Dolo eventuale e colpa cosciente ancora al vaglio della Corte di Cassazione
Con le sentenze n. 14663/2018 e n. 14776/2018, la Corte di Cassazione torna nuovamente sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, delineandone ulteriormente i profili discretivi.
Come noto, tale problematica ha occupato, e continua ad occupare, dottrina e giurisprudenza, portando alla costruzione di diverse teorie per poter facilmente distinguere tra le due figure.
In primis, tuttavia, occorre premettere che la disciplina dell’elemento psicologico si riviene negli artt. 42 e 43 cp.
In particolare, secondo l’art. 42 cp. “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”, evidenziando la necessità che la condotta penalmente rilevante sia sorretta anche dall’elemento psicologico. Il comma secondo della disposizione in commento, inoltre, specifica che il delitto preterintenzionale ed il delitto colposo devono essere specificamente previsti dal legislatore affermando, dunque, la cd. clausola di doppia tassatività per cui non solo il delitto, ma anche la preterintenzione o la colpa, devono essere indicate dalla legge.
L’art. 43 cp., invece, dà una definizione delle tre figure della colpevolezza, affermando che il dolo è rappresentazione e volizione della propria azione od omissione; la preterintenzione si verifica quando dalla condotta commissiva o omissiva dell’agente deriva un evento più grave; la condotta colposa, invece, è connotata da negligenza, imprudenza o imperizia ovvero dal mancato rispetto di leggi, regolamenti, ordini e discipline che danno luogo all’evento non voluto.
Salva la preterintenzione, gli altri due coefficienti psicologici sono caratterizzati da alcune graduazioni.
Specificamente, per quanto riguarda il dolo, dall’art. 133 cp. (che indica i parametri che deve seguire l’autorità giudicante per l’adozione del provvedimento decisorio) che fa riferimento all’”intensità del dolo”, sono state ricavate le figure del dolo intenzionale (in cui la volontà dell’agente è volta al perseguimento dell’evento), del dolo diretto (ove l’evento è voluto quale evento ultroneo rispetto al risultato perseguito) e del dolo eventuale, ove l’evento penalmente rilevante è valutato quale conseguenza possibile o probabile della propria condotta.
Proprio quest’ultima figura ha creato non pochi problemi interpretativi nell’individuazione della corretta linea di demarcazione con la colpa cosciente.
Questa, anche definita colpa con previsione e contemplata all’art. 61 n. 3 cp. quale circostanza aggravante, è caratterizzata dalla previsione dell’evento lesivo che, tuttavia, non è stato voluto dal soggetto agente.
Le due figure, quindi, appaiono molto simili distinguendosi per la volizione o meno dell’evento, previsto in entrambi i casi.
Al fine di superare tale dicotomia, sono state elaborate diverse prospettazioni dottrinali e giurisprudenziali, alcune delle quali distinguono dolo eventuale e colpa cosciente sulla base di un criterio statistico-probabilistico, affermando che il primo sussiste quando l’agente si è prospettato l’evento come probabile conseguenza della sua condotta mentre la seconda si ravvisa laddove l’evento sia stato valutato come conseguenza possibile del proprio agere. Tale impostazione è stata, però, criticata in quanto non pone l’accento né valorizza l’elemento volitivo.
Altro criterio elaborato in dottrina e giurisprudenza è quello dell’accettazione del rischio. Secondo tale ricostruzione il dolo eventuale ricorre quando l’agente si rappresenta le conseguenze penalmente rilevanti della sua condotta e, nonostante ciò, decide di agire; la colpa cosciente, invece, si palesa quando l’agente, pur rappresentandosi l’astratta verificazione del reato, confida di evitarlo grazie alle proprie capacità.
Un importante arresto giurisprudenziale – SS.UU. 38343/2014, cd. sentenza Thyssenkrupp – ha chiarito il discrimen tra queste due figure, superando le impostazioni che precedentemente si erano affacciante nell’elaborazione pretoria.
Secondo il Supremo Consesso di Legittimità, infatti, “in ossequio al principio di colpevolezza la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano la attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie.
Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee ad evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l’illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (“colpa cosciente”).
Per contro nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma che volitivo la verificazione del fatto di reato.
In particolare, nel “dolo eventuale”, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e quindi rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciò nonostante, si determina ad agire, aderendo a esso, per il caso in cui si verifichi.
Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta. A tal fine è richiesto al giudice di cogliere e valutare analiticamente le caratteristiche della fattispecie, le peculiarità del fatto, lo sviluppo della condotta illecita al fine di ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale”.
I giudici di nomofilachia, dunque, mettono in evidenza che dolo eventuale e colpa cosciente sono due figure ontologicamente differenti.
Difatti, pur essendo entrambe caratterizzate dall’adesione all’evento quale conseguenza non direttamente voluta della condotta dell’agente, presentano una struttura diametralmente opposta: il dolo eventuale, invero, si ravvisa in quel soggetto che agisce in modo ordinato, conscio di tutti gli elementi che connotano il fatto storico e che, pertanto, ha una chiara e lucida rappresentazione dell’evento.
Al contrario, nella colpa, l’evento è una concretizzazione del rischio che la norma cautelare – violata – vuole evitare: in sostanza, l’agente si rappresenta, in modo sfumato e vago, le conseguenze della sua condotta essendo, consapevolmente, in una situazione di rischio.
Ne deriva che assume rilevanza la consapevole presa di posizione di adesione all’evento che consente di scorgere un atteggiamento subiettivo simile alla volontà: è in ciò che si annida la differenza tra il dolo eventuale e la colpa cosciente: il primo, infatti, si connota per una determinazione ad agire del soggetto agente che decide di porre in essere la condotta, nonostante si sia rappresentato l’evento e la possibile causazione dell’offesa.
Viene, quindi, data una lettura in chiave volontaristica del dolo eventuale, valorizzando il dettato dell’art. 43 cp. che, come già sottolineato, costruisce il dolo quale rappresentazione e volizione dell’evento: il momento volitivo è, dunque, concepito come una precisa elaborazione decisoria in cui il reo decide di agire, anche a costo di causare l’evento, allo scopo di perseguire i propri obiettivi egoistici.
Una precisa valutazione ed individuazione dello stato subiettivo dell’agente rispetto all’evento, a parere dei giudici nomofilattici, può essere effettuata solo attraverso un profondo vaglio di specifici parametri.
In primo luogo, è necessario richiamare il cd. principio di bilanciamento (o criterio economistico) per cui il reato deve rappresentare la contropartita da pagare pur di perseguire le proprie finalità: il dolo eventuale è, così, riscontrabile quando il soggetto, per soddisfare i propri interessi, decide di delinquere realizzando l’evento collaterale, penalmente rilevante. Tale ponderazione lascerebbe emergere, infatti, una partecipazione emotiva all’evento, da cui ricavare la natura dolosa della condotta posta in essere.
In secondo luogo, le Sezioni Unite affermano, altresì, che occorre avvalersi di determinati indicatori, suggeriti da dati empirici, per correttamente valutare l’elemento psicologico dell’autore del reato.
In particolare, tali indicatori fanno riferimento: alla condotta che caratterizza l’illecito; alla lontananza dalla condotta standard (più la violazione della regola cautelare è grave, più si configura una condotta dolosa dell’agente); a personalità, storia e precedenti esperienze del soggetto agente; a durata e ripetizione della condotta; alla condotta successiva all’evento; al fine della condotta; alla probabile verificazione dell’evento; alle conseguenze negative e lesive patite dall’agente in caso si verifichi l’evento; al contesto lecito o illecito in cui agisce; alla fiducia nella mancata verificazione dell’evento; nonché, alla prima formula di Frank.
Quest’ultimo indicatore risulta il più rilevanti tra quelli richiamati dalle Sezioni Unite.
Secondo tale formula, infatti, il soggetto è in dolo eventuale quando si provi che lo stesso avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza della concretizzazione del reato, confermando ed esaltando ulteriormente il profilo volontaristico del dolo eventuale che, a parere del collegio di nomofilachia, era stato soppiantato dalla teoria della accettazione del rischio secondo la quale l’autore della condotta è in dolo eventuale accettando, semplicemente, il rischio che dalla su azione derivi il reato.
Orbene, le sentenze indicate in epigrafe corroborano l’impianto costruito dalle Sezioni Unite del 2014.
In particolare, con la sentenza n. 14663 del 30.3.2018, la IV sezione penale della Corte di Cassazione statuisce che “le importanti affermazioni contenute nella sentenza Thyssenkrupp consentono di ricavare il grado di responsabilità soggettiva (colposa o dolosa) del soggetto attivo non solo dall’indagine personologica sul soggetto attivo, sui motivi determinati la sua azione eccetera, ma altresì dalla caratterizzazione del fatto storico per come esso di presenta nel suo svolgimento diacronico (prima, durante e dopo la consumazione del reato), senza trascurare – dato, questo, di peculiare importanza nel caso che ne occupa – le conseguenze negative per l’autore che possano derivare dalla sua condotta”.
La Cassazione, quindi, sostiene che l’indagine sull’elemento psicologica passa anche per l’esame delle peculiarità del caso concreto attraverso il quale è possibile attribuire all’agente un’attitudine volitiva del fatto di reato (nel caso di specie, era contestato all’imputato il delitto di omicidio colposo con violazione di norme sulla circolazione stradale ex art. 589 co. 2 cp.).
Anche la sentenza n. 14776 del 3.4.2018 conferma che “per la configurabilità del dolo eventuale occorre […] la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nella fattispecie concreta […], aderendo psicologicamente ad essa; il momento volontaristico, consistente nella determinazione di aderire all’evento oggetto di rappresentazione, costituisce – anche nel dolo eventuale – un componente fondamentale dell’atteggiamento psichico dell’agente, nel senso che il dolo eventuale implica non già la semplice accettazione di una situazione di rischio, ma l’accettazione di un evento definito e concreto, che deve essere stato ponderato dall’autore del reato come costo (accettato) dell’azione realizzata per conseguire il fine perseguito”.
È evidente, dunque, che anche questa pronuncia conferma la necessità di indagare la sfaccettatura volontaristica del dolo eventuale – in ragione di quanto statuito dal legislatore codicistico del 1930 e cristallizzato nel più volte richiamato art. 43 cp. – attraverso la valorizzazione di una serie di criteri che possono essere d’aiuto nella ricostruzione del processo decisionale del soggetto agente (nel caso di specie, l’imputato era accusato di plurimo omicidio doloso aggravato, ai sensi dell’art. 61 n. 2 cp., dal nesso teleologico col reato di truffa aggravata consistito nella percezione indebita di rimborsi per prestazioni sanitarie fornite dalla casa di cura di appartenenza, mediante la rappresentazione falsa che le patologie che affliggevano i pazienti avevano necessità di interventi chirurgici, privi di giustificazione in ordine alla reale patologia e alle condizioni fisiche dei pazienti medesimi).
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