Divisione transattiva e transazione divisoria. L’art. 764 c.c. e i dubbi circa l’esperimento dell’azione rescissoria

Divisione transattiva e transazione divisoria. L’art. 764 c.c. e i dubbi circa l’esperimento dell’azione rescissoria

Al fine di tracciare una distinzione tra le due fattispecie richiamate dall’art. 764 c.c., primo e secondo comma, rispettivamente, della divisione transattiva e della transazione divisoria – essenziale in ordine alla scelta del rimedio predisposto dal Legislatore – occorre, anzitutto, muovere da una breve disamina degli istituti della comunione ereditaria e della divisione. Istituti, questi ultimi, nell’ambito dei quali si colloca la necessità di una tale operazione distintiva.

Corre l’obbligo di precisare che la condizione di comunione ereditaria si determina ogniqualvolta gli eredi del de cuius, apertasi la successione legittima, addivengono all’accettazione dell’eredità, divenendo coeredi e subentrando, così, nella contitolarità dei beni facenti parte della stessa.

A differenza della comunione ordinaria, che si instaura su singole situazioni giuridiche, la comunione ereditaria ha efficacia sull’universalità dei beni dell’asse ereditario e, dunque, su tutte le situazioni giuridiche “attive”. Diversamente, sul passivo opera una diversa disciplina dettata dall’art. 754 c.c., il quale consente al coerede di subentrarvi non oltre la propria quota, rimanendo così obbligato al pagamento dei debiti solamente in proporzione a quest’ultima.

L’art. 713 c.c., in secondo luogo, riconosce a ogni coerede il diritto di chiedere la divisione dell’eredità, per mezzo della quale la comunione addiviene a scioglimento, e a ciascuno viene attribuita una porzione del patrimonio ereditario dello stesso valore della quota di cui era contitolare.

La divisione può avvenire attraverso molteplici e alternativi procedimenti. Questa, difatti, può realizzarsi per disposizione del testatore; può risultare, ancora, dall’accordo di tutti i coeredi; infine, può essere disposta dal giudice a seguito della domanda giudiziale di un comunista.

L’art. 764 c.c. prevede, tuttavia, una ulteriore via per far sì che si possa giungere a divisione. Si tratta, invero, dell’ipotesi in cui la divisione non sia il risultato di una delle predette circostanze, ma sia conseguenza di qualsiasi altro atto che abbia la finalità di far cessare la comunione dei beni ereditari. Tale disposizione, invero, è collocata all’interno del Capo V “Dell’annullamento e della rescissione della divisione”, Titolo IV del Codice civile, accennando, dunque, a quest’ulteriore procedimento con riferimento all’azione di rescissione. Il primo comma ammette, in particolare, l’esperimento dell’azione di rescissione contro un atto che abbia natura di divisione transattiva, mentre il secondo precisa che l’azione non è ammessa contro la transazione, di cui all’art. 1965 c.c., “con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione o dell’atto fatto in luogo della medesima, ancorché non fosse al riguardo incominciata alcuna lite”, intendendo con ciò un atto avente natura di transazione divisoria.

Alla luce di quanto premesso fin ora, e a mero titolo esemplificativo, nell’ambito di un accordo divisorio intervenuto tra i comunisti, teso a porre fine alla comunione, si ritiene debba essere individuata, anzitutto, la natura giuridica dello stesso, allorché una delle parti formuli la richiesta di esperire l’azione di rescissione a tutela dei propri interessi. Il primo comma dell’art. 764 si rivolge agli atti che hanno natura di divisione transattiva, mentre il secondo fa riferimento alle transazioni divisorie. Il discrimen tra le due fattispecie, tuttavia, lascia spazio a innumerevoli dubbi. È necessario, a questo punto, operare una distinzione fra le due al fine di capire ove sia possibile o meno esercitare l’azione di rescissione.

Si parla di divisione transattiva quando il comune intento delle parti nella realizzazione di un accordo divisorio consiste nel risolvere la controversia insorta tra di esse mediante lo scioglimento della comunione e l’assegnazione proporzionale delle quote, superando in tal modo in via amichevole le questioni afferenti le operazioni divisorie. È tale l’ipotesi delineata dal primo comma dell’art. 764 c.c., ai sensi del quale, dunque, viene attribuita ai coeredi che compongano la lite tra loro insorta con le anzidette modalità la facoltà di proporre azione di rescissione qualora dall’accordo divisorio venga lesa la propria quota oltre il quarto.

La transazione divisoria, invece, come suggerisce lo stesso secondo comma dell’art. 764 c.c., ha le caratteristiche di una vera e propria transazione volta a comporre una lite, mediante la quale le parti, con reciproche concessioni, pur non rispettando la proporzionalità delle quote spettanti a ciascuno dei coeredi, procedono allo scioglimento della comunione. Non a caso, infatti, il secondo comma richiama espressamente gli artt. 1965 ss, che regolano la disciplina della transazione. Per questa seconda ipotesi è, invece, esclusa la possibilità di ricorrere all’azione di rescissione. La motivazione è da ravvisarsi nella prevalenza in questa caso della causa transattiva su quella divisoria. La causa prima dell’accordo consisterebbe, infatti, nella volontà di sciogliere la comunione, non già quella di dividere proporzionalmente il patrimonio di cui erano comproprietari, dando prevalenza, così, alla prima.

Il discrimen fra le due fattispecie sarebbe da ravvisare, ad avviso della Suprema Corte che in tal senso si è espressa, nella proporzionalità patrimoniale delle quote nella divisione transattiva, per la quale è ammessa l’azione di rescissione, e nella mancanza della stessa nella transazione divisoria, per la quale è esclusa tanto l’azione di rescissione quanto quella di annullamento per errore di diritto ex art. 1969 c.c. (Cass. n. 13942/2012).


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