Disposizioni in merito a fatture per operazioni inesistenti

Disposizioni in merito a fatture per operazioni inesistenti

Il Decreto Legislativo n.74\2000, rubricato “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto” si inserisce nell’ambito di una radicale riforma della disciplina repressiva dei reati in materia tributaria e fiscale, a fronte degli insuccessi della previgente, ed oggi abrogata, legge n.516\1982, riformulandone l’impianto sanzionatorio penal-tributario.

Il Legislatore ha inteso individuare un numero ristretto di fattispecie delittuose, caratterizzate dal dolo specifico, finalizzato all’evasione delle imposte, prevedendo, per alcune fattispecie, soglie di punibilità indicative della volontà di limitare l’intervento punitivo ad illeciti economicamente rilevanti, così deflazionando il numero dei processi penali.

Soggetto attivo delle fattispecie di reato di cui al D.lgs. n.74/2000, individuate dal Legislatore utilizzando l’avverbio “chiunque” è, in realtà, il contribuente, ovvero colui che è soggetto passivo di un obbligo tributario nei confronti dello Stato, pertanto tali illeciti rientrano nell’alveo dei c.d. reati propri.

L’odierno sistema tributario, si fonda sul principio della “fiscalità di massa”, basandosi sull’adempimento volontario del contribuente, tramite la presentazione della dichiarazione fiscale. Quest’ultima, secondo costante dottrina e giurisprudenza[1] è inquadrabile nelle c.d. “dichiarazioni di scienza”, ovvero atti volontari di natura non negoziale, ricognitivi di una situazione di fatto. Con essa il contribuente concorre a determinare il contenuto della propria obbligazione tributaria, stabilendo la misura della propria partecipazione al prelievo fiscale, in base ai principi costituzionali dell’equa distribuzione dell’onere finanziario, ispirato alla capacità contributiva e progressività (ex art. 53 Cost.).

La dichiarazione fiscale è, quindi, il primo passo verso l’accertamento delle imposte dovute, ne deriva l’applicazione di sanzioni nelle ipotesi di omessa dichiarazione o dichiarazione inattendibile, per falsità o infedeltà dei dati reddituali denunciati.

Premesso, quanto sopra, veniamo all’esame della fattispecie contemplata dall’art.2 del D.Lgs. n.74/2000, che è reato di percolo[2] a consumazione istantanea.

Ci si trova di fronte ad una delle ipotesi delittuose più gravi in materia di dichiarazioni, in cui si sanziona un comportamento particolarmente insidioso del contribuente che, col fine di sottrarsi all’adempimento degli oneri tributari, ricorre alla falsificazione della documentazione fiscale a supporto della dichiarazione, compromettendone, pertanto, la veridicità.

La norma in esame così statuisce : “E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui rediti o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali, relative a dette imposte, elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore ad Euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni”.

Dunque, il reato di dichiarazione fraudolenta è una fattispecie delittuosa a forma vincolata, in cui dovranno necessariamente concorrere due elementi: 1) l’avvalersi di fatture o altri documenti, registrati nelle scritture contabili o detenuti ai fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria; 2) l’indicazione di elementi passivi fittizi, nella dichiarazione annuale dei redditi o ai fini IVA.

Il reato si consuma al momento della presentazione della dichiarazione, quindi il numero di fatture o altri documenti utilizzati per abbattere i costi è irrilevante, poiché rappresenta un’unica attività prodromica alla realizzazione del reato, che si perfeziona con il deposito della dichiarazione e non con la registrazione dei documenti in contabilità[3].

Il termine “elementi passivi fittizi”, circoscrive le ipotesi di falsificazione penalmente rilevanti, pertanto, non rilevano le falsificazioni ideologiche[4], in relazione a contenuti strumentali alla individuazione del contribuente, falsità relative a visti o certificazioni, al calcolo delle imposte ecc. .

Allo stesso modo, sono irrilevanti deduzioni o detrazioni indebite di elementi diversi dai costi, quali assegni familiari o l’apposizione di spese fittizie non indicate in fatture o altri documenti, né l’ipotesi di computo di spese effettivamente sostenute ma, fiscalmente, non detraibili o deducibili.

Si configura come falsa, un’operazione che non sia realmente effettuata o che si riferisca a soggetti diversi rispetto a quelli effettivi, più precisamente ogniqualvolta vi sia una divergenza tra realtà commerciale e riscontro documentale.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria[5] possono configurarsi diverse ipotesi di inesistenza delle operazioni: oggettivamente inesistenti (ovvero mai poste in essere nella realtà), relativamente inesistenti (operazione realizzata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura), soggettivamente inesistenti (diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in querela) infine, ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa” (con la fattura che attesti la cessione di beni e servizi, aventi un prezzo maggiore di quelli forniti).

Come sopra anticipato, l’elemento psicologico, che deve animare la condotta del soggetto attivo nei reati in materia di dichiarazioni, è il dolo specifico, non è neppure necessario che tale ulteriore scopo si realizzi effettivamente, essendo sufficiente che sia rappresentato e voluto dall’agente.

L’azione è, quindi, finalizzata ad arrecare un danno all’erario, in termini di minore gettito fiscale e compromissione della attività di controllo e di accertamento dell’amministrazione finanziaria, tramite ricorso ad una documentazione fiscale ingannevole[6].

Le condotte penalmente sanzionate sono, pertanto, quelle intrinsecamente funzionali, a generare una riduzione del prelievo fiscale, in quanto l’indicazione di costi fittizi riduce la base imponibile e, quindi, l’ammontare dell’imposta su di essa calcolata.

Il terzo comma dell’art. 2, che prevedeva una pena inferiore a quella base indicata dal primo comma del suddetto articolo, nel caso in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi fosse stato inferiore ad euro 154.937,07, una soglia di punibilità, al di sotto delle quali era prevista una riduzione della pena da applicarsi, in quanto il danno patrimoniale derivato all’Erario era minore e, dunque, la condotta da sanzionare meno gravemente.

Con la riforma introdotta dal D.L. n. 138/2011 convertito in L. 148/2011, il legislatore ha abrogato il terzo comma del suddetto articolo, pertanto, oggi non sussiste alcuna riduzione della pena in base a soglie di punibilità.


[1] LUPI, FANTOZZI, Corso di diritto tributario, Torino 2004 –  MICHELI, Diritto Tributario e diritto finanziario, Voce dell’enciclopedia del diritto Giuffré vol XII, 1964 – Cass. Civ. Sez.Trib. n.29738\2008

[2] MANCINI, PISANI, 2006, 71 e A.MANGIONE in la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni insistenti, in AA.VV.,2002,17.

[3] Cass.Pen. Sez.II n.42111\2010 – Cass. Pen. Sez. I n. 25483\2009

[4] Tribunale di Trento sentenza n. 207 del 24.05.2007, non rilevano le falsità ideologiche nelle quali il mendacio riguardi esclusivamente la qualificazione giuridica di una determinata operazione, in quanto il Legislatore ha espresso riferimento alla rilevanza penale delle sole inesistenze oggettive delle operazioni.

[5] Cass. Pen. Sez. III n.1996\2007

[6] Art. 1 D.lgs. 74\2000 lett. d) descrive il contenuto del dolo specifico, dove si legge che “fine di evadere le imposte” e “il fine di consentire a terzi l’evasione, si intendono comprensivi, rispettivamente, anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta, e del fine di consentirli a terzi”.


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Avv. Gianluca De Vito

Avvocato del Foro di Catanzaro, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, nell’anno 2012. Esercita la professione forense con carattere di continuità innanzi ad organi giurisdizionali penali, civili ed amministrativi su tutto il territorio nazionale.

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