Disumano! Breve disamina del caso Mondialpol

Disumano! Breve disamina del caso Mondialpol

1. La diffusione del «caporalato»

Lo sfruttamento di manodopera è ben più vetusto rispetto all’epoca attuale – un esempio a dir poco lampante è rappresentato dalle condizioni pietose cui erano sottoposti i braccianti nella tanto osannata epoca borbonica, oppure alle pene infernali sofferte dagli operai tessili attivi nell’Inghilterra del diciannovesimo secolo -, ma, considerato il celerrimo regresso che sta interessando la società, appare ragionevole affermare che il fenomeno de quo ha raggiunto il proprio apice proprio in epoca attuale.

Sebbene qualche dizionarietto di poco conto, nel fornire la definizione di «caporalato», si limiti ad enfatizzarne il propagarsi tanto nel Meridione quanto nel settore primario, chi scrive è dell’avviso che esso non solo ha già abbondantemente travalicato i confini del Sud, ma – cosa ben più grave – sta via via interessando àmbiti ben diversi rispetto all’agricoltura: ne è la chiara riprova quanto verificatosi in seno alla Mondialpol, sedente a Como, azienda leader tanto della sicurezza quanto…della disumanità delle condizioni lavorative.

2. Gli stipendi da fame e l’inchiesta

Facendo fede a quanto riferito dal Sole 24 Ore[1], la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha aperto un’indagine a carico dell’anzidetta società – il cui fatturato è piuttosto alto! – per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro[2], previsto e punito dall’art. 603-bis del Codice Penale: la norma richiamata commina la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa da cinquecento a mille euro per ciascun lavoratore reclutato nei confronti di chiunque «1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno» (così recita il comma primo).

A fare chiarezza riguardo agli indici di sfruttamento è, invece, il comma terzo della disposizione in esame, che definisce tali «la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato[3]; 2) la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti».

Come taluni lavoratori hanno affermato – ed il succitato quotidiano riferisce -, la società li costringeva a sottoscrivere accordi in ossequio ai quali le prestazioni rese tanto nelle ore notturne quanto nei giorni festivi non avrebbero comportato alcun aumento di retribuzione (la qual cosa è, invece, prevista tanto ex lege quanto dai contratti collettivi di categoria), e che la retribuzione oraria di fatto corrisposta loro era di gran lunga inferiore a quella contemplata dal CCNL di cui all’inciso.

Inoltre, il datore traeva palesemente profitto delle condizioni di bisogno in cui versavano i suoi subalterni, contravvenendo in modo pressoché lampante alla vigente normativa.

Ma non è tutto: atteso che il numero dei dipendenti interessati è sicuramente superiore a tre, al caso in esame ben potrà applicarsi il comma quarto dell’articolo cennato, che prevede, tra le possibili aggravanti, il fatto che i lavoratori reclutati superino la soglia numerica appena menzionata.

3. Il c.d. «commissariamento»: disciplina legislativa e poteri dell’amministratore

L’articolo 3 della Legge n. 199 del 29 ottobre 2016 statuisce che, laddove sia instaurato un procedimento penale per il reato in commento, il Giudice è tenuto a disporre – a condizione che sussistano i requisiti per l’applicazione del sequestro preventivo previsti dall’art. 321 del Codice di Procedura Penale, al cui testo si rinvia –, con apposito decreto, il controllo giudiziario (definito, in modo improprio, «commissariamento»), a tal uopo nominando un soggetto iscritto in appositi elenchi disciplinati dal D.Lgs. n. 14/2010.

Tra i poteri-doveri che la legge riconosce all’amministratore rientra la regolarizzazione dei lavoratori non contrattualizzati (cioè, «a nero») e, soprattutto, l’adozione di adeguate misure tese ad evitare che le violazioni dell’art. 603-bis c.p. sino ad allora poste in essere si ripetano, anche contro la volontà dell’imprenditore o del gestore.

 

 

 

 

 

 


[1] Vedasi l’edizione di mercoledì 19 luglio 2023 (anno 159° – N. 197), p. 15, S. MO, Mondialpol, commissario per stipendi troppo bassi.
[2] Atecnicamente definito – anche dai media – «caporalato», termine recepito anche nel lessico italiano.
[3] Si rammenti la previsione ex art. 36 Cost., secondo cui va corrisposta al lavoratore una retribuzione che sia proporzionata vuoi alla quantità vuoi alla qualità del lavoro prestato, tale da assicurare, a sé ed ai propri familiari, la conduzione di un’esistenza libera e dignitosa.
L’art. 603-bis è stato inserito nell’impianto del Codice Penale ad opera del D.L. 138/2011, convertito in L. 148/2011, e poi modificato con l’avvento della L. 199/2016: la formulazione attuale è, a parere dello scrivente, più fedele al dettato costituzionale, avendo sostituito l’aggettivo «reiterata» a «sistematica» relativamente alle ipotesi di sfruttamento elencate al comma terzo. L’attributo figurante nel testo in vigore pone in evidenza non tanto l’abitualità (concetto pressoché astratto), ma la ripetizione di una determinata condotta in un preciso àmbito temporale.
Non va trascurato, poi, che la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea riconosce al prestatore di lavoro il diritto di svolgere la propria attività in condizioni «sane, sicure e dignitose» (art. 31).

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Adriano Javier Spagnuolo Vigorita

Laureato in giurisprudenza con una tesi sulla natura giuridica dei rapporti di lavoro secondo la disciplina del Jobs Act (relatore il prof. Francesco Santoni), Adriano Spagnuolo Vigorita (noto anche con il soprannome di "Javier") ha iniziato il suo percorso forense in seno ad un rinomato studio legale napoletano, ove ha sviluppato le proprie capacità di ricerca e, contestualmente, incrementato le conoscenze giuridiche acquisite, con particolare riguardo al diritto civile e del lavoro. Si occupa attualmente della cura di liti giudiziali e stragiudiziali nelle cennate materie e, dal 20 gennaio 2022, è pienamente abilitato all'esercizio dell'avvocatura, professione dei suoi avi. Parla fluentemente l'inglese ed il tedesco, appresi durante le sue numerose esperienze all'estero, ed è in grado di comprendere la lingua spagnola.

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