

Certamente è tutelabile – e infatti come tale è tutelato – il diritto d’autore a monte di chi ha programmato e realizzato le funzioni e gli algoritmi “con cui” lavora la macchina della IA.

Conseguentemente i “frutti” di tale algoritmo e della funzionalità integralmente intesa, sono prodotti derivati e conseguenti dello stesso processo già – e giustamente – tutelato. Ma non sono “cosa nuova”, né cosa diversa, né cosa originale.

In definitiva ad oggi siamo alla stessa manipolazione delle cifre compiuta da una calcolatrice, che restituisce un risultato data un’immissione di input, a seguito di una programmazione a monte.

Sino a quando occorrerà una mediazione umana e sino a quando non ci sarà una vera provata e indipendente auto-coscienza e auto-consapevolezza della creazione in sé (per la quale basta chiedere a un artista o a un inventore umano in cosa consista in concreto) non si potrà riconoscere un pari diritto ad una IA.

In questo senso alla “threshold of originality” data dai tre presupposti della skill (competenza creativa), labour (impegno, lavoro) e judgement (capacità di discernere, distinguere e scegliere gli elementi distintivi dell’opera), ne va aggiunta un’altra – che consideriamo pleonastico chiedere all’essere umano, ma che dobbiamo includere nel caso della IA, ovvero la auto-coscienza e auto-consapevolezza (non assistita o integrata dall’uomo) dell’atto creativo, e della creazione finale, come atto indipendente rispetto al programma di elaborazione ricevuto dal programmatore e dall’algoritmo.


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