Dolo eventuale e colpa cosciente: considerazioni in tema di sinistri stradali

Dolo eventuale e colpa cosciente: considerazioni in tema di sinistri stradali

Sommario: 1. Introduzione – 2. Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali – 3. Dolo eventuale, colpa cosciente e sinistri stradali

1. Introduzione

Forma primigenia della responsabilità colpevole, il dolo è descritto nei suoi elementi essenziali all’art 43 co. 1 c.p.

Ai sensi di questo, il delitto “è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

In termini di puri fattori psicologici, sono dunque la previsione e la volontà i nuclei essenziali del dolo.

Se già nel libro della Genesi il cosmo è la risultanza di una volontà che scinde – innanzitutto sul piani intellettivo – e sceglie (dunque che intende e vuole, seppur con una diversa polarizzazione sotto il profilo etico), è nel diritto romano che il dolo trova una compiuta affermazione.

Quale sola forma di responsabilità colpevole in età classica, il dolo si concreta nell’agire tipico dell’essere umano, cioè quello volontario.

È l’istituto della sacertà, contemplato nelle leggi delle XII Tavole, a rivelare la forma più significativa del dolo, quale manifestazione di una volontà talmente abnorme da porre a rischio la stessa pax deorum, cioè il “contratto” tra uomini e deì (e, con esso, la sopravvivenza di Roma).

Sotto il profilo prettamente strutturale, tanto il mondo greco che quello romano conoscono la distinzione, in punto di atteggiamento psicologico, tra volontarietà e involontarietà della condotta.

Laddove la prima risulta necessaria ai fini dell’ affermazione della responsabilità penale, la seconda è invece chiamata a giustificare il risarcimento del danno.

Se una compiuta diversificazione dei vari aspetti della realtà dolosa non era ipotizzabile in epoca classica, oggi le forme del dolo – cioè le sue varianti in termini di struttura e oggetto, riconducibili alla nozione legislativa – costituiscono un punto focale dell’indagine dottrinaria e giurisprudenziale.

Sul piano squisitamente giuridico, infatti, risulta centrale l’importanza rivestita da tali classificazioni, innanzitutto con riferimento alla complessità della prova che situazioni sfumate e labirintiche comportano, senza peraltro trascurare gli effetti che ne discendono in punto sanzionatorio.

Concentrando l’attenzione sulla struttura del dolo, si osserva come sia l’elemento della volontà a fungere da perno dell’indagine.

Dolo intenzionale, diretto, ed eventuale costituiscono, dunque, epifanie strutturali del dolo.

Secondo un recente approdo della Suprema Corte, il dolo intenzionale è ordinariamente ricollegato alla circostanza che il verificarsi del fatto di reato rientri nella serie di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta. Diversamente, il dolo diretto conosce una volontà che non si dirige verso l’evento tipico e in cui, tuttavia, l’agente si rappresenta, come conseguenza certa o altamente probabile della condotta, un risultato che non persegue intenzionalmente.

Quanto al dolo eventuale, questo designa infine l’area quell’aerea dell’imputazione soggettiva in cui l’evento non costituisce l’esito finalistico della condotta, né è previsto come conseguenza certa o altamente probabile, rappresentandosi l’agente solo un possibile risultato della propria condotta e ciononostante inducendosi ad agire, con accettazione della prospettiva che l’accadimento abbia luogo.

Se una tale ricostruzione appare ad un primo sguardo nitida, scevra da possibili rischi di fraintendimento, ben più sfuggente e ambigua si fa l’indagine allorché si guardi al perimetro esterno del dolo eventuale. Ove, cioè, lo si consideri quale figura liminale rispetto alla colpa cosciente.

Se per aversi dolo eventuale, infatti, è sufficiente che l’agente si sia rappresentato il verificarsi di un fatto illecito come conseguenza probabile o possibile di una condotta diretta ad altri scopi e se, tuttavia, la previsione dell’evento risulta compatibile anche con un’imputazione soggettiva per colpa, allora necessariamente dovrà riconoscersi al dolo un quid pluris rispetto a tale previsione.

Dal canto suo, la giurisprudenza ha mostrato nel tempo atteggiamenti eterogenei, nello sforzo di decodificare i concetti di dolo eventuale e colpa cosciente.

La difficoltà è certamente causata da una pluralità di fattori di cui occorre tener conto.

In primis, dal silenzio legislativo.

Questo, almeno in apparenza, lascia l’operatore del diritto sprovvisto di strumenti in grado di enucleare regole certe quanto all’individuazione dell’una e dell’altra figura.

In secondo luogo, non può non considerarsi l’ineliminabile necessità per il giudice di bilanciare esigenze antitetiche.

In questo senso, la vincolatività posta dai principi generali in materia di elemento psicologico del reato, l’esigenza di dare attuazione, sul piano pratico, all’art. 27 Cost. e la necessità che l’elemento soggettivo sia oggetto di un accertamento effettivo (e non si basi su forme di responsabilità in re ipsa), spesso rischiano di entrare in conflitto con la domanda di un trattamento sanzionatorio idoneo.

E, del resto, è compito specifico di un ordinamento democratico garantire un trattamento sanzionatorio adeguato, in particolar modo a fronte di condotte denotanti una concreta pericolosità del soggetto attivo e che offendono beni di rango costituzionale, quali la vita, l’incolumità personale e il diritto alla salute.

Ecco, quindi, il cuore del problema: la questione si fa tanto più controversa e delicata quanto più si ragiona sulle diverse conseguenze sanzionatorie che discendono dall’inquadramento dei fatti nell’una o nell’altra categoria.

Risulta evidente la presenza di un profilo di politica criminale, il quale imporrebbe un intervento dirimente, et semel et pro omnibus, ad opera del legislatore.

Nelle more, non si può che ricorrere agli orientamenti forniti negli anni da dottrina e giurisprudenza, per tentare di individuare linee guida in materia.

2. Orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

Se, come si è detto, il dolo intenzionale è dolo di volontà (in cui, cioè, il soggetto agisce proprio per realizzare quell’evento descritto nella norma incriminatrice), il dolo diretto e quello eventuale si collocano su un piano inferiore solo ed esclusivamente rispetto all’intensità che lega il soggetto attivo alla verificazione dell’evento.

Nel dolo diretto il soggetto si rappresenta l’evento come conseguenza certa o altamente probabile della sua condotta. Nel dolo eventuale volontà e rappresentazione restano ulteriormente sfumate.

Eppure, tutte le forme di dolo devono necessariamente rientrare nel portato dell’art. 43 c.p.

La distinzione, allora, deve necessariamente rinvenirsi sul piano dell’ intensità.

Una differente intensità di rappresentazione e volizione si dà, rispetto alla voluta, probabile o possibile verificazione dell’evento. Il sostrato cognitivo è, quindi, terreno comune.

Secondo l’impostazione classica, l’accettazione del rischio, presente nel dolo eventuale (assente viceversa nella colpa cosciente), potrebbe costituire la linea di demarcazione dei due campi.

Una tale ricostruzione, però, non appare dirimente.

Dal canto suo, la tradizionale formula dell’ “accettazione del rischio” non può dirsi appagante, mentre il binomio “fiducia-convinzione” della non verificazione dell’evento, – che dovrebbe costituire l’intelaiatura della colpa con previsione -, potrebbe essere, a seconda delle diverse prese di posizione, “seria”, “adeguata”, “solida”, “motivata”, in assenza, tuttavia, di affidabili parametri valutativi di una sì sfuggente realtà psicologica.

Ecco, allora, che le teorie intellettualistiche, che vorrebbero circoscritto il dolo eventuale nell’area della probabilità di verificazione dell’evento e la colpa cosciente in quella della sola possibilità, non trovano piena adesione.

Analoga sorte ha trovato la teoria della possibilità, secondo la quale la differenza tra i due coefficienti psicologici andrebbe rintracciata nella consapevolezza “concreta” (per il dolo eventuale) o “astratta” (per la colpa cosciente) del soggetto rispetto all’evento dannoso o pericoloso.

A fronte di tanta incertezza sul piano dogmatico, a soccorrere l’operatore del diritto è intervenuta la cd. formula di Frank.

Secondo tale impostazione, per aversi dolo eventuale occorrerebbe che la realizzazione del fatto sia stata psicologicamente accettata dal soggetto. È necessario, cioè, poter affermare che questi avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto.

Diversamente, nella colpa cosciente, la rappresentazione del verificarsi del fatto in via certa sarebbe stata in grado di trattenere l’agente.

Pur essendo un’ impostazione che rischia di invadere il campo del dolo alternativo, essa concorre a delimitare nettamente la categoria del dolo eventuale (definita dalla stessa Cassazione quale situazione psicologica abbastanza vaga).

Nella formula di Frank è insito il rischio che la valutazione operata dal giudice si concentri più sull’autore che non sul fatto.

Per tali ragioni è stata elaborata la cd. “seconda formula di Frank”.

Operando in veste di correttivo della prima, tale formulazione ritiene sussistere il dolo eventuale nella condotta di chi agisce “costi quel che costi” o, più correttamente, “a costo di provocare l’evento”.

Tuttavia, la differenza tra le due elaborazioni si gioca più su un piano terminologico che ontologico.

Occorre, dunque, rivolgere l’attenzione verso ulteriori ricostruzioni.

Una prima, interessante, impostazione parla di “bilanciamento” dell’attacco ai beni giuridici proveniente da colui il quale consapevolmente impronta la propria condotta al raggiungimento di uno scopo desiderato, anche a costo di sacrificare altri beni giuridici tutelati dall’ordinamento.

Qui, in particolare, l’accento è posto sulle risultanze probatorie.

Altra dottrina ha individuato la figura dell’ homo eiusdem professionis et codicionis. Questi deve essere inteso quale ipotetico “osservatore esterno”, dotato di ponderatezza di giudizio, ricavabile, nel caso concreto, dal giudice, sulla base del cd. “osservatore ragionevole” (da intendersi quale soggetto che agisce in aderenza ad assennati criteri di comportamento e di scelta).

Come si evince chiaramente, la questione della delimitazione dell’area del dolo eventuale rispetto alla categoria della colpa cosciente è dunque problema antico e non completamente sciolto.

Ciò che, tuttavia, pare fin qui potersi affermare è che lo scarto tra dolo eventuale e colpa cosciente debba essere rintracciato nella previsione dell’evento.

Questa, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente, nella volizione dell’azione, ne accetta il rischio, di modo che la volontà investa anche l’elemento rappresentativo.

Per contro, nella colpa cosciente, la verificabilità dell’evento resta un’ipotesi astratta, irreale, che, nella coscienza dell’autore, non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è e non può essere in alcun modo voluta.

Lo schema è quello proprio di una “controvolontà”.

Ecco lo scarto tra i due coefficienti psicologici.

Non si può non evidenziare come la presenza dell’uno o dell’altro coefficiente psicologico necessiti di un puntuale accertamento processuale, rifuggendo dalla tentazione di ascrivere determinate condotte sempre ad una categoria piuttosto che ad un’altra. Solo una valutazione caso per caso, che indaghi sul modo effettivo di atteggiarsi della volontà del soggetto può consentire una piena attuazione dell’art. 27 Cost. E dell’art. 43 c.p.

Focalizzando l’attenzione sulla casistica giurisprudenziale, di centrale importanza ai fini della ricostruzione dei limiti tra le categorie del dolo eventuale e della colpa con previsione risulta l’indagine del noto caso ThyssenKrupp.

La vicenda ha avuto ad oggetto i profili di responsabilità penali ravvisabili in capo ai vertici della società, in conseguenza dell’incendio divampato all’interno dello stabilimento torinese, in conseguenza del quale avevano trovato la morte alcuni operai.

La pronuncia delle Sezioni Unite, pur riguardando numerose e significative questioni (la struttura dell’ art. 437 c.p., la causalità giuridica, l’assunzione di posizioni di garanzia, la delega di funzioni, la responsabilità da reato degli enti immateriali), trova il proprio nucleo centrale nell’analisi relativa all’elemento psicologico del dolo eventuale.

La sentenza effettua un’ analisi minuziosa delle varie figure di dolo e della differente intensità rispetto alla volizione dell’evento.

La teoria accolta è quella cd. volontaristica, secondo la quale il dolo, ai sensi dell’art. 43 c.p., è anzitutto volontà.

È la volontà a giocare un ruolo chiave nella struttura di tutte le forme di dolo.

Secondo le Sezioni Unite, si ha dolo intenzionale quando la rappresentazione del verificarsi del fatto di reato rientra tra l’ insieme di scopi in vista dei quali il soggetto si determina alla condotta, di modo che l’agente persegue intenzionalmente, quale scopo finalistico della propria azione o omissione, un risultato certo, probabile o anche solo possibile.

Lo scarto tra dolo diretto e dolo eventuale viene legato alla rappresentazione del livello di possibilità di verificazione del risultato. A seconda che il confine sia posto attorno alla certezza o alla semplice probabilità, l’area di estensione del dolo diretto si amplia o si restringe, con una complementare e proporzionalmente inversa riduzione o crescita dell’area del dolo eventuale.

Tracciata questa prima linea direttiva, le Sezioni Unite procedono poi ad una puntuale distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente.

Secondo gli Ermellini, dolo e colpa costituirebbero forme di colpevolezza non solo strutturalmente diverse, ma antitetiche. Solo il primo, infatti, esprimendo la più intensa adesione interiore al fatto e la più diretta contrapposizione all’imperativo posto dalla legge, presupporrebbe che il fatto di reato sia oggetto di chiara e lucida rappresentazione.

Il ragionamento segna il tramonto della teoria dell’accettazione del rischio.

La pronuncia prosegue affermando che l’ accettazione del rischio non dimostra nulla e che la teoria per la quale il dolo è rappresentazione negativa dell’evento esclude totalmente l’elemento volitivo. Per tale ragione, ne va affermato il contrasto con il dettato dell’art. 43 c.p.

Sul piano dell’accertamento, invece, occorre che il giudice proceda alla ricostruzione di tutte le circostanze, secondo un preciso e rigoroso schema, rigidamente adattato al caso concreto. In caso di dubbio, dovrà comunque optarsi per la soluzione più favorevole al reo, in virtù del favor rei.

Il dolo eventuale, dunque, non può che essere ricostruito sulla falsariga di tutte le altre figure del dolo, non tralasciando, tuttavia, il fatto che il dolo eventuale presenta una struttura meno nitida, tanto sul piano cognitivo che su quello volitivo.

Del che è buona testimonianza il silenzio del Legislatore, il quale, fin dai lavori preparatori, ha omesso di dettare una nozione puntuale (e dunque univoca) di dolo eventuale.

E, una tale omissione, non può che rivelarsi oltremodo significativa, se si rammenta che all’epoca si confrontavano, quanto all’elaborazione del dolo eventuale le due teorie che, rispettivamente, privilegiavano la volontà e la rappresentazione. Teorie che, allora, vennero affidate alla cognizione giurisprudenziale.

Osservano le Sezioni Unite che la lettura dell’art. 43 c.p. non lasci dubbi sul fatto che, già allora, si intese valorizzare la componente volitiva.

Ai fini di una ricostruzione in termini di dolo,infatti, l’evento deve essere preveduto e voluto quale conseguenza della propria azione od omissione: questo non può concretarsi in un accadimento meramente sperato o desiderato, ma deve consistere nell’esito dipendente dal consapevole attivarsi o omettere.

Dal canto suo, la colpa cosciente, figura definita come “umbratile”, viene resa decifrabile dalla previsione negativa che un fatto di reato non verrà a realizzarsi. Ecco, allora, lo stacco netto rispetto al caso di chi, di fronte alla possibilità che venga realizzato un reato, non superi questi posizione di dubbio. Ove il dubbio permanga, infatti, ha casa il dolo.

Infine, occorre dare conto della teoria della cd. “strategie-criterium” elaborata dal giurista polacco Puppe e talvolta richiamata dalla dottrina italiana.

Secondo tale impostazione, l’imputazione dolosa deve affermarsi laddove la condotta esprima l’adozione di una strategia idonea alla produzione di un evento conforme a quello previsto dalla fattispecie legale, a giudizio di un osservatore ragionevole, operante sulla base di assennati criteri di comportamento e scelta.

E, una tale analisi risulta tanto più utile se si tiene conto del fatto che, oggi, come riconosciuto dalla stessa Cassazione in diverse pronunce, la problematica relativa al corretto inquadramento del dolo eventuale non attiene più, soltanto, ad attività per loro natura illecite.

Anche le cosiddette “attività di base lecite” – tra le quali l’intrattenere relazioni sessuali (con riferimento ai casi degli AIDS carriers), l’esercizio imprenditoriale e la circolazione stradale – si impongono oggi sulla scena penalistica, quali “nuove figure di autore”.

In tutti questi casi, se la previsione è fattore comune di dolo e colpa cosciente, la differenza andrà ravvisata entro il perimetro della volontà.

Si avrà, quindi, dolo eventuale se il rischio e il dubbio che lo circonda siano stati calcolati ed eliminati nella mente del soggetto agente, attraverso una sorta di processo deliberativo, con cui più beni si pongano in successione gerarchica (o strategica), si dà subordinare l’uno all’altro, in nome di una scelta latu sensu economica. Scelta lineare, questa, ben presente nel dolo eventuale.

Diversamente, nella colpa cosciente si vedrà affiorare una controvolontà che, assente nel dolo eventuale, è pervenuta, nell’esperienza giurisprudenziale, a toccare perfino il mondo sfuggente della speranza (di mancata realizzazione dell’evento).

3. Dolo eventuale, colpa cosciente e sinistri stradali

Terreno d’elezione per analizzare la vasta area del dolo eventuale e il suo limite rispetto alla colpa cosciente è rappresentato dalla tematica della circolazione stradale, con particolare riferimento alle ipotesi di incidenti stradali letali.

Tre distinti casi considerati dalla Corte di Cassazione appaiono significativi ai fini della presente analisi.

La prima ipotesi, ha visto la giurisprudenza analizzare il caso dell’incidente stradale causato dalla manovra automobilistica sconsiderata di un soggetto in stato di intossicazione da sostanze stupefacenti.

Nei fatti, il guidatore, assuntore di cocaina ed hashish, sprovvisto di patente e in stato di intossicazione da ashish, procedendo ad una velocità superiore a quella consentita, aveva invaso la corsia opposta di marcia, nonostante la striscia continua, la scarsa visibilità e la torrenziale pioggia in atto. A causa della manovra sconsiderata, la vettura era andata a collidere frontalmente con altra automobile, cagionando la morte del guidatore dell’altra autovettura.

La Corte di Appello aveva riconosciuto la responsabilità dolosa del reo, poiché lo stesso si era reso responsabile di un sinistro analogo mesi prima. Più precisamente, la Corte aveva rintracciato le specifiche del dolo eventuale nei seguenti indici: il reo si era posto alla guida di notte, con tempo avverso, sapendo di aver assunto nel pomeriggio sostanza stupefacente e un ansiolitico, senza prestare ascolto al consiglio del padre di farsi accompagnare dalla madre.

In Cassazione, gli Ermellini avevano tuttavia censurato in diversi punti la pronuncia, evidenziando che, pur di poter emettere una sentenza con una pena elevata e poter dare una risposta “afflittiva” ad un fenomeno dilagante, il dolo era stato scardinato dalla propria naturale sede.

Più segnatamente, la Cassazione aveva evidenziato come l’imputato non si fosse posto alla guida “a costo di investire qualcuno”. Egli, cioè, non aveva affatto voluto l’evento, ma aveva semplicemente agito per raggiungere la propria meta.

Dunque, in alcun modo poteva affermarsi che, ove si fosse concretamente rappresentato l’investimento e la morte di un’altra persona, egli si sarebbe ugualmente determinato alla guida.

Il dolo, infatti, insiste nella rappresentazione e nella volizione dell’evento (e di tutti gli altri elementi costitutivi del reato), e in questo non può che sostanziarsi anche il dolo eventuale.

Del resto tale condotta è già punita dall’art. 589 c.p., che, nel sanzionare l’omicidio colposo, prevede l’aggravante del fatto commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale e, nel perimetro di detta aggravante, quella ulteriore (art. 589 co.3 n 2 c.p., prima della novella l. 41/2016), che riguarda il soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Analogo ragionamento si trova in una diversa pronuncia della Cassazione, relativa ad una vicenda simile.

Nel caso di specie, un automobilista in astinenza da sostanza stupefacente aveva cagionato la morte di quattro persone, investite mentre si trovavano su un marciapiede.

I giudici di legittimità hanno affermato qui che l’accettazione non deve riguardare solo la situazione di pericolo posta in essere, ma deve estendersi alla possibilità che si realizzi l’evento non direttamente voluto, però consciamente prospettatosi.

Diversamente ragionando, si avrebbe la inaccettabile trasformazione di un reato di evento in reato di pericolo.

Infine, si affronta l’analisi del leading case in materia. Il noto caso Lucidi.

Qui il reo, assuntore abituale di cocaina e non più abilitato alla guida, si era posto alla guida di una vettura di grossa cilindrata in zona urbana, procedendo a velocità elevatissima.

Dopo aver attraversato diversi incroci con semaforo rosso, il Lucidi aveva concluso la sua folle corsa falciando due fidanzati che, ignari, avevano correttamente impegnato l’incrocio sul loro motorino.

Inizialmente, il G.U.P. del Tribunale di Roma aveva condannato l’imputato alla pena di anni dieci di reclusione all’esito di giudizio abbreviato.

Il G.U.P., in particolare, in motivazione aveva evidenziato come la condotta alla guida del reo fosse da descriversi come “alla cieca”.

Il Lucidi, cioè, si era posto in una condizione tale da non poter evitare in alcun modo l’evento letale verificatosi.

Ad un tale quadro probatorio, peraltro, doveva aggiungersi la fuga del reo dal luogo del sinistro, finalizzata a eludere qualsiasi responsabilità a suo carico.

In appello, la sentenza veniva ribaltata e il reato sussunto nell’ipotesi di reato di cui agli artt. 589 co.2 e 61 n 3 c.p.

A conclusione della nota vicenda giudiziaria, la Suprema Corte nel 2010 ha posto le basi di quella che è oggi la giurisprudenza in materia.

La volontà dell’evento dannoso – da cui dipende l’esistenza del reato- deve innanzitutto essere tenuta distinta dalla volontà di non osservare le norme (leggi, regolamenti, ordini e discipline) che sono preordinate a evitare quell’evento.

In tal modo, il dolo eventuale deve essere riconosciuto quando si dimostri che nell’agente vi sia stata non una previsione astratta dell’evento (potenzialmente derivante dalle violazioni), ma una concreta previsione dello specifico evento verificatosi.

Per completezza ricostruttiva, occorre dare conto di come, nel caso di specie, si era rivelata particolarmente incidente l’ interpretazione data dalla Corte ad una esclamazione del Lucidi a seguito dell’impatto.

La fidanzata del reo, sentita quale testimone, aveva dichiarato che il Lucidi avesse esclamato la tristemente nota frase “Oddio, li ho ammazzati!”, mostrando così uno stupore e una sorpresa incompatibili con i tratti precipui del dolo eventuale (invero, in aperta distonia rispetto all’interpretazione della frase fatta propria dal Procuratore Generale). Dalle risultanze processuali era emerso, in via non equivoca secondo la Cassazione, che il Lucidi non avesse in alcun modo considerato la possibilità del verificarsi dell’ evento letale.

Neppure lo stato di tossicodipendenza del reo ed il fatto che fosse stato privato mesi prima della patente dovevano essere considerati quali circostanze in diretto nesso di derivazione causale con l’evento, secondo gli Ermellini.

Essi, infatti, non possono che ridursi a fattori riguardanti la personalità del reo, fattori che si pongono fuori da quello stretto perimetro entro cui deve avvenire la ricostruzione del fatto.

Fuori da quella sottile linea d’ombra che ancora oggi separa il dolo eventuale dalla colpa cosciente. 


Bibliografia:
Agamben, G. (1995). Homo Sacer. Il Potere sovrano e la nuda vita. Torino, Italia: Einaudi Editore
Astorino Marino, P. (2018) L’accertamento del dolo. Determinatezza, normatività e individualizzazione. Torino, Italia: Giappichelli Editore
Dumezil, G. (1977). La religione romana arcaica. Milano, Italia: Rizzoli Editore
Fiandaca, G. & Musco, E. (2019). Diritto Penale. Parte Generale. Bologna, Italia: Zanichelli Editore
Garofoli, R. (2019). Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Roma, Italia: Neldiritto Editore
Mantovani F. (2017) Diritto Penale. Parte Generale. Vicenza, Italia: Wolters Kluwer
Puppe, I. (2011). Strafrecht Allgemeiner Teil: Im Spiegel Der Rechtsprechung. Baden-Baden, Deutschland: Nomos Verlagsgesellschaft Mbh & Co.

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