Donazione di cosa altrui? Si può, con la donazione obbligatoria

Donazione di cosa altrui? Si può, con la donazione obbligatoria

I compilatori del codice civile del ’42, nel definire la donazione, hanno fornito l’ennesimo saggio della loro capacità di comprimere, in poche righe, una stupefacente ricchezza di informazioni.

Dalla breve nozione vergata nell’articolo 769 si evince innanzitutto che la donazione è un contratto (nonostante sia collocata nel Libro Secondo, Sulle successioni), con cui si realizza un arricchimento a favore del donatario (con contestuale impoverimento del donatario) ispirato da spirito di liberalità (cioè per soddisfare un interesse non patrimoniale del donante). Nella maggior parte dei casi, la donazione è un contratto traslativo: il donante dispone di un proprio diritto in favore del donatario. Il concetto di disposizione è più ampio di quello di alienazione, perché comprende anche i casi di rinuncia a un diritto: Tizio può trasferire per spirito di liberalità la proprietà dell’appartamento X al figlio Tizietto, ma può anche rinunciare a quel diritto, facendolo così fuoriuscire dalla propria sfera giuridico-patrimoniale.

E’ pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che le donazioni traslative debbano avere per oggetto un bene presente del donante. L’articolo 771 è esplicito: la donazione che comprende beni futuri “è nulla rispetto a questi”, salvo che si tratti di frutti (sia civili, come nel caso degli interessi, sia naturali, come nel caso ad esempio delle mele ancora attaccate ai rami dell’albero) non ancora separati. Il bene non deducibile in contratto deve essere un bene oggettivamente futuro, cioè non ancora esistente in rerum natura.

Ma tra i beni futuri possiamo far rientrare anche i beni altrui?

Se ragionassimo seguendo le conoscenze acquisite in relazione al contratto di compravendita, la risposta sarebbe semplice: no. Il bene futuro è un bene che non esiste ancora, né in natura né nel patrimonio dell’alienante; il bene altrui, invece, esiste in rerum natura, ma non nel patrimonio del venditore. Tuttavia, in materia di donazioni si è ritenuto che la “futurità” del bene non dovesse intendersi soltanto in senso oggettivo, ma anche soggettivo, cioè come bene non ancora esistente nel patrimonio del donante. La lettera dell’art.769 sembra avallare questa interpretazione: la donazione è “il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo di un suo diritto”.

Nonostante la chiarezza linguistica della norma, in dottrina ci sono stati autori che hanno ammesso la donazione traslativa di beni altrui, ad esempio con riferimento alla famigerata ipotesi della cessione con effetti reali immediati della cd. “quotina” (la quota indivisa di uno dei beni facenti parte di un’universalità).

La giurisprudenza di legittimità, invece, a parte l’isolato caso di una famosa quanto controversa sentenza del 2001 (S.C. 1596/2001), ha sempre negato l’ammissibilità di una donazione traslativa avente ad oggetto un bene altrui, appoggiandosi spesso sull’argomento letterale richiamato sopra. Con una storica pronuncia a Sezioni Unite (S.C. 5068/2016), gli Ermellini hanno chiarito una volta per tutto il punto, affermando che una siffatta operazione negoziale sarebbe nulla per difetto di causa, giacché è elemento essenziale del contratto di donazione il fatto che il bene donato esista nel patrimonio del donante.

Come fare, dunque, a realizzare comunque una donazione di bene altrui? La risposta è fornita proprio nel dispositivo della sentenza: attraverso una donazione obbligatoria.

Il codice del ’42, di fatto, ha formalizzato un “doppio tipo” di donazione, in base agli effetti prodotti: la donazione traslativa, produttiva di effetti reali, e la donazione obbligatoria. Torniamo alla lettera dell’articolo 769: “il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione“.

Dal momento che il legislatore non ha specificato quali tipologie di obbligazioni fossero deducibili nel contratto, si ritiene assolutamente pacifico che il donante possa assumere nei confronti del donatario un’obbligazione di dare e impegnarsi a procurargli la proprietà di un bene che non è ancora nel suo patrimonio giuridico. Si tratta di un’operazione assolutamente lecita (che parte della dottrina ha qualificato come “preliminare di donazione”), a patto che siano rispettati tre requisiti: 1)  le parti devono essere coscienti dell’altruità della cosa; 2) tale consapevolezza deve risultare da apposita espressa dichiarazione nell’atto pubblico; 3) deve esserci un’altrettanto espressa assunzione dell’obbligo di procurare l’acquisto (o di far trasferire direttamente il bene dal terzo al donatario, e in questo caso ci troveremmo di fronte all’assunzione di un’obbligazione di facere).

E’ appena il caso di accennare che, in caso di inadempimento dell’obbligo di procurarsi la cosa altrui, è da escludersi l’applicazione dell’articolo 2932 c.c (in materia di esecuzione in forma specifica dell’obbligo assunto con il preliminare), a meno che il donante si sia già procurato la res ma non abbia adempiuto al mero atto della consegna.


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Antonio Villani

Praticante notaio iscritto al Collegio Notarile dei Distretti Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola.

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