Diritto intertemporale processuale e misure cautelari
Il diritto intertemporale è costituito dall’insieme di norme e principi che dettano criteri generali per tutto l’ordinamento o per un settore specifico allo scopo di individuare la norma applicabile tra le diverse norme che si susseguono.
È possibile definire queste norme come meta-norme, ossia strumentali e senza contenuto precettivo. Le norme di diritto intertemporale individuano la fattispecie applicabile ma non possono essere applicate esse stesse.
Tali norme si differenziano dalle norme transitorie che, invece, svolgono la funzione di risoluzione delle antinomie che si verificano nel passaggio da una legge precedente ed una successiva, attraverso una loro immediata applicazione.
Il principio del “tempus regit actum” è un principio di diritto intertemporale secondo il quale l’atto processuale è sottoposto alla disciplina vigente al momento in cui viene compiuto, seppur successiva all’introduzione del giudizio o al sorgere del rapporto sostanziale, non rilevando nemmeno la disciplina sopravvenuta al compimento dell’atto.
Il principio in questione non è un principio di rango costituzionale, contrariamente ai principi di diritto intertemporale penale di irretroattività della legge penale sfavorevole e di retroattività della legge penale favorevole, che sono a fondamento del diritto penale sostanziale e che sono sanciti a livello costituzionale oltre che convenzionale (art.25 Cost. e art.7 Cedu).
Dunque, premesso che le norme processuali penali vengono regolate dal principio di diritto intertemporale del “tempus regit actum”, bisogna tenere conto delle varie situazioni di incertezza che si creano rispetto ad alcune materie come quella relativa alle misure cautelari, le cui sorti non sono chiare dopo le modifiche apportate agli articoli 274, 275, 280 c.p.p., soprattutto per quanto riguarda i provvedimenti cautelari in corso di esecuzione.
Laddove ci sia un mutamento legislativo e l’atto che ha disposto la misura cautelare stia producendo ancora i suoi effetti attraverso l’esecuzione della misura stessa, bisogna individuare il tempo dell’atto da prendere in considerazione.
Nel caso in cui prevalesse il momento di applicazione del provvedimento, le leggi sopravvenute, a prescindere dal fatto che siano favorevoli o sfavorevoli, non si applicherebbero mai. Al contrario se rilevasse altresì il momento dell’esecuzione della misura cautelare si applicherebbero tutte disposizioni legislative successive, favorevoli e non.
Significativi orientamenti giurisprudenziali a tal proposito hanno accolto la prima interpretazione, più garantista, onde evitare l’applicazione delle norme processuali sfavorevoli, sebbene comporti la rinuncia all’applicazione delle sopravvenienze favorevoli.
In realtà appare evidente come qualsiasi soluzione non consenta di raggiungere un risultato soddisfacente, poiché ad ogni modo o non trova applicazione la norma processuale sopravvenuta più favorevole oppure bisogna applicare la norma processuale sfavorevole sopravvenuta.
Nel tentare di sciogliere i dubbi è stata prospettata una prima soluzione che prevede l’attribuzione delle norme regolanti le misure cautelari al piano del diritto penale sostanziale, al fine di far fronte all’iniquità del criterio processuale che obbliga all’applicazione di un norma successiva sfavorevole.
Si prevede così l’attuazione dei principi regolatori della successione delle leggi penali e in particolare quello dell’ultrattività della norma più favorevole.
Tuttavia, in base alla giurisprudenza convenzionale e costituzionale non risulta possibile assoggettare il sistema cautelare processuale alla materia penale nel momento in cui si deve escludere che il provvedimento cautelare possa avere finalità afflittiva o punitiva, data la diversità che intercorre tra lo scopo cautelare e quello punitivo, appunto.
Soltanto qualora le garanzie previste dall’art.7 Cedu ricadranno anche sulla natura afflittiva si potrà pensare di estendere il diritto intertemporale penale ai provvedimenti custodiali.
In seguito alla condanna che l’Italia ha subito da parte della Corte Edu per la problematica del sovraffollamento carcerario, si è prospettata l’eventuale applicazione della nuova disciplina giuridica interna anche alle misure cautelari già in atto, in deroga al principio del tempus regit actum che regola la materia processuale.
Tale interpretazione rappresenta “la volontà del legislatore” ma implica che si consideri anche il tempo dell’esecuzione del provvedimento cautelare, oltre a quello della genesi dello stesso.
D’altra parte, non applicare la nuova disciplina “svuotacarceri” alle misure in corso di esecuzione non permette di raggiungere il risultato sperato dall’intervento legislativo.
Appare opportuno menzionare un’ulteriore alternativa volta alla risoluzione del problema delle sorti dei provvedimenti cautelari in corso di esecuzione, qualora entrino in vigore nuove disposizioni.
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha individuato nel principio di tassatività delle misure restrittive della libertà personale un principio intertemporale processuale.
In virtù di tale principio le norme favorevoli sopravvenute devono essere applicate anche ai provvedimenti in corso di esecuzione onde evitare la violazione delle condizioni di legalità tassative e imposte a livello costituzionale per la limitazione della libertà personale.
Dunque, se in base al principio di tassatività l’indagato può essere privato della libertà solo nei casi previsti dalla legge, di conseguenza nell’ipotesi di una novella favorevole, la misura cautelare in esecuzione non sarebbe più autorizzata normativamente.
Tuttavia, la corrispondenza fra la normativa vigente e la misura in corso di esecuzione comporterebbe allo stesso modo anche l’applicazione della disciplina sopravvenuta sfavorevole.
Infine, è possibile affermare che l’inevitabile circolo vizioso, quale traspare nelle precedenti argomentazioni, potrebbe essere interrotto attraverso l’introduzione di norme transitorie in situazioni di incertezza che si creano rispetto ad alcune materie come quella cautelare, nella quale occorrerebbe avere la possibilità di giustificare l’attuazione di una legge processuale favorevole anche ai provvedimenti in corso di esecuzione.
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Milena Adani
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