Divieto di analogia in malam partem: pietra miliare del diritto penale
La chiave di lettura del sistema penale è rappresentata dai principi che permeano il diritto penale, in quanto è solo attraverso la loro conoscenza che si può riuscire a risolvere qualsiasi questione problematica attinente le fattispecie incriminatrici.
Il primo principio che assume una veste importante in ambito penale è il principio di legalità, il cui fondamento normativo è rinvenibile nell’art. 1 c.p e nell’art. 199 c.p.; infatti, codesto principio accolto nella sua accezione formale attribuisce solo alla legge formale ordinaria il potere di creare fattispecie incriminatrici e di stabilire quali siano le sanzioni e le misure di sicurezza che ad esse vanno applicate.
Il principio di legalità penale, seppur declinato in modo diverso, rinviene il suo fondamento normativo anche nell’art. 25 co. 2 Cost. dal quale si evince un corollario del principio di legalità ossia l’irretroattività della legge penale; e ancora il principio trova ormai esplicito fondamento anche a livello sovranazionale nell’art. 7 della Cedu e nell’art. 49 della Carta di Nizza.
Di legalità non viene accolta l’accezione sostanziale in virtù della quale sarebbe sancita la punibilità di qualsiasi comportamento socialmente rilevante, e ciò in quanto se si accogliesse questa accezione si violerebbe lo stesso principio di legalità perchè qualsiasi comportamento pericoloso seppur non previsto dalla legge sarebbe penalmente punito, e in un’ottica di applicazione restrittiva dell’area del penalmente rilevante, nel rispetto del principio di sussidiarietà che prevede l’applicazione del diritto penale come extrema ratio, ciò non sarebbe ammissibile.
Va precisato che il principio di legalità, si articola in una serie di corollari tra cui: la riserva di legge, l’irretroattività, la determinatezza, il divieto di analogia in malam partem.
Proprio sul divieto di analogia in malam partem di recente è tornata a pronunciarsi la Cassazione nella sentenza nr. 713/2023. In particolare, per comprendere l’applicazione del principio di diritto enunciato dalla Corte è opportuno capire cosa sia il procedimento analogico e perché in diritto penale lo stesso non possa trovare applicazione a differenza di quanto accade nel diritto civile e nel diritto amministrativo; infatti all’interno di queste due branche del diritto l’analogia è quel procedimento mediante il quale si vanno a colmare le lacune normative.
Il divieto di analogia in malam partem nel diritto penale rinviene il suo fondamento normativo nell’art. 25 Cost, nell’art. 1 del c.p. e nell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale.
La ratio di tale divieto è quella di tutelare i consociati dai possibili arbitrii del potere. Il legislatore quando scrive la norma penale deve sempre inserire in essa un precetto e una sanzione.
Il problema dell’analogia sorge proprio in relazione alle lacune della norma penale, e questo perché, secondo il procedimento analogico in generale, si prevede che, quando è posta in essere una fattispecie per la quale non è stata emanata alcuna norma, se quella fattispecie ha la medesima ratio e gli stessi elementi di una norma che disciplina una fattispecie in astratto simile a quella che si è realizzata in concreto allora ad essa si può estendere la disciplina normativa prevista per la fattispecie astratta; se invece si realizza una fattispecie concreta non disciplinata in nessuna norma ma essa non ha gli stessi elementi o la stessa ratio di una fattispecie disciplinata in astratto dal legislatore ad essa si applicheranno i principi generali dell’ordinamento.
Il problema dell’analogia, quindi in generale, negli altri rami del diritto non sussiste perché essa è ammessa mediante o il ricorso a norme che disciplinano in astratto fattispecie simili a quelle realizzatesi in concreto o il ricorso ai principi generali. In diritto penale, vige il divieto di analogia in malam partem perché l’area del penalmente rilevante non può estendersi, e quindi il ricorso allo strumento penale può essere disposto solo li dove non sia possibile applicare i rimedi previsti dal diritto civile e dal diritto amministrativo, proprio perché le sanzioni penali vanno a comprimere la libertà personale dell’individuo e sicuramente qualora a un reato realizzatosi in concreto si cercasse di applicare una pena prevista per una fattispecie disciplinata in astratta dall’ordinamento si finirebbe per ledere il principio di legalità e di determinatezza.
La Cassazione ha, infatti, confermato che <<il divieto di analogia quale strumento utilizzato per riempire le lacune legislative è inibito in relazione alle norme penali incriminatrici>>. Nessun problema pone invece l’analogia in bonam partem, perché anche in diritto penale è ammessa la possibilità di poter colmare le lacune normative quando però il ricorso sia fatto a norme più favorevoli per il reo (come quelle che prevedono le cause di giustificazione), e ciò anche nel rispetto del principio del favor rei.
Diversa, poi, dall’ analogia è l’interpretazione estensiva che è sempre ammessa nel diritto penale, e ciò in quanto attraverso questo procedimento si attribuisce al giudice la possibilità di scegliere tra i più significati che una parola può assumere quello che più si adegua al fatto commesso. La stessa Cassazione, ha ammesso l’applicabilità di questo procedimento e ciò in quanto <<l’interpretazione estensiva non amplia ma discopre il contenuto della norma, è pratica consentita, salvo che non si tratti di leggi eccezionali o derogatorie>>.
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Avvocato Antonella Fiorillo
Laureata in giurisprudenza.
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