Diritto di recesso: quando si può esercitare nei locali commerciali
Un argomento sempreverde soprattutto in vista dei “Saldi”, ma spesse volte si incorre in errate informazioni.
È bene precisare che l’acquisto di un bene o di un servizio comporta, secondo la legge, la stipulazione di un vero e proprio contratto.
Secondo il Codice Civile, infatti, ai sensi dell’art. 1490 “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa.” Ne consegue quindi, che una delle parti contraenti può ritirarsi dall’accordo.
Al succitato Codice si aggiungono le norme del Codice del Consumo, il quale, in diversi articoli garantisce al consumatore finale il diritto di recedere senza alcuna penalità e senza specificarne il motivo, entro il termine di quattordici giorni lavorativi decorrenti, genericamente, dal giorno del loro ricevimento. La ratio è quella di tutelare coloro che stipulano un contratto via internet, acquistando tramite e-commerce, piattaforme web o tramite contatto telefonico.
In particolare – il consumatore – per avvalersi del diritto in esame, deve provvedere ad inviare una raccomandata con ricevuta di ritorno entro un limite di tempo prestabilito ovvero alla compilazione di un modulo online, nel caso di acquisti tramite e-commerce. Ad ogni modo, termini e condizioni possono variare secondo la tipologia di contratto, per tali ragioni sarebbe buona norma apprestare molta attenzione prima di procedere all’acquisto di un qualunque bene, specie se lo scambio avviene online. Ciò è previsto per garantire maggiore tutela al consumatore che si trova in condizioni di non vedere fisicamente il prodotto in vendita.
Ai sensi del d.lgs. 2 febbraio 2002 n.24, che dà attuazione alla direttiva 44/1999, il consumatore – colui che acquista per scopi non professionali – ha diritto alla sostituzione del bene viziato ove lo stesso non possa ricevere riparazione. Soltanto in via subordinata ossia nei casi in cui non possa ricevere riparazione e sostituzione perché si rivelino eccessivamente onerose per il venditore o non convengano all’acquirente, è invece possibile chiedere la riduzione del prezzo che deve risultare proporzionata all’entità del vizio od ancora, la risoluzione del contratto con conseguente restituzione del prezzo ed eventuale risarcimento danni.
È importante evidenziare che, l’ordinamento – pur considerando il consumatore contraente debole – vuole evitare che venga cagionato danno ingiusto al professionista a seguito dell’avventatezza da parte del cliente estendendo maggiori garanzie agli acquisti effettuati via internet rispetto a quelli effettuati nei negozi fisici, abbracciando inoltre la disciplina degli acquisti effettuati al di fuori dei locali commerciali (si pensi agli stand adibiti all’interno di un centro commerciale o alle bancarelle). Contrariamente, al cliente – che acquista in negozi fisici – si consente di esercitare il diritto soltanto nei casi di difetti del prodotto non visibili al momento dell’acquisto. La ratio è chiara, quando ci rechiamo in un locale per comprare qualcosa abbiamo modo di osservarla e provarla prima dell’acquisto e non si può tornare indietro avendo la possibilità di verificarne con mano la qualità. Si consente quindi al cliente che non acquista mediante “contratti a distanza” di effettuare cambi o sostituzioni solo in specifiche circostanze (vizi gravi del bene) ed a seguito della presentazione dello scontrino fiscale. Il venditore, a tal punto, sarà tenuto a provvedere alla sostituzione o riparazione della merce esclusivamente in questi casi. Affermare che il consumatore gode sempre del diritto di recesso equivale ad affermare inesattezze “contra legem”, permanendo, in capo al negoziante una mera discrezionalità nell’effettuare o meno il cambio secondo quanto stabilito dal singolo regolamento.
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Anna Guarnaccia
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