Diritto alla salute dei detenuti: dal decreto “Cura Italia” alla legge di conversione n. 27 del 24 aprile 2020
Lo scarso (e a tratti inesistente) interesse per le persone detenute, ha profonde origini nel nostro bel paese, dove la frase “diritti dei detenuti” è di fatto disturbante. La drammatica emergenza sanitaria tuttavia, ha imposto una profonda riflessione sul mondo penitenziario, in una prospettiva di più efficace tutela della salute della popolazione carceraria (detenuti, operatori penitenziari, familiari dei detenuti, avvocati penalisti).
In particolare, il sovraffollamento e la ristrettezza degli spazi, hanno reso necessari degli interventi urgenti in materia di ordinamento penitenziario, al fine di evitare il propagarsi del contagio con gravissime conseguenze anche sul mondo esterno.
Ed infatti, il 15 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha redatto delle linee guida applicabili in ambiente detentivo allo scopo di prevenire la diffusione del Sars-Cov 19; tra queste, quella di osservare la distanza fisica di un metro.
Una raccomandazione impossibile da rispetta nelle carceri italiane, dove il sovraffollamento è ormai una costante. L’Italia infatti, è stata condannata più volte, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Corte di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante dei detenuti, costretti a vivere in spazi angusti e in pessime condizioni igienico sanitarie.
In questo contesto, il nostro Governo si è visto costretto ad intervenire repentinamente, al fine di tutelare la salute dei detenuti; un diritto che non può trovare alcuna eccezione e che deve essere riconosciuto a tutti: uomini liberi e non.
Di seguito verranno analizzate le principali misure adottate dal nostro Governo ed introdotte con il decreto n. 18/2020 c.d. “Cura Italia”, successivamente modificato e convertito con la legge n.27 del 24 aprile 2020.
Il c.d. decreto “Cura Italia” contiene solo due articoli dedicati alla popolazione carceraria.
L’art. 124 prevede, in deroga all’art. 52 dell’ordinamento penitenziario, licenze straordinarie per i detenuti che già usufruivano del regime di semilibertà, oltre il limite dei 45 giorni. Omettendo misure straordinarie, anche per i detenuti che erano già stati ritenuti meritevoli del regime di lavoro esterno.
L’art. 123 prevede, ai sensi della L. n. 199/2010 e fino al 30 giugno 2020, che la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, sia eseguita su istanza presso il domicilio, salve eccezioni per alcune categorie di reati o di condannati.
Si tratta di una detenzione domiciliare “speciale”, ricca di preclusioni soggettive ed oggettive, che ne hanno reso l’applicazione drammaticamente macchinosa.
Dal punto di vista delle preclusioni soggettive, la misura si rivolge ad un elenco limitato di detenuti, ossia a quanti devono scontare un residuo pena tra i 6 e i 18 mesi. A ciò si aggiunga che la disposizione esclude anche i condannati di cui agli artt. 572 e 612 bis c.p. e di fatto, anche tutti i soggetti privi di domicilio “idoneo” (si pensi a tutti gli stranieri).
Dal punto di vista delle preclusioni oggettive, punto dolente di tale disposizione, è la previsione obbligatoria del dispositivo di sicurezza (c.d. braccialetto elettronico), la cui mancanza costituisce da sempre, una delle maggiori criticità del nostro sistema penitenziario.
È opportuno ricordare infatti, che nel nostro sistema penale la pena detentiva rappresenta l’extrema ratio.
A seguito del suddetto intervento normativo, la Magistratura di Sorveglianza, si è ritrovata “travolta” da istanze di persone detenute che richiedevano di accedere a misure alternative alla detenzione, spesso con esiti negativi proprio alla luce delle enormi difficoltà di applicazione delle misure in commento.
Dalla giurisprudenza della Magistratura di Sorveglianza infatti, è emerso che la disciplina dell’esecuzione presso il domicilio della pena detentiva non superiore ai 18 mesi ex L. 199/2010, è apparsa preferibile alla misura di cui all’art. 123, in quanto non condizionata alla disponibilità del cd. braccialetto elettronico, praticamente introvabile per tutti i soggetti interessati.
In merito, l’Uff. Sorv. Spoleto, il 27 marzo 2020 ha concesso l’esecuzione domiciliare di cui all’art. 1 della legge 199 del 2010, in quanto non “si reputa misura favorevole quella della detenzione domiciliare introdotta con d.l 17 marzo 2020 n. 18, misura all’apparenza più favorevole ma di fatto di difficile immediata applicazione. Infatti, l’entità della pena residua è superiore a sei mesi di reclusione e la misura emergenziale introdotta con il decreto di urgenza prevede il controllo del detenuto domiciliare mediante l’utilizzo di sistemi elettronici. A causa della difficoltà nel reperire i mezzi elettronici di controlli o altri strumenti tecnici che dovrebbero essere resi disponibili per i singoli istituto penitenziari, di fatto tale misura non potrebbe trovare una sua immediata esecuzione, con il rischio di vanificarne la finalità.
Tenuto conto della finalità che hanno ispirato la recente normativa d’urgenza ovvero quella di ridurre l’affollamento carcerario, ricorrendone i presupposti di legge è possibile in questa sede concedere la misura dell’esecuzione presso il domicilio ex l. 199 del 2010”.
In altri casi, la Magistratura di Sorveglianza ha disposto per una detenuta che “la pena sia eseguita in esecuzione domiciliare ex art. 123 d.l. 18/2020, non appena sarà messo a disposizione il dispositivo di controllo elettronico, momento cui farà seguito l’ordine di esecuzione da parte della competente procura” (Cfr. Uff. Sorv. Venezia, 4 aprile 2020).
Questo contributo, non vuole costituire una sterile critica alle disposizioni emergenziali introdotte dal nostro Governo. Ed infatti, è opportuno rilevare che a seguito dell’intervento in commento, il numero dei detenuti presenti nelle carceri è diminuito e la discussione pubblica si è finalmente focalizzata sulle criticità del mondo penitenziario.
Nonostante questa lieve nota positiva, le misure adottate non si sono mostrate sufficienti a determinare una riduzione della popolazione carceraria, né tantomeno a garantire il diritto alla salute dei detenuti in carcere.
Successivamente, ulteriori modifiche sono state introdotte con la legge n.27 del 24 aprile 2020, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante «misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19. Proroga dei termini per l’adozione di decreti legislativi».
Di seguito, le modifiche inerenti ai due istituti in esame.
Il secondo periodo del comma 5, dell’art. 123 è stato così sostituito: «L’esecuzione dei provvedimenti nei confronti dei condannati per i quali è necessario attivare gli strumenti di controllo indicati avviene progressivamente a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore. Nel caso in cui la pena residua non superi di trenta giorni la pena per la quale è imposta l’applicazione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono attivati».
È stato altresì inserito, dopo il comma 8, il seguente: «8 -bis. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 si applicano ai detenuti che maturano i presupposti per l’applicazione della misura entro il 30 giugno 2020».
L’art. 124 è stato sostituito con il seguente: «In considerazione della situazione straordinaria di emergenza sanitaria derivante dalla diffusione dell’epidemia da COVID-19 e ferme le ulteriori disposizioni di cui all’articolo 52 della legge 26 luglio 1975, n. 354, al condannato ammesso al regime di semilibertà sono concesse licenze con durata fino al 30 giugno 2020, salvo che il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura».
È chiaro che le modifiche introdotte, non hanno fornito una pronta risoluzione ai problemi sorti fin dalla pubblicazione del c.d. decreto “Cura Italia”.
Si pensi a tutti quei detenuti svantaggiati, in quanto privi di un domicilio o stranieri, i quali di fatto rimangono abbandonati al loro destino e alle criticità connesse all’ampio potere discrezionale della Magistratura di Sorveglianza.
Si tratta di profili che non possono essere sottovalutati e che impongono una riforma del sistema penitenziario costituzionalmente orientata, nel pieno rispetto degli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione.
Sono necessari interventi da un lato volti a rispondere all’eccezionalità del momento e dall’altro capaci di “edificare” una normativa penitenziaria che ponga al centro il detenuto in quanto persona da rieducare e da tutelare, in ossequio ai principi fondamentali della Costituzione.
In conclusione, si auspica che l’interesse mostrato al mondo penitenziario durante l’emergenza sanitaria, prosegua nel tempo, garantendo ai detenuti un trattamento penitenziario ispirato al senso di umanità che in nessun caso, dovrebbe venire meno.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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