Disciplina del raddoppio dei termini dell’accertamento tributario e le norme transitorie
Sommario: Premessa – 1. La disciplina del raddoppio dei termini – 2. Le norme emanate nel 2015 – 3. Attuale utilizzabilità del raddoppio dei termini
Premessa[1]
Il presente articolo tratta, in sintesi, l’evoluzione normativa della disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, nelle ipotesi di presenza di notizia di reato a carico del contribuente per reati penali tributari.
La disciplina, emanata nel 2006, ha avuto la sua vita giuridica in un decennio, giacché il Legislatore è intervenuto dapprima, nel 2015, modificandone i presupposti e successivamente, con la Legge di stabilità per il 2016, decretandone l’abrogazione.
In questi termini sembrerebbe un problema oramai risolto, ma così non è, atteso che le norme emanate nel 2015 hanno creato difficoltà interpretative, tutt’ora non risolte completamente.
Nell’articolo, dopo aver descritto l’istituto in questione e accennato alle storture causate nel tempo, saranno analizzate le norme emanate nel 2015 e la relativa giurisprudenza, analizzando, infine, l’impostazione attualmente data dall’Amministrazione Finanziaria rispetto ai termini decadenziali delle norme transitorie.
1. La disciplina del raddoppio dei termini
Il raddoppio dei termini per l’accertamento è stato introdotto nel nostro sistema tributario con il D.L. 223/2006, art. 37, commi 24 e 25.
La disciplina in rassegna prevede che, in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, i termini ordinari di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.
Evidentemente il fine dichiarato dell’istituto è quello di rafforzare i presidi a contrasto delle pratiche fiscali più insidiose, attraverso l’ampliamento dei termini ordinari e perentori accordati all’Amministrazione finanziaria per la notificazione degli avvisi di accertamento, in modo da consentire alla stessa di recepire ed utilizzare gli eventuali ed ulteriori elementi istruttori emersi nel corso di indagini penali tributarie, che sono soggette a termini di prescrizione più ampi rispetto a quelli fissati per l’azione amministrativa.
Detta disciplina è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 247 del 25 luglio 2011, ha affermato i seguenti principi:
– “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”;
– l’obbligo di denuncia “sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’Autorità giudiziaria penale”. Inoltre l’obbligo di denuncia “sussiste quando il pubblico ufficiale sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare, non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita”;
– il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 c.p. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia”;
– il raddoppio dei termini non presuppone un accertamento giudiziale definitivo circa la sussistenza del reato;
– il giudice tributario deve vagliare autonomamente (o su richiesta del contribuente) “la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo al riguardo una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento”.
I dettami della Corte Costituzionale, che ha preliminarmente ritenuto legittima la disciplina in analisi, da un lato ampliano la portata di questo istituto laddove ha sostenuto che il suo perfezionamento si ha anche senza l’invio della comunicazione di notizia di reato, essendo sufficiente l’obbligo astratto di denuncia, prescindendo, altresì, dall’imposta accertata e dagli esiti delle indagini preliminari o del processo penale. Dall’altro, invece, ne restringe la portata e cerca di intervenire rispetto agli abusi che già si erano verificati nei primi anni dall’emanazione dell’istituto in parola, laddove affida al giudice tributario il compito di riscontrare la correttezza dei presupposti fattuali sottesi all’applicazione della stessa disciplina.
Questo istituto, giustificato, come detto, in base all’opportunità di coordinare il termine di decadenza per gli accertamenti fiscali (più breve) con quello più lungo di prescrizione dei reati tributari, ha dato luogo a criticità operative che si è trasformato in un notevole contenzioso dinnanzi alle Commissioni tributarie, dal momento che spesso gli Uffici impositori procedevano all’inoltro delle notizie di reato ben oltre i termini ordinari, molte volte senza aver proceduto ad indagini dettagliate, tanto che le informative di reato si sono rilevate spesso infondate, ed in alcuni casi non è stato nemmeno instaurato alcun procedimento penale.
2. Le norme emanate nel 2015
Alla luce delle problematiche riscontrate, il Legislatore è intervenuto modificando il quadro normativo con due provvedimenti nel 2015, dapprima mediante l’art. 2 D.Lgs. 128/2015 e successivamente con l’art. 1, commi 130 – 132 della Legge 208/2015.
Con il primo provvedimento è stata disposta l’ammissione del raddoppio dei termini solamente nel caso in cui la notizia di reato fosse stata trasmessa entro le scadenze ordinarie per l’accertamento, al fine di sopperire agli abusi perpetrati, come già indicato nel precedente paragrafo. Al comma 3 dello stesso articolo viene specificato che vengono fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili, notificati entro la data di entrata in vigore del citato D.Lgs 128/2015 (ossia 2 Settembre 2015).
Il secondo provvedimento normativo, L. 208/2015, ha operato su due fronti:
da un lato ha eliminato la distinzione tra termine ordinario e termine raddoppiato, per quanto riguarda gli accertamenti relativi al periodo d’imposta 2016 e seguenti (art. 57 DPR 633/72 ed art. 43 DPR 600/73, i quali indicano come termine per gli accertamenti il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ed il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui è la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nei casi di omessa presentazione o di dichiarazione nulla), procedendo, in sintesi, all’abrogazione del raddoppio dei termini;
dall’altro, invece, ha introdotto un regime transitorio per gli accertamenti relativi alle annualità 2015 e precedenti. Detto regime conserva la distinzione tra i termini raddoppiati ed ordinari, escludendo che il raddoppio possa operare “qualora la denuncia venga presentata o trasmessa da parte dell’Amministrazione Finanziaria, in cui è ricompresa la Guardia di Finanza, oltre la scadenza ordinaria dei termini”.
Tutto ciò premesso, la presente legiferazione, evidentemente contradittoria, ha gettato ombre sulla legittimità degli atti di accertamento.
La questione di legittimità è stata ampiamente dibattuta in giurisprudenza, mediante svariate pronunce a partire dal 1° gennaio 2016, poiché la coesistenza di entrambe le norme rischiava di determinare un’ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti.
Le prime pronunce hanno argomentato la prevalenza delle norme introdotte con la Legge di stabilità 2016 (L. 208/2015) sulla disposizione dell’art. 2, comma 3 del D.Lgs 128/2015, in ragione del criterio generale della successione delle leggi nel tempo, dato che le disposizioni in esame disciplinano la stessa materia, escludendo pertanto la possibilità di applicare il principio della specialità.
In tal senso, ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale Lombardia con sentenza nr. 386/5/2016 ha osservato che “poiché le norme disciplinano la stessa materia e non è applicabile il criterio di specialità, […] debba ritenersi implicitamente abrogato il terzo comma dell’art. 2 del D.Lgs. 128/2015”. Anche la Commissione Tributaria regionale Lazio, con sentenza nr. 4061/28/2016, sullo stesso tenore della precedente sentenza citata, ha specificato che la coesistenza di entrambe le norme transitorie determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti, propendendo quindi per l’ipotesi che l’art. 2 comma 3 del D.Lgs. 128/2015 è da intendersi tacitamente abrogato dalla L. 208/2015 emanata successivamente.
In questo senso si sono espresse anche la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (con sentenza nr. 90/2016 del 22 marzo 2016) e la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze (con sentenza nr. 447 del 08 febbraio 2016).
Sulla questione, a dirimere i dubbi interpretativi, è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza nr. 16728/2016, che, ribaltando difatti le pronunce di merito delle Commissioni Tributarie, ha affermato che l’art. 2, comma 3 del D.Lgs 128/2015 continua, in parte, ad applicarsi.
Secondo la Suprema Corte, occorre distinguere gli avvisi di accertamento, relativi ai periodi d’imposta 2015 e precedenti, a seconda che questi:
non siano stati ancora notificati: in tal caso si applicano le disposizioni della L. 208/2015, che esige il tempestivo invio della notizia di reato ai fini del raddoppio dei termini per l’accertamento;
siano stati già notificati, in tal caso si applicherebbe la disposizione prevista dal D.Lgs 128/2015 […senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015…].
L’elemento distintivo sarebbe, pertanto, rinvenibile nella circostanza che gli avvisi di accertamento siano stati o meno notificati.
L’analisi della sentenza in questione fa ritenere che la Suprema Corte abbia voluto risolvere la questione in base al principio del tempus regit actum e quindi la clausola di salvezza di cui all’art. 2, comma 3 D.Lgs. 128/2005 continuerebbe ad applicarsi agli avvisi di accertamento notificati prima del 2 settembre 2015, nonché agli atti impositivi notificati entro il 31 dicembre 2015 e scaturenti da processi verbali di constatazione ed inviti a comparire notificati entro il 2 settembre 2015.
Di conseguenza, la disciplina dettata dalla Legge di stabilità 2016 riguarderebbe gli atti, relativi alle annualità 2015 ed anteriori, notificati successivamente al 1° gennaio 2016.
Evidentemente una decisione differente a quella presa dalla Cassazione avrebbe potuto essere strumentalizzata per richiedere una generalizzata declaratoria di nullità di tutti gli atti che sono stati notificati entro il 31 dicembre 2015, senza il supporto di una notizia di reato trasmessa nei termini ordinari per l’accertamento.
Sulla base della sentenza della Corte di Cassazione che ha chiarito il rapporto tra le due norme transitorie emanate nel 2015, e dell’evidente conflitto legislativo creatosi, ci soffermiamo ad analizzare se le norme transitorie trovano tutt’oggi la possibilità di essere applicate.
3. Attuale utilizzabilità del raddoppio dei termini
Secondo l’attuale assetto normativo, dunque, per i soli periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 2016, l’Amministrazione Finanziaria, laddove sussistano violazioni tributarie penalmente rilevanti e in presenza di talune condizioni, può ancora avvalersi di detto istituto, disponendo, pertanto, di un termine più ampio di quello ordinario ai fini della notifica dei relativi avvisi di accertamento.
Anche a seguito dei menzionati interventi normativi, la formulazione letterale amplia i termini accertativi “relativamente” ai periodi di imposta “in cui è stata commessa la violazione”.
In base a questa interpretazione sistematica delle norme cui l’Amministrazione Finanziaria ritiene di adeguarsi, la ratio legis depone nel senso di dover riferirsi non al periodo di accertamento della sanzione penale, ma al periodo di imposta cui la violazione penale si riferisce.
Pertanto, secondo questo orientamento interpretativo dell’Amministrazione Finanziaria, ne deriva che la disciplina sul raddoppio dei termini di accertamento trova ancora applicazione, soltanto laddove la denuncia penale sia stata effettivamente presentata o trasmessa all’Autorità Giudiziaria entro la scadenza ordinaria dei termini di accertamento. Quindi considerando l’ultimo anno d’imposta cui si riferisce la norma transitoria, ovvero il 2015, la denuncia alla magistratura deve essere necessariamente inoltrata per tale anno:
– entro il 31 dicembre 2020, in caso di dichiarazione presentata;
– entro il 31 dicembre 2021, in caso di dichiarazione omessa o nulla.
Di conseguenza, nell’ipotesi di violazione penale prevista dal D.Lgs. 74/2000 trasmessa entro i termini sopra detti, applicando l’istituto del raddoppio, gli accertamenti relativi all’ultima annualità per la quale è applicabile, ossia l’anno d’imposta 2015, dovranno essere notificati, a pena di decadenza:
– entro il 31 dicembre 2024, in caso di dichiarazione presentata;
– entro il 31 dicembre 2026, in caso di dichiarazione omessa o nulla.
Come è facile rilevare, secondo questo orientamento dell’Amministrazione Finanziaria, il caos posto in essere dal legislatore nel 2015, determina che pur essendo stato abrogato questo istituto nel 2016, la fase transitoria potrà consentire il ricorso a questo strumento, in alcune circostanze, per altri dieci anni dopo l’abrogazione.
Un ultimo cenno, solo per rilevare l’ennesima divergenza di vedute tra Amministrazione Finanziaria e giurisprudenza di legittimità, è rivolto alla eventuale applicazione dell’istituto in parola anche all’imposta regionale sulle attività produttive. A tal proposito, con nota n. 173532 del 7 dicembre 2010, l’Agenzia delle Entrate ha rilevato che gli artt. 24 e 25 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 hanno rinviato tout court alle procedure di accertamento previste per le imposte sui redditi, compreso l’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 che ne regola i termini prescrizionali per l’accertamento, e quindi ne deriverebbe che l’istituto del raddoppio si rende applicabile anche ai fini dell’accertamento dell’IRAP.
Di contro, la Corte di Cassazione, con due sentenze (Cass., Sez. V, 11 marzo 2016, n. 4775 e Cass. Sez. VI, 25 agosto 2017, n. 20435) si è pronunciata esattamente all’opposto, ritenendo l’inapplicabilità all’Irap della disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per la notifica degli accertamenti, sulla base del presupposto che il D.Lgs. 74/2000 non prevede sanzioni penali con riferimento all’imposta sulle attività produttive.
[1] A cura del Dott. Enzo Quaranta, Dottore di ricerca in Management e Finanza, cultore della materia in Economia Aziendale e Management Pubblico, ispettore della Guardia di Finanza
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