Diritto amministrativo e immigrazione: questioni processuali

Diritto amministrativo e immigrazione: questioni processuali

Il fenomeno migratorio pone importanti sfide all’ordinamento giuridico italiano, impegnato in una ricerca di bilanciamento tra le esigenze di limitazione e controllo dei flussi e la necessità di garantire i diritti fondamentali ed involabili della persona umana alla stregua dei diritti costituzionalmente tutelati e delle fonti sovranazionali ed internazionali.

In Italia, in un primo momento, il fenomeno è stato affrontato con atti dell’esecutivo, decreti legge e circolari ministeriali, volti a disciplinare di volta in volta le singole emergenze.

La nascita del diritto dell’immigrazione come disciplina a sé stante avviene soltanto nel 1986, con l’approvazione della prima disciplina organica della materia, la l. n. 943/1986, sostituita dalla l. n. 39/1990, nota come “legge Martelli”, che ha affrontato in modo più organico la disciplina dei provvedimenti amministrativi sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio.

Ad oggi, a livello primario, il diritto dell’immigrazione trova la propria fonte normativa principale nel d.lgs. n. 286/1998, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (“T.U.I.”).

Lo stesso si autoqualifica quale normativa adottata in attuazione dell’art. 10, comma 2, della Costituzione secondo cui “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”, ponendo dunque una riserva di legge rinforzata in materia. La fonte primaria, dunque, rispettosa della normativa internazionale, consuetudinaria e pattizia, costituisce il parametro di legittimità dell’azione amministrativa in tale ambito.

Per quanto concerne l’ambito soggettivo, esso si applica, salva diversa disposizione, ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi.

La produzione normativa non si esaurisce, tuttavia, con il Testo unico.

Si pensi, ad esempio, al d.l. n. 113/2018 convertito in l. 132/2018, c.d. Decreto Sicurezza, che ha abolito la protezione umanitaria, ed il d.l. n. 53/2019, convertito con l. n. 77/2019 c.d. Decreto Sicurezza-bis.

Tra gli studiosi che si sono occupati del tema è opinione condivisa che il diritto dell’immigrazione, spesso inciso da una legislazione di carattere emergenziale, presenti un connotato peculiare rispetto ai principi generali di diritto amministrativo e che lo statuto dello straniero appaia derogatorio rispetto all’ordinario quadro di regole e valori che disciplinano il rapporto tra il pubblico potere e i cittadini.

In particolare, nell’ambito del diritto amministrativo, ai procedimenti in materia di immigrazione fa espresso riferimento la l. n. 241/1990, per escludere l’applicabilità delle disposizioni in tema di SCIA e silenzio assenso, o del termine massimo di centottanta giorni per la conclusione del procedimento.

Inoltre, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di espulsione adottati dal Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 13, comma 1, T.U.I. e quelli adottati ai sensi dell’art. 3, d.l. n. 144/2005 sono assoggettate allo speciale rito abbreviato ai sensi dell’art. 119, comma 1, lett. m-sexies), c.p.a.

Quanto al riparto di giurisdizione per le controversie relative ai provvedimenti in materia di immigrazione, il criterio è quello in forza del quale sono devolute al giudice ordinario le controversie concernenti diritti soggettivi, al giudice amministrativo, invece, quelle nelle quali è contestata la lesione di interessi legittimi.

Così è assegnata al giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti ai respingimenti e alle espulsioni, venendo in considerazione provvedimenti ablatori personali incidenti sulla libertà del soggetto e, quindi, su un diritto soggettivo primario e incomprimibile.

Sono, invece, devolute tendenzialmente al giudice amministrativo le controversie inerenti al rilascio dei visti e dei permessi di soggiorno sul territorio nazionale, ad eccezione di quelle relative al diniego di nulla osta al ricongiungimento familiare, del permesso di soggiorno per motivi familiari nonché di ogni altro provvedimento dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare ex art. 30, comma 6, del T.U.I. e per l’impugnazione dell’espulsione ministeriale ex art. 13 T.U.I. ed ex art. 3, d.l. n. 144/2005.

Per quanto concerne il sindacato riconosciuto al giudice amministrativo con riguardo ai provvedimenti di espulsione ministeriale, caratterizzati da un elevato tasso di discrezionalità correlato al carattere generico dei requisiti prescritti dall’art. 13 del d.lgs. n. 286/1998, quali esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale, si è affermato che il giudice non può sovrapporre una propria valutazione di merito a quella espressa dall’Autorità amministrativa competente, ma ha il potere di sottoporre al sindacato di legittimità detta valutazione per annullarla qualora sia inficiata da eccesso di potere.

In giurisprudenza sono emerse questioni problematiche connesse all’esistenza o meno di un rapporto di pregiudizialità tra il rifiuto, la revoca o l’annullamento del permesso di soggiorno, su cui vi è giurisdizione amministrativa, e la conseguente espulsione prefettizia sulla quale vi è giurisdizione ordinaria.

Una prima questione attiene alla necessità o meno di procedere alla sospensione del procedimento dinanzi al giudice ordinario di impugnazione dell’espulsione prefettizia in pendenza del giudizio amministrativo riguardante i provvedimenti del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo.

Nello specifico, il provvedimento di espulsione è obbligatorio a carattere vincolato sicché il giudice ordinario dinanzi al quale è impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione.

Non è, invece, consentita al giudice investito dell’impugnazione alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore poiché tale sindacato spetta al giudice amministrativo.

Di conseguenza, la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario attesa la carenza di pregiudizialità giuridica tra il processo amministrativo e quello civile.

Sulla base di argomentazioni analoghe, è stato escluso che, in sede di impugnazione di un’espulsione prefettizia adottata per mancanza o invalidità del provvedimento relativo al titolo di soggiorno, il giudice ordinario possa sindacare incidentalmente la legittimità dell’atto presupposto ed eventualmente disapplicarlo.

Ed infatti, il provvedimento di diniego, revoca o annullamento del permesso di soggiorno non costituisce antecedente logico del provvedimento di espulsione, ma solo un antecedente di fatto in quanto, per il principio di esecutorietà degli atti amministrativi, il decreto di espulsione non è condizionato al previo accertamento della legittimità del provvedimento di revoca o annullamento.

Di conseguenza, il venir meno del titolo che giustifica la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ne comporta automaticamente l’espulsione.


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