Diritto alla maternità mediante il ricorso a tecniche di PMA e detenute

Diritto alla maternità mediante il ricorso a tecniche di PMA e detenute

Il presente contributo ha ad oggetto l’analisi del bilanciamento tra il diritto di una detenuta alla procreazione e alla maternità mediante il ricorso a tecniche di PMA e la tutela della collettività, tematica su cui recentemente si è pronunciata la Cassazione con sentenza nr. 5182/2023.

Prima di analizzare la questione sottoposta all’attenzione dei giudici supremi, appare opportuno capire quali sono le tecniche di PMA ammesse nel nostro ordinamento e quali sono i limiti relativi alla loro ammissibilità.

In generale, le tecniche di PMA sono tutte quelle tecniche cui può decidere di sottoporsi un individuo quando è stata accertata medicalmente l’impossibilità di poter procreare in modo naturale. Secondo le linee guida dell’ American Society for Reproductive Medicine, gli accertamenti per determinare la presenza di un ostacolo al concepimento in modo naturale dovrebbero essere eseguiti decorsi dodici mesi a seguito dei quali i partner hanno avuto rapporti sessuali non protetti e purtroppo non si è instaurata una gravidanza.

Questo limite relativo agli accertamenti può essere derogato e infatti si prevede che quando vi sono donne di età superiore ai trentacinque anni, o donne affette da malattie dell’apparato riproduttivo tra le quali rientra anche l’endometriosi, i controlli relativi all’accertamento di ostacoli alla procreazione in modo naturale possano essere compiuti entro sei mesi da quando i partner hanno iniziato ad avere rapporti sessuali non protetti e non si è instaurata una gravidanza.

Il motivo per il quale è ammesso il ricorso a queste tecniche di procreazione si rinviene nel fatto che è diritto di ogni donna decidere se essere madre, e infatti il legislatore tenendo conto del fatto che il diritto alla maternità e alla procreazione sono diritti che rientrano nel novero dei diritti costituzionalmente garantiti non ha potuto evitare di intervenire nel dettare un’apposita Legge che disciplini i casi in cui può farsi ricorso alle tecniche di PMA.

La legge nr. 40/2004 avente ad oggetto “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” ha infatti stabilito quali sono le finalità per le quali è possibile far ricorso a queste tecniche di procreazione, e in particolare si è previsto che il ricorso a queste modalità di procreazione può essere esperito per risolvere problemi di sterilità o infertilità solo quando non ci sono altri modi per rimuovere le predette cause accertate e certificate da un medico.

La legge inoltre ha provveduto a stabilire quali sono i requisiti soggettivi che debbono sussistere affinché possa richiedersi l’accesso a queste tecniche di procreazione; tali requisiti sono i seguenti: vi deve essere la presenza di una coppia di individui di sesso diverso coniugata o convivente in età fertile di cui sia stata accertata l’impossibilità di poter procreare in modo naturale.

I soggetti che intendono sottoporsi a queste tecniche di procreazione debbono prestare il loro consenso informato, devono essere portati a conoscenza dei costi della procedura; dei possibili effetti collaterali conseguenti all’applicazione della procedura; della possibilità di poter ricorrere a un’adozione; del fatto che ciascun membro della coppia può revocare il proprio consenso fino quando l’ovulo non venga fecondato.  Dopo aver informato la coppia, entro sette giorni dalla manifestazione di volontà deve essere attivata la procedura da apposite strutture autorizzate.

Dal 2014, grazie all’intervento della Corte Costituzionale, le procedura di PMA cui può farsi ricorso sono due: pma omologa (che si realizza quando si utilizzano per l’istaurarsi di una gravidanza i gameti della coppia); e pma eterologa (che si realizza quando si ricorre a oviciti o a semi di donatori esterni alla coppia in quanto uno dei due partner è affetto da sterilità).

Alle tecniche di procreazione eterologa, siccome il diritto alla maternità è proprio di ogni donna, possono far ricorso anche le donne che non siano sposate o conviventi, sempre a condizione che però siano state accertate le loro cause di sterilità o infertilità, ed è proprio su questo diritto alla maternità che è stata chiamata a pronunciarsi la Cassazione per capire se tale diritto possa essere esercitato anche dalle donne che sono detenute.

La fattispecie su cui i giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a decidere ha avuto ad oggetto il ricorso proposto dal legale di una detenuta con cui si chiedeva la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere- applicata alla detenuta perché accusata di aver partecipato a un clan camorristico- con gli arresti domiciliari al fine di consentire a quest’ultima la possibilità di poter ricorrere alle tecniche di PMA, essendo stato accertato medicalmente che la stessa non poteva procreare naturalmente.

E’ risaputo che il ricorso alle tecniche di PMA è ammissibile solo per i detenuti che si trovano agli arresti domiciliari, i quali dovranno essere autorizzati dall’Amministrazione Penitenziaria a recarsi nel centro di fertilità; tuttavia nonostante la richiesta avallata dal legale della detenuta la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, in quanto ha precisato che in un’ottica di bilanciamento il diritto alla procreazione e alla maternità si arresta dinnanzi a un soggetto che è detenuto, in quanto le norme che regolano la misura della custodia cautelare in carcere non consentono ai detenuti di poter ricorrere alle tecniche di procreazione; infatti la misura può cessare solo se sussistono gravi malattie, tra le quali non rientrerebbe l’infertilità.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Avvocato Antonella Fiorillo

Laureata in giurisprudenza. Avvocato.

Articoli inerenti