Cd/Dvd pirata: la sentenza “Schwibbert” si applica solo alla mancanza del contrassegno SIAE
Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2019, n. 16153
Con la sentenza in epigrafe, la Cassazione ha ribadito un importante principio di diritto in ordine ai reati di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter co. 2, lett. a (Legge sulla Protezione del diritto d’autore) e articolo 648 c.p. (ricettazione).
La vicenda. Con la sentenza del 13 aprile 2018 la Corte d’Appello di Napoli – confermando la decisione del Giudice di primo grado- condannava Tizio e Caio alla pena di mesi 6 di reclusione ritenendoli colpevoli dei reati di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter co. 2, lett. a, capo a e articolo 648 c.p.
Riteneva il Tribunale prima e, dopo, la Corte, che Tizio e Caio avessero illecitamente acquistato, in concorso tra loro, e detenuto per la vendita ai fini di lucro c.a. 100 cd musicali, di cui 24 cd e 38 dvd abusivamente duplicati e privi del contrassegno da parte della SIAE.
Ricorrevano in Cassazione gli imputati.
Motivi di doglianza. Le censure articolate dai ricorrenti riguardavano l’erronea applicazione della legge n. 633 del 1941, articolo 171-ter, co. 2, lett. a e articolo 648 c.p., soprattutto alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale seguita dalla c.d. sentenza “Schwibbert”.
Con tale sentenza, di data 08.11.2007, la Corte di Giustizia Europea si pronunciava in relazione alla compatibilità della normativa italiana – che prevede appunto l’apposizione del contrassegno SIAE- con la direttiva Europea n. 83/189/CEE, la quale aveva istituito una procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e delle regole tecniche, affermando che l’obbligo di apporre il contrassegno SIAE sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, rientra nelle regole tecniche che devono, obbligatoriamente, essere notificate dallo Stato alla Commissione Europea.
Logica conseguenza era che, qualora tale notifica non avvenisse, le suddette regole tecniche non sarebbero potute considerarsi valide nei confronti dei privati.
Nel caso di specie, la comunicazione alla Commissione della regola tecnica avveniva soltanto nel 2009 e, pertanto, al momento di verificazione dei fatti – 2005- la detenzione e la commercializzazione di supporti senza il contrassegno non poteva avere rilevanza penale, avendo chiarito la giurisprudenza di legittimità[1] che “la sola mancanza del contrassegno SIAE, che non sia stato comunicato dallo Stato Italiano alla Commissione in adempimento della normativa comunitaria relativa alle regole tecniche, non può essere utilizzato nemmeno come indizio di una illecita riproduzione o duplicazione”.
Ciò in quanto l’inopponibilità ai privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno fino all’avvenuta comunicazione, lo priva del valore di garanzia di originalità dell’opera.
Logica conseguenza di siffatto ragionamento era che, mancando l’accertamento della provenienza illecita dei beni oggetto dell’imputazione, non poteva ritenersi configurabile nemmeno il reato ex articolo 648 c.p., dovendosi presumere al riguardo che gli imputati avessero proceduto personalmente alle operazioni di duplicazione dei supporti posti in vendita.
Con il secondo motivo, invece, i ricorrenti, in applicazione della disciplina di cui all’articolo 15 c.p., ribadivano la propria assoluzione.
La decisione. La vexata queestio affrontata e risolta dalla Corte inerisce principalmente gli aspetti interpretativi della sentenza “Schwibbert” e la sua concreta applicabilità al caso di specie.
In definitiva, ha infatti affermato la Corte, la suddetta sentenza troverebbe applicazione soltanto se la violazione si riferisse alla mancanza del contrassegno SIAE, e non anche ove, come nella fattispecie esaminata, la violazione sia riferibile anche all’abusiva riproduzione o duplicazione di opere tutelate dal diritto d’autore.
“Ne consegue, quindi, che l’affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine alle fattispecie a loro ascritte risulta immune da censure, essendo stati gli stessi sorpresi dalla Forze dell’Ordine mentre erano dediti all’allestimento di una bancarella predisposta per la vendita di molteplici supporti abusivamente duplicati e forniti di una copertina fotocopiata, ciò a conferma della loro non autenticità.
“Non vi sono peraltro i presupposti per sostenere che siano stati proprio i due ricorrenti gli autori dell’abusiva duplicazione dei CD e DVD, non avendo trovato l’asserzione difensiva alcun conforto probatorio, tanto più ove si consideri che i ricorrenti, rimanendo contumaci, non hanno fornito alcun elemento in tal senso. Da ciò la manifesta infondatezza della doglianza difensiva”.[2]
Alle medesime conclusioni deve, inoltre, giungersi anche con riferimento al secondo motivo di gravame, avendo ribadito la Corte – in applicazione al summenzionato principio di specialità invocato dai ricorrenti- come tale principio non potesse applicarsi al caso di specie, trattandosi di reati che sanzionano condotte ontologicamente eterogenee e che tutelano beni giuridici differenti.
Tale impostazione, peraltro, risulta concorde con la recente giurisprudenza, secondo la quale il principio di specialità di cui all’articolo 15 c.p., “sussiste solo quando gli elementi costitutivi della fattispecie della norma generale siano compresi nella norma speciale che prevede qualche elemento in più di carattere particolarmente qualificante, di modo che l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale[3]”.
Rapporto, questo, che non appare ravvisabile tra i reati in tema di diritto d’autore ed il reato ex art. 648 c.p., per cui il delitto previsto dalla normativa speciale concorre con il reato di ricettazione quando l’agente, oltre ad aver acquistato i supporti contraffatti, li detenga a sua volta per la commercializzazione, come avvenuto nel caso di specie.
In conclusione, quindi, entrambi i motivi di gravame sono stati ritenuti infondati e i ricorsi inammissibili.
[1] Cass. Sez. 3, n. 27109 del 28.05.2009
[2] C. Cass., Sez. 3 Penale, n. 16153 del 15.04.2019;
[3] Cass., Sez. 3., n. 23855 del 16.04.2004;
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Andrea Ribichesu
Nell’anno accademico 2015/2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Sassari Dipartimento di Giurisprudenza, riportando la votazione di 105/110 e discutendo una tesi in diritto privato comparato dal titolo “Responsabilità del produttore e azione collettiva: profili comparatistici”.
È iscritto all’albo dei dottori praticanti Avvocati di Sassari dal 26 Novembre 2015.
Dal 26 Luglio 2018 ha intrapreso una collaborazione con il quotidiano giuridico Giuricivile, Rivista scientifica di diritto e giurisprudenza civile (ISSN: 2532-201X), pubblicata su internet all’indirizzo https://giuricivile.it, ottenendo mensilmente la pubblicazione dei seguenti articoli giuridici riguardanti il diritto civile:
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