È ammissibile l’intervento in giudizio dei sindacati balneari a tutela dei gestori territoriali dei lidi

È ammissibile l’intervento in giudizio dei sindacati balneari a tutela dei gestori territoriali dei lidi

Sull’ammissibilità dell’intervento in giudizio degli enti territoriali, associazioni di categoria e sindacati balneari: illegittimo il diniego di giurisdizione della Plenaria nei confronti dei soggetti portatori proattivi di interessi collettivi in tema di proroghe delle concessioni demaniali marittime. Nota a Cass. Civ., Sez. Un., 23 novembre 2023 n. 32559

 

Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. La vicenda da cui si è sviluppato il successivo contenzioso e il ricorso davanti al TAR Puglia che accoglie le richieste del gestore del lido – 3. L’impugnazione davanti ai giudici di Palazzo Spada da parte del Comune di Lecce e il deferimento della questione all’Adunanza Plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato – 4. Le motivazioni fornite dal Consiglio di Stato nella decisione n. 18 del 9 novembre 2021 adottata dall’Adunanza Plenaria – 5. I motivi di giurisdizione nelle doglianze sollevate davanti alla Suprema Corte di Cassazione avverso la sentenza del G.A. – 6. La complessa e articolata decisione adottata dai giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ., Sezioni Unite, 23 novembre 2023 n. 32559) – 7. Breve analisi sulla decisione degli Ermellini: il riconosciuto diniego di giurisdizione scavalca l’ambito di competenza della Plenaria determinando un eccesso di potere giurisdizionale – 8. Gli effetti della sentenza delle Sezioni Unite sulla questione ancora aperta della proroga del termine di scadenza delle concessioni demaniali balneari al 2023: previsioni e scenari futuri in mano al Consiglio di Stato

1. Premessa introduttiva

L’interventore adesivo nel giudizio ammnistrativo celebrato dinanzi al Consiglio di Stato non ha autonoma legittimazione ad impugnare mediante ricorso per cassazione ex art. 111, u.c., Cost. per “motivi di giurisdizione” la sentenza resa ad esito di esso laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole, salvo che l’impugnazione proposta dall’interventore sia limitata alle questioni specificamente attinenti all’ammissibilità e alla qualificazione dell’intervento medesimo.

È ammissibile la proposizione del ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8 della Cost. per “motivi di  giurisdizione” anche avverso una sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che non abbia  definito il merito del giudizio ma si sia limitata, ex art. 99, comma 4, c.p.a., ad enunciare il principio di  diritto ed a restituire per il resto il giudizio alla sezione deferente, in quanto sussiste un’incondizionata ricorribilità per Cassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi forma di sentenza, senza necessità  di ulteriore scrutinio sulla loro portata decisoria,

La questione relativa alla titolarità di una posizione qualificabile come interesse legittimo collettivo che attribuisce agli enti associativi esponenziali la legittimazione ad agire per la tutela giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo, integra un problema di giurisdizione e in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice ed è deducibile con ricorso in Cassazione ex art. 362 e 111, comma 8 Cost. Pertanto, se la posizione soggettiva fatta valere ha consistenza d’interesse legittimo, il giudice amministrativo, è tenuto ad esercitarlo, incorrendo altrimenti in un diniego o rifiuto della giurisdizione.  

E’ ammessa la legittimazione attiva degli enti associativi esponenziali a intervenire nel processo amministrativo (anche in appello) alle condizioni che:  a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati;  b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione, che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio; restando preclusa ogni iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse astratto al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia.

Sulla base di tali innovative considerazioni, la Corte di Cassazione, Sez. Un., attraverso un’importante pronunzia di considerevole rilievo motivazionale, datata 23 novembre 2023 n. 32559 (Pres. P. D’Ascola – Est: A.P. Lamorgese), ha accolto il ricorso proposto dal Sindacato Italiano Balneari (SIB), l’Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici (ASSONAT), il Comitato Coordinamento Concessionari Demaniali Pertinenziali Italiani, nonché le doglianze sollevate dalla Regione Abruzzo, avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 18/2021([1]) pronunziata in Adunanza Plenaria, che li aveva ingiustamente estromessi dal giudizio (proposto dal titolare di uno stabilimento balneare in impugnazione del diniego di proroga della concessione demaniale al 2033), incardinato in appello davanti ai giudici di Palazzo Spada.

La questione, affrontata in tutta la sua complessità dal Supremo Organo di nomofilachia, e che di fatto annulla la decisione adottata dal Giudice Amministrativo, concerne il riconoscimento dell’interesse legittimo delle associazioni rappresentative di interessi collettivi, nonché di enti istituzionali come le Regioni, a intervenire nel giudizio amministrativo, per la tutela di interessi connessi alla regolamentazione delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative. Interessi che, nella valutazione effettuata dalla Plenaria, sono stati astrattamente disconosciuti dal G.A., senza però esaminare in concreto il contenuto dei loro statuti ovvero senza valutare la loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento.

La pronuncia degli Ermellini, lo si vedrà nel corso dell’analisi della presente trattazione, riapre indubbiamente un nuovo capitolo (almeno dal punto di vista giurisdizionale), sulle proroghe automatiche delle concessioni ai balneari dopo lo stop deciso nel 2021 dai giudici di Palazzo Spada. Inoltre, offre il destro ai giudici della Suprema Corte, per esprimere ulteriori considerazioni e interessanti princìpi di carattere processuale, sul problema della legittimazione all’impugnabilità davanti alla Cassazione delle sentenze da parte dell’Adunanza Plenaria e più in generale sulle questioni sempre attuali che ruotano intorno all’annoso problema della nozione di “motivi di giurisdizione” previsti dal comma 8 dell’art 111 della Costituzione.

2. La vicenda originaria da cui si è sviluppato il successivo contenzioso e il ricorso davanti al TAR Puglia che accoglie le richieste del gestore del lido

Il titolare di una concessione demaniale marittima per uno stabilimento balneare in Puglia, in vista della scadenza del titolo concessorio alla data del 31 dicembre 2020, aveva proposto regolare istanza all’amministrazione comunale di Lecce, al fine di conseguire ai sensi della legge n. 145/2018, la proroga della propria concessione fino al 31 dicembre 2033.

Dal canto suo il Comune di Lecce, respingendo l’istanza presentata dal privato, rivolgeva all’istante formale interpello, con l’intento di conoscere se egli intendesse avvalersi della facoltà di prosecuzione dell’attività ex art. 182 del d.l. 34/2020 convertito con legge n. 77/2020, con contestuale pagamento del canone per l’anno 2021 o in alternativa, rinunciare a tale facoltà e accettare una semplice proroga tecnica della concessione di durata triennale.

Sulla base della risposta formalizzata dall’amministrazione comunale il gestore del lido, decideva d’impugnare di fronte al Tribunale Amministrativo competente, il provvedimento comunale di rigetto dell’istanza di proroga della concessione demaniale marittima, finalizzata a gestire lo stabilimento.

Il TAR Puglia con sentenza favorevole (n. 71/2021), accoglieva in toto le censure sollevate dal ricorrente avverso il provvedimento adottato dall’amministrazione comunale.

3. L’impugnazione davanti ai giudici di Palazzo Spada da parte del Comune di Lecce e il deferimento della questione all’Adunanza Plenaria da parte del Presidente del Consiglio di Stato

Dopo l’accoglimento del ricorso da parte del TAR Puglia, nel giudizio d’appello proposto da parte dell’amministrazione comunale, il Presidente del Consiglio di Stato, attraverso il decreto n. 160/2021, deferiva la soluzione di tre complesse questioni di diritto all’Adunanza Plenaria, rilevanti per la decisione del giudizio.

Nella fase del giudizio dinanzi all’Adunanza Plenaria, erano intervenute a sostegno delle ragioni dell’originario ricorrente (appellato costituito), alcune associazioni di categoria, tra le quali il Sindacato Italiano Balneari (SIB), l’Associazione Nazionale Approdi e Porti Turistici (ASSONAT), il Comitato Coordinamento Concessionari Demaniali Pertinenziali Italiani, la Regione Abruzzo, alcuni enti territoriali e numerosi soggetti privati, titolari di concessioni demaniali marittime.

4. Le motivazioni fornite dal Consiglio di Stato nella decisione n. 18 del 9 novembre 2021 adottata dall’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, con sentenza n. 18/2021, tuttavia, nel dichiarare processualmente inammissibili gli interventi di tutti i soggetti sopra indicati, in relazione ai quesiti sollevati, così stabiliva:

  1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. 34/2020, conv. dalla L. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.

  2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.

  3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedura di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.

I giudici di Palazzo Spada in sintesi, davano atto di come le norme legislative nazionali disponenti la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative fino al 2033 sono da ritenersi in contrasto con il diritto euro-unoniale e devono essere disapplicate sia dai giudici che dalla Pubblica Amministrazione. 

Inoltre, nei chiarimenti motivazionali forniti dal Consiglio di Stato, si ricava che ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalle amministrazioni pubbliche, deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari. Infine, per il Consesso Amministrativo, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere, continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023.

5. I motivi di giurisdizione nelle doglianze sollevate davanti alla Suprema Corte di Cassazione avverso la sentenza del G.A.

Avverso la decisione adottata dalla Plenaria dunque, gli originari interventori (estromessi processuali dal precedente giudizio in appello davanti al G.A.), decidevano di proporre ricorso ai sensi dell’art. 111 comma 8 della Costituzione([2]), per presunto diniego di giurisdizione ed eccesso di potere mostrato dal Consesso Amministrativo.

Le doglianze sollevate da parte ricorrente censuravano in particolare l’Adunanza Plenaria, per avere ritenuto aprioristicamente inammissibile, l’intervento da essi spiegato senza alcun esame concreto del loro statuto (da cui sarebbe risultata palese ed evidente, la loro funzione primaria di rappresentanza e difesa in ambito nazionale, delle istanze ed esigenze delle aziende-turistico-balneari), e della loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento.

In concreto per i ricorrenti, le censure erano ancorate all’idea che il giudice amministrativo aveva rinnegato l’orientamento consolidato dalla giurisprudenza amministrativa ([3]) in tema di ammissibilità degli interventi volontari degli enti esponenziali di interessi collettivi.

Il Comune di Lecce, si costituiva depositando controricorso, attraverso il quale difendeva l’impianto motivazionale della sentenza impugnata.

6. La complessa e articolata decisione adottata dai giudici di Piazza Cavour (Cass. Civ. Sezioni Unite, 23 novembre 2023 n. 32559)

1) Sulla legittimazione generale del soggetto interessato a proporre impugnazioni in posizione di mero interveniente

In via preliminare secondo gli Ermellini, deve valutarsi il tema dell’ammissibilità dell’impugnazione da parte del soggetto in posizione di mero interveniente.

Tutto questo va peraltro chiarito, anche alla luce alla luce della giurisprudenza di legittimità che lo esclude nei casi in cui il ricorso per Cassazione sia proposto da chi abbia spiegato in appello intervento adesivo dipendente. Al riguardo la Suprema Corte che richiama precedenti espressi sul punto dalla (Cass. n. 2818/2018, n. 27528/2016, n. 16930/2013 e S.U. n. 5992/2012), ha affermato che “il principio generale secondo cui l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione a impugnare, subisce una deroga quando l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento”.

La deroga a tale principio è stata applicata con riferimento a pronunzie dei giudici di Palazzo Spada  impugnate ex art. 111 comma 8 Cost. e trova la condivisione delle Sezioni Unite in senso collimante con il costante pensiero offerto dalla giurisprudenza amministrativa la quale sostiene che “il soggetto interveniente ad adiuvandum non è legittimato a proporre impugnazione in via principale e autonoma, salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all’intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali”.

Pertanto “è evidente la legittimazione delle associazioni ricorrenti a impugnare la sentenza dell’Adunanza plenaria”, censurata dai predetti enti, per averli estromessi dal giudizio di appello, negando la loro legittimazione a parteciparvi e, in tal modo, radicalmente conculcando il loro diritto di azione, oltre che di difesa e al contraddittorio”. Pertanto, gli Ermellini hanno ritenuto ammissibile il ricorso per Cassazione proposto dalle associazioni, nonostante la loro qualità di mere intervenienti adesive nel giudizio di appello dinanzi all’Adunanza Plenaria.

Dunque sotto tale primo profilo il ricorso è stato ritenuto ammissibile.

2) La questione dell’impugnabilità in Cassazione delle decisioni dell’Adunanza Plenaria: il superamento dei princìpi espressi dalle stesse Sezioni Unite con sentenza n. 27842/2019

Un secondo tema di carattere preliminare, affrontato dalla sentenza della Suprema Corte, riguarda l’impugnabilità in Cassazione delle decisioni dell’Adunanza Plenaria.

Le stesse Sezioni Unite, infatti, con sentenza n. 27842 del 2019, avevano affermato il principio secondo cui il ricorso per Cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale, “non è ammissibile avverso la sentenza resa nell’esercizio della propria funzione nomofilattica dall’Adunanza Plenaria che a norma dell’articolo 99, comma 4 del c.p.a. non avendo essa carattere decisorio e definitorio neppure parzialmente del giudizio di appello”.

Adesso, tuttavia, secondo le stesse Sezioni Unite, non può darsi continuità a tale precedente, in quanto “l’attitudine al giudicato non costituisce un elemento imprescindibile ai fini della impugnabilità dei provvedimenti giurisdizionali, essendovi provvedimenti insuscettibili di giudicato e tuttavia impugnabili”. Inoltre (con statuizione contraria rispetto a quanto già deciso nel 2019), le Sezioni Unite, nella sentenza in rassegna, hanno affermato “l’incondizionata ricorribilità per cassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi forma di sentenza, senza necessità di ulteriore scrutinio sulla loro portata decisoria” non essendo “consentito neppure al legislatore ordinario far dipendere la ricorribilità per Cassazione delle «sentenze» del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Costituzione, con l’effetto di limitarla, a seconda della composizione dell’organo decidente (sezione semplice o A.P.)”.

Infine, gli Ermellini sottolineano che non sarebbe comprensibile una soluzione che sottraesse al sindacato per eccesso di potere giurisdizionale (previsto a garanzia dell’integrità delle attribuzioni degli altri poteri dello Stato e dell’esercizio del potere giurisdizionale), le sentenze d’appello rese dall’organo di vertice del plesso giurisdizionale amministrativo enunciative di principi di diritto, le quali sono “suscettibili di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri”. (Cass. civ., sez. un., ord. 14 settembre 2020, n. 19084; Cass. civ., sez. un., 17 maggio 2019, n. 13436).

Pertanto, anche sotto tale secondo profilo il ricorso è stato ritenuto ammissibile.

3) Sulla legittimazione delle associazioni territoriali ricorrenti a intervenire nel processo amministrativo

Quanto al merito della questione a esse sottoposta, venendo all’esame della comune doglianza rivolta dai ricorrenti avverso la sentenza impugnata, ed incentrata sull’avere dichiarato inammissibili i loro interventi tempestivamente proposti nella fase del giudizio dinanzi all’Adunanza Plenaria, si deve valutare in primo luogo se essa dissimuli una censura di error in procedendo (in quanto tale estranea al sindacato delle Sezioni unite) o al contrario, colga effettivamente una questione di giurisdizione deducibile ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Cost.

Ebbene per i giudici di Piazza Cavour non è configurabile un mero ed incensurabile error in procedendo, ma un vero “diniego o rifiuto di giurisdizione per avere la sentenza impugnata negato agli enti ricorrenti la legittimazione ad intervenire nel giudizio, sulla base non di specifici e concreti impedimenti processuali ma di valutazioni che negano, in astratto, la titolarità in capo agli stessi enti di posizioni soggettive differenziate qualificabili come interessi legittimi”. Tutto questo nella giurisprudenza civile, trova fondamento nel pensiero espresso dalle stesse le Sezioni unite, le quali, preso atto del diretto collegamento della legittimazione ad agire con la situazione giuridica sostanziale fatta valere dal ricorrente (o interveniente), giungono ad affermare che il rapporto tra processo amministrativo e posizione sostanziale fatta valere (interesse legittimo), è intriso di autonomia solo relativa, poiché “la sede processuale assume una posizione complementare rispetto a quella sostanziale, svolgendo una funzione di autentica individuazione degli interessi sostanziali meritevoli di tutela”; “tale operazione, che tende a identificare nella titolarità di un interesse legittimo la sussistenza della legittimazione ad agire, è il risultato di una lunga operazione giurisprudenziale” che consente di affermare che “la legittimazione ad agire, invero, è da intendere non come mera predicazione ma piuttosto come effettiva titolarità della posizione azionata (Cass. civ., sez. un., 2 agosto 2019, n. 20820).

Analogamente nella giurisprudenza amministrativa, la legittimazione ad agire coincide con la titolarità di una posizione qualificabile come interesse legittimo (Cons. Stato, sez. V, 25 giugno 2018, n. 3923; sez. VI, 24 febbraio 2005, n. 658),e ciò anche quando si tratti di interessi (legittimi) collettivi di determinate collettività e categorie, soggettivizzate in enti associativi esponenziali, legittimati ad agire e intervenire in giudizio” (Cons Stato, sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2236, sez. III, 2 marzo 2020, n. 1467; Ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6; Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9; sez. IV, 9 gennaio 2014 n. 36; sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1478).

Ebbene sotto tale profilo di carattere estremamente più tecnico, gli Ermellini hanno evidenziato che la questione della configurabilità o meno di un interesse (legittimo), suscettibile di tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo “integra un problema di giurisdizione, in quanto attiene ai limiti esterni delle attribuzioni di detto giudice e, pertanto, è deducibile con ricorso alle Sezioni Unite, a norma dell’articolo 362 cpc e 111 comma 8 della Costituzione”.

Sulla stessa direzione si collocano arresti giurisprudenziali (Cass. civ., sez. un., ord., 22 settembre 2023 n. 27177; Cass. civ., sez. un., ord., 1 giugno 2023 n. 15601), i quali stabiliscono che inerisce al giudizio sulla giurisdizione (spettante alle Sezioni Unite), stabilire se la pretesa sostanziale azionata assurga al rango di interesse giuridicamente rilevante (interesse legittimo), o consista in un interesse di mero fatto non differenziato e non giustiziabile. In tal caso nella prima ipotesi, è configurabile il radicamento della giurisdizione amministrativa se la posizione sostanziale dedotta sia effettivamente considerata dall’ordinamento come interesse legittimo”, viceversa nel secondo caso, ci si trova davanti a un difetto assoluto di giurisdizione “mancando in astratto la giustiziabilità della posizione fatta valere”.

Tale circostanza per gli Ermellini, rappresenta concretamente una logica conseguenza della natura sostanziale dell’interesse legittimo “che nella dialettica contrapposizione ai diritti soggettivi fonda il riparto delle competenze giurisdizionali tra giudice ordinario e giudice amministrativo”. Orbene tale concetto “occorre tenerlo nettamente distinto dall’interesse processuale a ricorrere che integra una condizione dell’azione cui si riferiscono alcuni precedenti delle Sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 14 gennaio 2015 n. 475; Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2006 n. 7025)”; ne consegue allora che, se la posizione soggettiva fatta valere ha consistenza di interesse legittimoil giudice amministrativo, essendo fornito della giurisdizione, è tenuto ad esercitarla, incorrendo altrimenti in diniego o rifiuto della giurisdizione, vizi censurabili dalle Sezioni unite, ai sensi dell’articolo 111, comma 8, Cost. (Cass. civ., sez. un., 29 dicembre 2017 n. 31226; sez. un., 6 febbraio 2015 n. 2242; sez. un., 19 ottobre 2011 n. 21581; sez. un., 16 dicembre 2010 n. 25395; sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30254; sez. un., ord., 13 giugno 2006 n. 13659”.

I giudici di Piazza Cavour ricordano che l’ipotesi del rifiuto o diniego della giurisdizione, si verifica ogniqualvolta le Sezioni unite accertino all’esito di un controllo contenutistico “che la sentenza impugnata disconosca, effettivamente, la tutelabilità in astratto delle posizioni soggettive azionate (aventi natura di interessi legittimi o, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi), senza che occorra una formale declaratoria in tal senso da parte del giudice amministrativo di ultimo grado”.

Ricordano i giudici della Cassazione che la giurisprudenza amministrativa da tempo, ha delineato le coordinate interpretative della tutela giurisdizionale della categoria degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità di persone e categorie (anche professionali) affidata agli enti associativi esponenziali, iscritti in elenchi speciali previsti dalla legge o in possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza.

Per i giudici della Suprema Corte “è costante l’orientamento che ammette la loro legittimazione attiva a intervenire nel processo amministrativo (anche in appello) alle condizioni che: a) la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati; b) l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione, che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio”. In tal senso continuano gli Ermellini che resta vietata e inibita “ogni altra iniziativa giurisdizionale sorretta dal solo interesse astratto al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia” (Cons. Stato, Ad. plen., 20 febbraio 2020, n. 6, cit.; ex plurimis, Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9, cit.; sez. V, 12 ottobre 2020, n. 6037; sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2236, cit.; sez. IV, 24 luglio 2019, n. 5229; sez. III, 7 agosto 2019 n. 5605; sez. V, 14 gennaio 2019 n. 288; sez. V, 24 novembre 2016 n. 4957; sez. V, 4 novembre 2016 n. 4628).

Dall’analisi delle argomentazioni contenute nella sentenza del G.A. (impugnata per estromettere dal giudizio tutti gli interventi in causa), emerge “non un mero e incensurabile error in procedendo ma, al contrario, un diniego in astratto della tutela giurisdizionale connessa al rango dell’interesse sostanziale (legittimo) fatto valere dagli enti ricorrenti, con l’effetto di degradarlo a interesse di mero fatto non giustiziabile”.

Nel merito della vicenda della lamentata violazione da parte del Consiglio di Stato, occorre sottolineare che nella sentenza emessa dalla Plenaria “è stata omessa qualsiasi valutazione degli statuti delle associazioni ricorrenti, i cui interventi sono stati globalmente dichiarati inammissibili, con conseguente loro estromissione dal giudizio, al pari degli interventi di altre associazioni ed enti eterogenei, anche istituzionali, come la Regione Abruzzo, non già all’esito di una verifica negativa in concreto delle condizioni di ammissibilità dei loro interventi, ma come effetto di un aprioristico diniego di giustiziabilità dell’interesse collettivo proprio delle stesse associazioni ed enti”. In sostanza, la pronunzia del G.A. ha precluso l’accesso alla giurisdizione delle predette associazioniche avevano fatto valere un interesse anche proprio e diverso da quello individuale del destinatario del provvedimento negativo: da qui l’evidente collegamento della loro posizione giuridica con quella fatta valere dal concessionario impugnante il provvedimento amministrativo di diniego della proroga”.

Dunque per logica conseguenza, avere escluso pregiudizialmente tutte le associazioni e gli enti dalla partecipazione alla fase del giudizio dinanzi all’Adunanza Plenaria, che di fatto era la sede nella quale sarebbero stati enunciati proprio i principi sostanzialmente normativi e vincolanti per i giudici e anche per le amministrazioni pubblicheè sintomo di diniego o arretramento della giurisdizione in controversia devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo”, e ciò tanto più alla luce del principio che giustifica e legittima “la proposizione dell’intervento adesivo nel giudizio amministrativo d’appello alle condizioni che vi sia alterità dell’interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe la proposizione del ricorso in via principale e che l’interveniente possa subire, anche in via indiretta e mediata, un pregiudizio dalla decisione d’appello o possa tutelare una situazione di vantaggio attraverso la definizione della controversa (Cons. Stato, sez. II, 17 novembre 2022 n. 10142; Cons. Stato, Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 13)”.

Sotto un ultimo profilo, la Cassazione ha evidenziato come “non si può condizionare l’ammissibilità dell’intervento delle associazioni esponenziali di interessi collettivi “alla verifica di un loro interesse specifico identico a quello fatto valere dal titolare della concessione marittima (a ottenere una singola proroga)”. Infatti gli Ermellini sottolineano che le associazioni agiscono a tutela di interessi collettivi collegati e convergenti ma non confondibili con l’interesse specifico individuale fatto valere da chi (il titolare di una concessione) è parte principale nel processo”.

Nel riconoscere poi il reale interesse della Regione Abruzzo estromessa anch’essa dal giudizio, la decisione della Suprema Corte, richiamando un orientamento espresso in passato anche dai giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, Sez. IV, n. 8683/2010), si è indirizzata a valorizzare il ruolo degli enti territoriali come “soggetti esponenziali degli interessi della collettività di riferimento, con connesso riconoscimento di un’ampia legittimazione a partecipare al giudizio amministrativo, anche al di fuori di fattispecie attinenti alla sfera delle competenze specificamente riservate agli enti medesimi”.

In conclusione per la Suprema Corte, si è trattato di un diniego o rifiuto della tutela giurisdizionale sulla base di valutazioni affrettate che, “negando in astratto la legittimazione degli enti ricorrenti a intervenire nel processo, conducono a negare anche la giustiziabilità degli interessi  collettivi (legittimi) da essi rappresentati, relegandoli in sostanza al rango di interessi di fatto la sentenza impugnata, di conseguenza, è affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione”.

La sentenza impugnata, di conseguenza è affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato, sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto ad una materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo”, senza tuttavia accogliere la richiesta di enunciare i principi di diritto nell’interesse della legge sulle questioni trattate nei restanti motivi, dichiarati assorbiti. Non si può che rinviare al Consiglio di Stato perché si pronunci nuovamente su di esse, “anche alla luce delle sopravvenienze legislative, avendo il Parlamento e il Governo esercitato, successivamente alla sentenza impugnata, i poteri normativi loro spettanti.

7. Breve analisi sulla decisione degli Ermellini: il riconosciuto diniego di giurisdizione scavalca l’ambito di competenza della Plenaria determinando un eccesso di potere giurisdizionale

Alla luce delle argomentazioni svolte può farsi una prima valutazione.

La Suprema Corte ha chiarito che, i motivi di doglianza sollevati da parte ricorrente esemplificabili nel riconoscimento della titolarità di una posizione definibile come interesse legittimo, hanno ad oggetto una questione di giurisdizione.

I giudici della Cassazione in particolare, hanno riconosciuto che l’esclusione dei soggetti dal giudizio di appello (effettuata senza una concreta e specifica valutazione delle necessarie condizioni di ammissibilità dei loro interventi), costituisce manifestazione evidente di un diniego o rifiuto di giurisdizione. Tutto questo per il nostro sistema giudiziario, tende a tradursi concretamente in una forma evidente di eccesso di potere giurisdizionale dal momento che è di ostacolo alla tutela di un interesse legittimo collettivo, retrocedendolo rectius degradandolo a un semplice interesse di mero fatto, come tale non tutelabile dal nostro ordinamento.

Il principio fondamentale che gli Ermellini intendono ribadire è, ancora una volta, quello secondo il quale, ogni ente esponenziale di interessi collettivi, ontologicamente possiede tutte le ragioni giuridiche e quindi il diritto d’intervenire in giudizio per la difesa di quegli stessi interessi, economici e di territorio, che essi stessi rappresentano, purchè gli effetti del provvedimento impugnato, si risolvano in una lesione diretta delle loro finalità istituzionali, e non siano considerati una semplice sommatoria degli interessi dei singoli associati.

La decisione della Suprema Corte, quindi non tutela soltanto l’accesso alla giustizia per gli entri rappresentativi d’interessi collettivi ma pone anche dei paletti e dei limiti esterni al giudice amministrativo, nell’interpretate il proprio ambito di competenza, evitando così che possano verificarsi eccessi di potere che ledano i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione.

8. Gli effetti della sentenza delle Sezioni Unite sulla questione ancora aperta della proroga del termine di scadenza delle concessioni demaniali balneari al 2023: previsioni e scenari futuri in mano al Consiglio di Stato

La Suprema Corte, si è tenuta lontana dall’esprimere considerazioni di merito sulla vicenda in oggetto, annullando la sentenza dei giudici di Palazzo Spada in Plenaria, soltanto ed esclusivamente per una ragione di tipo procedurale.

Di fatto essa, non ha però espresso alcuna valutazione circa la legittimità delle proroghe automatiche e l’applicazione alle concessioni balneari della c.d. Direttiva Bolkestein (n. 123/2006) che prevede l’obbligo della messa a gara per il rilascio delle stesse. Trattasi di un aspetto che assume capillare importanza da un lato, tenendo in considerazione la fondamentale pronunzia adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 20 aprile 2023 (la quale peraltro, ha ribadito con fermezza, l’obbligo di applicare quanto stabilito dalla Direttiva europea alle concessioni), dall’altro in relazione al fatto che recentemente, il 16 novembre 2023, la Commissione Europea ha diffidato formalmente lo Stato italiano a conformarsi entro due mesi, prefigurando un ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE per accertare la violazione degli obblighi nascenti dai Trattati.

Motivo per cui, ben si comprende come il rinvio operato dalla Suprema Corte al giudice amministrativo, assume una doppia importanza ed estrema rilevanza: il Consiglio di Stato infatti, dovrà esprimersi ancora su profili di estrema attualità, tra cui quello delle proroghe legislative del termine di scadenza delle concessioni demaniali in essere dopo il 31 dicembre 2023, rispetto alle quali la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 18/2021, lo si ricorda ancora, aveva affermato che le proroghe, al pari di ogni altra disciplina o strumento comunque diretto ad eludere gli obblighi unoniali, sono da considerarsi certamente in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice ma anche dalle singole amministrazioni.

Gli Ermellini del resto, cassata con rinvio la sentenza del Consiglio di Stato, hanno chiarito che spetterà a quest’ultimo nella pienezza del contradditorio integrato, “pronunciarsi nuovamente, anche alla luce delle sopravvenienze legislative”, e quindi degli interventi normativi medio-tempore posti in essere dal nostro ordinamento, considerato che Parlamento e Governo, hanno esercitato i loro poteri soltanto successivamente alla sentenza impugnata.  Il riferimento è naturalmente indirizzato agli articoli 3 e 4 della legge n. 122 del 5 agosto 2022 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), la quale, ha disposto un’ulteriore proroga a fine 2024 delle concessioni marittime scadute, contestualmente vietando alle pubbliche amministrazioni di pubblicare nelle more nuovi bandi di gara, abrogando altresì la proroga delle concessioni balneari al 2033 disposta dalla precedente legge 145/2018.

In realtà, va anche dato atto che al di là del formale rinvio operato al giudice amministrativo da parte della Suprema Corte, il Consiglio di Stato ha già dichiarato illegittima l’ultima proroga disciplinata per legge, attraverso una recente pronunzia (Sez. VI, 1 marzo 2023, n. 2192), motivo per cui la probabilità di un ripensamento è ridotta, salvo stravolgimenti giurisprudenziali, davvero al minimo.

Certo non si può trascurare che le coordinate strutturali delineate nel 2021 dal Consesso Amministrativo in Plenaria, risultano meno solide o quanto meno al momento, messe in discussione, con la conseguenza che in Italia, incomberà alle singole amministrazioni la valutazione in ordine alla disapplicazione della proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime nelle località balneari.

 

 

 

 

 

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([1])Per completezza del quadro ricostruttivo, va ricordato che, principi analoghi a quelli indicati dalla sentenza annullata dalla decisione della Suprema Corte, sono stati invero affermati anche dalla coeva pronunzia dei giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, Ad. Plen., 9 novembre 2021 n. 17), contro la quale però, non risulta essere stato incardinato alcun ricorso per Cassazione ai sensi del comma 8 art. 111 Cost. e a cui ha fatto seguito la decisione del C.G.A., sez. giur. 24 gennaio 2022 n. 116 il quale ha definito il merito della questione sottoposta alla sua attenzione, facendo applicazione proprio dei principi di diritto posti dal Consiglio di Stato nella sentenza gemella. Senza dimenticare che, in relazione ad entrambe le pronunzie n. 17 e 18 del 2021, è altresì intervenuta recentemente anche la Consulta, la quale, attraverso la pronunzia n. 154/2022, ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato contro tali atti da alcuni parlamentari uti singuli. Si segnala poi che, sul tema delle proroghe delle concessioni balneari, è di recente nuovamente intervenuta, Corte di giustizia U.E., sez. III, 20 aprile 2023, C-348/22, mettendo in luce, in risposta al quesito pregiudiziale sollevato dal TAR Puglia, sez. I, 11 maggio 2022 n. 743, che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili, può essere valutata, secondo un approccio generale e astratto (a livello nazionale), un approccio caso per caso  (basato sul territorio costiero) o anche attraverso un approccio misto.
([2])L’articolo 111 della Carta Costituzionale al comma 8 così dispone: “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.
([3])La giurisprudenza amministrativa ha da tempo delineato le coordinate della tutela degli interessi legittimi collettivi e, quindi, della legittimazione attiva a intervenire nel giudizio amministrativo di determinate comunità e categorie, affidata agli enti esponenziali iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori o in possesso dei requisiti individuati in via pretoria. Segnatamente, detta tutela viene accordata laddove il provvedimento controverso determini una lesione diretta dello scopo istituzionale dell’associazione e non di interessi imputabili ai singoli associati; l’interesse tutelato deve inoltre essere comune a tutti gli associati e non solo a una parte di essi.  Ricorrendo tali condizioni, l’associazione “è abilitata a esperire l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità” (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 6/2020).

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