Divieto di doppio binario sanzionatorio: quali conseguenze operative per il giudice di merito?

Divieto di doppio binario sanzionatorio: quali conseguenze operative per il giudice di merito?

Sommario: 1. La duplice dimensione del principio del ne bis in idem – 2. La portata sovranazionale del ne bis in idem: il divieto di doppio binario sanzionatorio – 3. Le diverse soluzioni operative nella giurisprudenza di merito – 4. Conclusioni

 

1. La duplice dimensione del principio del ne bis in idem

Il principio del ne bis in idem è ormai caratterizzato da una duplice dimensione, nazionale e sovranazionale, data l’incidenza della CEDU e del diritto europeo nel nostro ordinamento. Il  divieto di doppio giudizio, infatti, è divenuto oggetto di un’intensa elaborazione giurisprudenziale della Corte Edu e della CGUE, che ne hanno esteso l’ambito applicativo rispetto all’impostazione tradizionale di matrice nazionale.

Nel nostro ordinamento, infatti, il divieto di doppia imputazione nasce come garanzia per il cittadino di non essere sottoposto, per il medesimo fatto di reato, ad un nuovo giudizio dopo essere già stato giudicato con sentenza irrevocabile. Tale limitazione, seppur non trovi espressa menzione nella Costituzione, viene considerata dalla Consulta come immanente nel nostro ordinamento, perché espressione del  più generale principio di civiltà giuridica. Esso infatti, è volto a tutelare l’individuo da una  perenne soggezione alla forza repressiva dello Stato, tra le manifestazioni più penetrati e invasive  del  potere dello Stato: “formatosi il giudicato, l’individuo è sottratto alla spirale di reiterate iniziative penali per il medesimo fatto. In caso contrario, il contatto con l’apparato repressivo dello Stato, potenzialmente continuo, proietterebbe l’ombra della precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale, che si pone, invece, al centro dell’ordinamento costituzionale” (Corte Cost. 21 luglio 2016, n. 200, nella quale vengono richiamate la sentenza n. 1 del 1969 e la  sentenza n. 219 del 2008).

Il divieto di doppio giudizio, in particolare, viene sancito dall’art. 649 c.p.p. che impone al giudice di merito di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere qualora si avveda che un medesimo fatto è oggetto di nuovo procedimento penale. Il divieto, dunque, rileva in sede processuale in presenza del “medesimo fatto”, il quale deve essere valutato nella sua materialità, come triade condotta, nesso di causalità ed evento, mentre non rileva l’inquadramento giuridico, la fattispecie astratta. L’irrilevanza dell’idem legale, infatti, è stata più volte ribadita dalla Corte Costituzionale, tenuto conto anche dell’evoluzione giurisprudenziale  della Corte Edu.

I giudici di Strasburgo, invero, si sono pronunciati più volte con riguardo al divieto di doppio giudizio, sancito dall’art. 4 protocollo 7 della CEDU; il principio, perciò, ha assunto una dimensione sovranazionale, con un distinto ambito applicativo rispetto all’art. 649 c.p.p.

La diversa portata, in particolare, si ricollega all’evoluzione ermeneutica in tema di divieto di doppio binario sanzionatorio. Sorge, dunque, il problema di individuare l’esatta portata del distinto filone applicativo del principio del ne bis idem, nonché di definire quali siano le conseguenze operative per il giudice di merito.

2. La portata sovranazionale del ne bis in idem: il divieto di doppio binario sanzionatorio

Per comprendere la portata del principio del divieto di doppio binario sanzionatorio è opportuno fare qualche cenno alla concezione autonoma della “matière pénale” elaborata dalla giurisprudenza di Strasburgo. I giudici Edu, infatti, hanno introdotto dei propri criteri per rilevare la natura penale delle singole fattispecie e delle relative sanzioni, a prescindere dalla qualifica formale operata dal singolo Stato. La Corte di Strasburgo, in particolare, applica i c.d. criteri Engel quali la qualificazione giuridica interna dell’illecito e della sanzione; la natura dell’illecito; la natura e gravità della sanzione. Ne deriva che alcune fattispecie e le relative sanzioni considerate come amministrative a livello nazionale, vengano qualificate come penali a livello sovranazionale, con la conseguente applicazione dei principi e delle garanzie previste in materia.

La considerazione delle sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, in particolare, si pone in stretta relazione con il principio del ne bis in idem inteso come  divieto di doppio binario sanzionatorio. Invero, qualora per il medesimo fatto vengano previste sia delle sanzioni penali, che sanzioni amministrative dal natura sostanzialmente penale, sorge il dubbio circa la legittimità di tale quadro sanzionatorio: il rischio è che in concreto vengano applicate alla medesima condotta materiale  due sanzioni di carattere penale.

Tale problematica, in particolare, è stata per la prima volta affrontata  dalla Corte Edu nel leading case Corte Grande Stevens c. Italia. In tale sede i giudici di Strasburgo ha valutato se i fatti contestati ai ricorrenti davanti alla CONSOB e successivamente davanti alle giurisdizioni penali facessero riferimento allo stesso comportamento e di conseguenza se ciò fosse compatibile con le garanzie della CEDU.  La Corte Edu ha concluso che il “nuovo procedimento riguardava un secondo “reato” che ha all’origine fatti che sono sostanzialmente identici a quelli che costituivano l’oggetto della condanna definitiva. Questa constatazione è sufficiente per concludere che è stato violato l’articolo 4 del Protocollo n° 7.” Con questa pronuncia, perciò, la Corte Edu ha esteso  la portata del principio del ne bis in idem, rispetto alla sua concezione tradizionale, poiché il divieto viene in rilievo nel caso di coesistenza fra sanzioni amministrative sostanzialmente penali e l’irrogazione di una sanzione penale per il medesimo fatto.

Il divieto di doppio binario sanzionatorio, tuttavia, non deve essere inteso in chiave assoluta, per cui in ogni caso la previsione di sanzioni sia amministrative che penali comportino una violazione dell’art. 4 del Protocollo 7. La Corte Edu, infatti, ha chiarito che “non si proibiscono i sistemi giuridici che trattano in maniera “integrata” i misfatti della società in questione, ed in particolare l’approccio che coinvolge fasi parallele di approcci legali derivanti da diverse autorità e con obiettivi diversi” (Grande Camera, sentenza 15 novembre 2016, AB Norvegia). L’intento dei giudici di Strasburgo, infatti, è quello di trovare un adeguato bilanciamento fra preservazione degli interessi dell’individuo tutelati dal principio del ne bis in idem da una parte, e dall’altra il particolare interesse della società di poter regolamentare in maniera calibrata il proprio quadro sanzionatorio.  A tal fine la Corte di  Strasburgo ha individuato il criterio del nesso materiale e temporale sufficientemente stretto per valutare la legittimità della previsione di un doppio binario sanzionatorio da parte del singolo stato. In altre parole, si deve dimostrare che il procedimento amministrativo e penale sono stati combinati in un modo integrato, tale da formare un insieme coerente. Ciò implica non solo che gli obiettivi perseguiti e i mezzi utilizzati per addivenire a tale risultato debbano essere complementari in sostanza e presentare un nesso temporale, ma anche che le eventuali conseguenze derivanti dalla regolamentazione giuridica della condotta in esame debbano essere proporzionate e prevedibili dalla persona giudicata.” (Grande Camera, sentenza 15 novembre 2016, AB Norvegia).

Sulla scorta di tali principi la Corte Edu nella successiva pronuncia Bjarni Armannsson c. Islanda, ha condannato lo Stato svedese per violazione del diritto al ne bis in idem, per il difetto di connessione dei due procedimenti, amministrativo e penale. I giudici hanno rilevato sia la mancanza della connessione temporale, perchè i due procedimenti sono stati celebrati in contemporanea soltanto per pochi mesi, sia il difetto del nesso sostanziale, poiché l’acquisizione e la valutazione del compendio probatorio è stata svolta in maniera largamente indipendente nelle due vicende processuali. Da tale pronuncia emerge il carattere rigoroso e restrittivo con il quale la Corte Edu interpreta il requisito della connessione logico e temporale fra procedimenti, poiché esso costituisce un elemento cruciale ai fini del sindacato della violazione del ne bis in idem.

L’intensa attività giurisprudenziale della Corte Edu sul punto è stata recepita altresì dalla Corte di Giustizia Europea.

Il divieto di doppio binario sanzionatorio, infatti, è giunto all’attenzione anche dei giudici dell’Unione Europea, poiché il principio del ne bis in idem viene altresì sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza, che disciplina i diritti fondamentali dell’ordinamento comunitario.

A tal proposito Corte di giustizia dell’Unione europea, nelle sentenze della Grande Sezione, 20 marzo 2018, relativamente alle cause riunite C-524/15, Menci; C-537/16 Garlsson Real Estate; C-596/16 e C-597/16 Di Puma e Zecca ha chiarito la portata del divieto di doppio binario sanzionatorio in ambito europeo, riprendendo quanto già affermato dai giudici di Strasburgo. In particolare sono stati enucleati i criteri di compatibilità del doppio sistema sanzionatorio con il divieto di bis in idem: la  sussistenza di un obiettivo di interesse generale tale da giustificare il cumulo di procedimenti e sanzioni, come in materia di contrasto delle frodi IVA, a condizione che i diversi procedimenti sanzionatori abbiano scopi complementari; la previsione di disposizioni volte  coordinare i diversi procedimenti; la proporzionalità della pena, ossia che la complessiva severità delle sanzioni applicate sia commisurata alla gravità del reato commesso in concreto; infine che sia assicurato il principio di prevedibilità, ossia l’individuo deve poter prospettare il ricorso ad un doppio binario sanzionatorio.

La verifica di tali criteri nel caso concreto, secondo la Corte di Giustizia, spetta al giudice nazionale, il quale nel caso di dubbio interpretativo potrà ricorrere allo strumento del rinvio pregiudiziale.

3. Le diverse soluzioni operative nella giurisprudenza di merito

L’imposizione di sanzioni sulla base del diritto amministrativo e del diritto penale riguardante la stessa infrazione è una pratica molto diffusa nel nostro ordinamento, soprattutto negli ambiti fiscali, delle politiche ambientali o della sicurezza pubblica. Sorge, dunque, il problema di definire quali siano le conseguenze operative per il giudice di merito, qualora ravvisi nel caso concreto una violazione del divieto di doppio binario sanzionatorio come  interpretato dalle Corti sovranazionali.

Il divieto, infatti, penetra nel nostro ordinamento attraverso due distinti meccanismi di integrazione: da un lato, esso opera in forza dell’art. 4 protocollo 7 della CEDU, che ai sensi dell’art. 117 della Costituzione diviene paramento interposto per sindacare la legittimità costituzionale delle disposizioni interne; dall’altro, lo stesso divieto è sancito dall’art. 50 della Carta di Nizza, espressamente richiamata dal TUE tra le fonti del diritto europeo, la quale è direttamente applicabile nel nostro ordinamento in forza del principio del primato del diritto comunitario. In quest’ultimo caso, perciò, il giudice di merito è tenuto o a disapplicare direttamente le norme interne in contrasto con il divieto del doppio binario sanzionatorio, oppure, in caso in dubbio interpretativo, è chiamato a rimettere la questione alla CGUE mediante lo strumento del rinvio pregiudiziale.

Ne deriva che il giudice del caso concreto possa seguire diverse strade a fronte della questione relativa alla doppia punizione del medesimo fatto sia in sede amministrativa che penale. Tale incertezza, in particolare, è emersa in relazione alle sanzioni previste in materia tributaria, per le quali i giudici di merito hanno adottato diverse soluzioni operative.

Il Tribunale di Monza, ad esempio, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 649 c.p.p., in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli», (Corte Cost. n. 43 del 2018). L’ordinanza di rimessione, perciò, mirava ad una pronuncia additiva da parte della Consulta, volta ad introdurre nel nostro ordinamento una previsione specifica per il divieto di doppio binario sanzionatorio; mediante tale strumento, in particolare, il giudice di merito avrebbe potuto dichiarare una sentenza di non luogo a procedere ex art. 649 c.p.p. analogamente a quanto previsto in caso di violazione del principio del ne bis in idem inteso in chiave tradizionale.

La Corte Costituzionale, tuttavia, non si è pronunciata sul punto, ma ha rimesso gli atti al giudice di merito, poiché dall’indagine della giurisprudenza sovranazionale sul punto è emerso “Il mutamento del significato della normativa interposta, sopravvenuto all’ordinanza di rimessione per effetto di una pronuncia della grande camera della Corte di Strasburgo che esprime il diritto vivente europeo, comporta la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale. Se, infatti, il giudice a quo ritenesse che il giudizio penale è legato temporalmente e materialmente al procedimento tributario al punto da non costituire un bis in idem convenzionale, non vi sarebbe necessità ai fini del giudizio principale di introdurre nell’ordinamento, incidendo sull’art. 649 cod. proc. pen., alcuna regola che imponga di non procedere nuovamente per il medesimo fatto”(Corte Cost. n. 43 del 2018).

La medesima questione di legittimità, peraltro, è stata nuovamente sollevata dal Tribunale di Bergamo, il quale ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., analogamente al Tribunale di Monza, e in aggiunta “Dalla logica complessiva dell’ordinanza di rimessione si evince, peraltro, che il giudice a quo intende sottoporre alla Corte la questione della compatibilità della disciplina censurata tanto con l’art. 4 Prot. n. 7 CEDU, quanto con l’art. 50 CDFUE, evocato del resto dalla motivazione” (Corte Cost,n.222 del 2019). Il Tribunale di Bergamo, perciò, ha richiamato sia la disposizione convenzionale, che quella comunitaria, a fondamento della propria ordinanza di rimessione. Anche in questo caso, tuttavia, la Corte Costituzionale non è intervenuta sul punto dichiarando inammissibile le questioni sollevate, poiché il giudice di merito non ha adeguatamente motivato la propria ordinanza, dunque  “segnalate lacune determinano un’insufficiente motivazione tanto della non manifesta infondatezza della questione prospettata, quanto della sua rilevanza” (Corte Costituzionale sentenza n. 222 del 2019).

Lo stesso Tribunale di Bergamo, peraltro, aveva già affrontato la questione relativa al divieto di doppio binario sanzionatorio in materia tributaria, ma da una differente prospettiva: è stata rilevata non l’illegittimità parziale del 649 c.p.p, bensì la specifica disciplina relativa all’omesso versamento IVA che introduce per il medesimo fatto sia sanzioni penali che amministrative. La questione, inoltre, è stata rimessa dallo stesso Tribunale direttamente alla Corte di Giustizia europea, mediante lo strumento del rinvio pregiudiziale “se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile”, (Tribunale di  Bergamo, ordinanza del  16 settembre 2015). Emerge, perciò, un’ulteriore e diversa soluzione operativa elaborata dalla giurisprudenza di merito, la quale ha il pregio di richiamare entrambe le disposizioni sovranazionali a fondamento del divieto del doppio binario sanzionatorio nel nostro ordinamento.

Il riferimento congiunto all’art. 4  Protocollo 7 Cedu e all’art. 50 della Carta di Nizza, inoltre, è stato seguito anche dal Tribunale di Treviso, il quale ha sollevato il sindacato di costituzionalità della Corte Costituzionale relativamente al doppio binario sanzionatorio in materia tributaria (ordinanza 18 febbraio 2015). Anche in questo caso la Corte Costituzionale non ha risolto il dubbio interpretativo, poiché ha rimesso gli atti al giudice di merito, rilevando le numerose modificazioni del sistema sanzionatorio tributario intervenute successivamente all’ordinanza del giudice di merito. La questione, dunque, è stata rimessa al giudice a quo, affinché valutasse l’attualità della rilevanza della questione sottoposta alla Corte Costituzionale.

Dunque, le medesime questioni circa la punizione sia amministrativa che penale in materia di omesso versamento iva sono state affrontate in modo differente da parte dei giudici merito, il rinvio pregiudiziale in un caso e il sindacato di costituzionalità nell’altro.

Il Tribunale d’Asti, inoltre, ha di recente prospettato una terza via, poiché ha applicato l’art. 649 c.p.p in modo conforme all’art. 4 protocollo 7  CEDU e ha dichiarato di non doversi procedere in relazione al reato contestato all’imputato, omesso versamento iva, poiché la stessa omissione era già stata sanzionata in sede amministrativa. In questo caso, perciò, il giudice di merito ha rilevato in modo autonomo la presenza di un doppio binario sanzionatorio e ha applicato, in modo analogico, il relativo strumento processuale.

Tale soluzione, tuttavia, non è stata condivisa dalla Corte di Cassazione, che considerato la decisione in contrasto con l’art. 649 c.p.p e ha chiarito che non spetta al giudice penale il potere di operare in via diretta una riqualificazione delle sanzioni amministrative previste dall’ordinamento nazionale, potendo al più rimettere alla Corte Costituzionale.

4. Conclusioni

La duplice e distinta portata del principio del ne bis in idem si può arguire in modo chiaro  univoco dalla copiosa giurisprudenza in materia, sia nazionale che sovranazionale.

Tuttavia permangono incertezza circa le conseguenze applicative del principio del doppio binario sanzionatorio per il giudice di merito, poiché possono essere prospettate diverse ipotesi: da un lato è stata posta in dubbio la legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui parte non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU; dall’altro è controverso se le singole discipline che prevedono una duplice sanzione, come quella prevista in materia tributaria, siano conformi al divieto di doppio binario sanzionatorio.

Tali questioni rimangono tuttora aperte, poiché, la Corte Costituzionale, più volte interrogata sul punto, ancora non è intervenuta in modo definitivo.


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