Diritto all’oblio

Diritto all’oblio

Viviamo in un periodo storico in cui occorre tutelarsi anche digitalmente ed esiste una reputazione online che, in alcuni casi, non dipende dalla volontà dei diretti interessati. Sui social network si può decidere quali foto pubblicare e se accettare o meno i tag degli altri alle proprie foto, ma altre diffusioni di notizie come, ad esempio, recensioni, articoli sui giornali online, profili fake e molto altro, non dipendono dalla propria volontà. La velocità di diffusione di queste informazioni è elevata e può creare disagi non indifferenti, di tipo psicologico e sociale.

Veniamo ora ad una sfilza di normative e rimedi giuridici di cui l’avvocato potrebbe servirsi nel risolvere la situazione: – art. 656 c.p. – Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico; – art. 595 c.p. Diffamazione; – richiesta di risarcimento dei danni da diffamazione in sede civile; – “Modulo di richiesta per la rimozione delle informazioni personali ai sensi delle leggi sulla privacy europee”; – art. 17 GDPR – Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (UE/2016/679) “diritto all’oblio” ; – azione di fronte al Garante privacy che può sanzionare pecuniariamente la persona che ha diffuso l’informazione se non ha provveduto a rimuoverla o correggerla entro quindici giorni dalla segnalazione da parte dell’interessato; – direttiva europea 95/46/CE; – sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2014.

La domanda che ci si pone è la seguente: “Come è possibile far rimuovere contenuti online che diffamano la reputazione?”

Si parte da un diritto appropriato in casi simili ed è previsto dall’articolo 17 GDPR. Si tratta, in particolare, del diritto all’oblio che è il diritto alla non diffusione di informazioni che possono ledere il diritto alla riservatezza e pregiudicare l’onore di una persona. In concreto? Si può chiedere che vengano cancellate da internet le notizie che non sono ricollegabili a eventi di cronaca attuali o di interesse pubblico.

In primis, al fine di far rimuovere dei contenuti, è possibile rivolgersi direttamente alla fonte, ossia al sito o alla piattaforma online che lo hanno pubblicato. Si procede, quindi, ad inoltrare a tali soggetti una formale richiesta di rimozione e/o deindicizzazione.

A tal proposito una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (n. 6806/2023) ha espresso il principio secondo cui solo a richiesta dell’interessato le testate giornalistiche hanno l’obbligo di aggiornare gli articoli riguardanti vicende giudiziarie e non può gravare sulle testate un obbligo di aggiornamento rispetto a vicende di cui si è scritto in passato e di cui il trascorrere del tempo ne ha fatto venire meno i caratteri di attualità e interesse.

I più popolari siti e piattaforme online (ad esempio Google) prevedono questa possibilità ed è stato predisposto un modulo per inoltrare le richieste a tale scopo.

La segnalazione deve essere valutata prima di un eventuale accoglimento della richiesta di rimozione e nella valutazione si tiene conto di altri diritti e interessi in gioco, quali ad esempio il diritto di cronaca. Solo dopo tale vaglio potrà giungersi alla rimozione e/o deindicizzazione del contenuto.

Se il sito non prevede procedure di segnalazione occorre contattare direttamente il responsabile dei contenuti del sito e per individuarlo si può ricercare tale informazione sulla pagina, in particolare nella sezione “contatti”.

In via alternativa si può contattare l’hosting che offre lo spazio su cui è installato il sito, anche se si deve tener presente che spesso gli hosting non sono responsabili dei contenuti pubblicati, salvo, ad esempio, quando promuovono la diffusione dei contenuti.

Inoltre, quando il contenuto è costituito da dati personali, è sempre possibile rivolgersi anche al Garante della Privacy, il quale può imporre, a seguito di una procedura, la rimozione e/o deindicizzazione dei contenuti. Si può quindi procedere con reclamo al Garante per la protezione dei dati personali per richiedere una verifica e cancellazione.

Come ultima spiaggia vi è il ricorso alla giustizia, cioè si può presentare una denuncia alle forza dell’ordine (in casi più gravi) oppure ci si può rivolgere ad un avvocato. Le vie legali che si possono intraprendere in caso di diffamazione via mass media sono: penale, civile, entrambe.

In sede penale è possibile sporgere formale querela negli uffici delle forze dell’ordine entro il termine di tre mesi dai fatti di reato. In sede civile, invece, è preferibile rivolgersi ad un avvocato specializzato in materia che potrà inviare una diffida al titolare dei contenuti ed eventualmente avviare una causa civile al fine di ottenere un risarcimento dei danni subiti oppure in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. (senza richiesta di risarcimento).

Si può, tuttavia, anche sporgere querela scegliendo poi di costituirsi parte civile nel processo penale al fine di ottenere in quella sede anche il risarcimento dei danni subiti. Si possono anche percorrere le due vie separatamente.


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