“E-commerce”: definizione e origini
L’e-commerce identifica l’acquisto, la vendita, l’ordine e il pagamento in forma elettronica di prodotti, utilizzando un’infrastruttura di rete.
Tra le sue peculiarità, l’abbattimento delle barriere geografiche e l’ultraterritorialità delle operazioni economiche è sicuramente un aspetto che interessa il diritto dell’epoca attuale in quanto determina la crisi del monopolio statale della regolamentazione giuridica.
Il commercio elettronico può essere considerato al contempo prodotto e fonte della globalizzazione, nonché terreno fertile di coltura di nuove fonti normative che, abbandonata la struttura “piramidale” dello Stato autoritario, assumono l’inevitabile struttura “a rete” nella quale i diversi sistemi di produzione di regole di condotta devono integrarsi reciprocamente (si veda P. GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica (2002), in Paolo Grossi, a cura di G. ALPA Roma-Bari, 2011, 203-204: «la vecchia immagine della piramide, speculare al vecchio sistema normativo, viene sostituita da un’immagine che non evochi necessariamente una sgradita scansione gerarchica; e i sociologi del diritto – ma anche i giuristi più all’avanguardia sulle nuove trincee – parlano di rete, (…) nel senso (…) di sostituire all’immagine piramidale potestativa autoritaria quella di un sistema di regole non poste l’una sopra o sotto l’altra, bensì sullo stesso piano, legate l’una all’altra da un rapporto di reciproca interconnessione. Regole che non troveranno la loro legittimazione in un’unica fonte suprema immedesimata in chi detiene il supremo potere politico, ma il più delle volte in un moto spontaneo di quella realtà varia e mobile che è il mercato»).
Grazie all’abbattimento dei tradizionali limiti di ordine temporale gli operatori economici possono raccogliere ordini di acquisto ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, senza tenere conto dell’orario di chiusura dell’attività commerciale o della chiusura dei giorni festivi: il cliente può acquistare ciò che desidera quando vuole, e la comodità del ricevere la merce direttamente a casa è un importante valore aggiunto.
L’estrema facilità da parte degli acquirenti nel reperire e comparare le offerte, senza necessità di alcuno spostamento fisico, incrementa le dinamiche concorrenziali. Dunque, il risparmio di cui godono i consumatori è duplice: di tempo e di denaro. Inoltre, il risparmio investe anche le imprese, grazie alla riduzione dei costi di esercizio, generata dalla maggiore automazione dei processi produttivi e distributivi.
Le imprese della New economy devono essere flessibili per innovarsi a qualsiasi cambiamento e, per poter competere in un mercato globale, devono farsi conoscere utilizzando la rete attraverso la costruzione di un sito web. Quest’ultimo può avere diverse funzioni – come informazione, comunicazione e vendita – e permette alle imprese medesime di fornire al cliente una comunicazione e promozione personalizzate, un’offerta personalizzata, una transazione personalizzata, un’assistenza personalizzata. Anche sotto questo punto di vista il vantaggio è duplice: maggiore visibilità per i professionisti, che potranno raggiungere un bacino molto più ampio di potenziali clienti; maggiore personalizzazione dei beni e dei servizi per i consumatori, preso atto che l’interattività è un aspetto che i navigatori della rete pretendono.
Da ultimo, è il mercato in generale a fruire dei vantaggi generati dal commercio elettronico, grazie all’emersione di nuovi settori commerciali – non realizzabili in un contesto tradizionale – favoriti dalla possibilità di esecuzione della prestazione direttamente tramite Internet.
Il nostro legislatore, così come quello comunitario, pur riferendosi espressamente al commercio elettronico in diversi provvedimenti legislativi, non ne ha fornito un’esplicita definizione normativa. Nella direttiva 2000/31/CE, emanata per offrire un primo livello di armonizzazione in materia di commercio elettronico, così come nel d.lgs. n. 70/2003 di recepimento, il legislatore, anziché inaugurare la definizione di commercio elettronico, ha preferito avvalersi di quella, già esistente, di “servizi della società dell’informazione” (art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 70/2003).
Per quanto riguarda l’Europa, i primi elementi utili a livello definitorio si riscontrano nella comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni del 16 aprile 1997 (COM (97) 157 def.) dal titolo “Un’iniziativa europea in materia di commercio elettronico”; in ambito nazionale, invece, è utile richiamare il documento elaborato dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato del 30 luglio 1998, “Linee di politica industriale per il commercio elettronico”.
In entrambi i documenti, non aventi valore normativo e quindi non vincolanti, il commercio elettronico viene identificato, sostanzialmente, con lo svolgimento di attività commerciali per via elettronica, poste in essere a distanza ma non necessariamente on-line, basate sull’elaborazione e/o sulla trasmissione dei dati in forma digitale, a prescindere dalla natura o dalla tipologia dei beni e dei servizi commercializzati, dall’onerosità o dalla gratuità degli stessi per il loro destinatario, nonché dallo status – consumatore o professionista – o dalla natura – persona fisica o giuridica – di quest’ultimo. Tra le attività di commercio elettronico elencate nel documento ministeriale vengono annoverate la commercializzazione per via elettronica di beni e servizi, la distribuzione on-line di contenuti in formato digitale, l’effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie o di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione.
La comunicazione della Commissione europea introduce la distinzione tra commercio elettronico diretto e commercio elettronico indiretto: il primo può ravvisarsi nell’ipotesi di «ordinazione, pagamento e consegna on-line di beni e servizi immateriali quali software informatico, materiali di intrattenimento o servizi informativi su scala globale»; il secondo invece consiste in «un’ordinazione per via elettronica di beni materiali, la cui consegna fisica è pur sempre effettuata tramite canali di tipo convenzionale, quali la posta o i corrieri commerciali». Più precisamente, può sostenersi che nel commercio elettronico diretto, avente ad oggetto esclusivamente beni immateriali, tutte le fasi del rapporto contrattuale vengono poste in essere tramite il sistema telematico: promozione di beni e servizi, presentazione dell’offerta ed eventuale trattativa, conclusione del contratto ed esecuzione delle prestazioni da parte di entrambe le parti contraenti. Nel commercio elettronico indiretto, invece, resta esclusa dal procedimento on-line la sola esecuzione delle prestazioni di una o più parti. Tali prestazioni vengono eseguite attraverso canali di tipo tradizionale a fronte della natura materiale dei beni o comunque, anche in caso di servizi, per concorde volontà dei contraenti.
Il significato del termine “commercio elettronico” è mutato con il passare del tempo.
Agli albori del suo sviluppo indicava il supporto alle transazioni commerciali in forma elettronica, generalmente fornito ricorrendo a una tecnologia denominata Electronic Data Interchange (EDI) introdotta nei primi anni Settanta del secolo scorso, con l’obiettivo di realizzare lo scambio diretto di documenti tra aziende direttamente tra i rispettivi sistemi informativi computerizzati, al fine di supportare le relazioni commerciali (ad esempio, il trasferimento elettronico di fondi, in particolare nel sistema bancario; lo scambio degli ordini di borsa; la gestione dei rapporti abituali tra grossisti e distributori o tra una società e la rete dei propri agenti). Tale sistema permetteva, in sostanza, l’invio diretto computer-to-computer di messaggi e documenti necessari all’esecuzione di una transazione, riducendo al minimo l’intervento – sia operativo che decisionale – di addetti umani, per rendere più efficienti le relative procedure.
L’EDI era basato su reti di comunicazione telematica di tipo “chiuso” e, dunque, consentiva esclusivamente l’accesso a elaboratori appartenenti a soggetti autorizzati, previamente identificati, già legati da una relazione contrattuale, di tipo commerciale o associativo. Un apposito “accordo quadro” regolava i rapporti giuridici tra le parti. In particolare, si concordavano le modalità di accesso e di utilizzo della rete telematica, la validità e l’efficacia giuridica da attribuire all’attività contrattuale posta in essere tramite gli elaboratori elettronici, nonché la sua rilevanza sul piano probatorio e il regime di responsabilità.
Gli elaboratori elettronici avevano, all’esordio, dimensioni imponenti, costi notevoli e una elevata difficoltà di utilizzo.
Dopo che le reti locali, generalmente chiuse, hanno permesso la connessione e quindi la comunicazione tra i propri pc ed altri elaboratori appartenenti ad un’altra rete, che adoperavano lo stesso linguaggio per lo scambio di dati, le interconnessioni tra aree anche distanti sono confluite in reti sempre più vaste, che hanno dato origine a numerose internet: termine – caratterizzato dalla lettera iniziale minuscola – che indica qualunque insieme di reti fisicamente distinte, ma interconnesse da un determinato protocollo in modo da formare un’unica rete logica (Tale definizione è riportata da A. G. PARISI, Il commercio elettronico, in Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, S. SICA e V. ZENO-ZENCOVICH, Cedam, 2015, 392).
Quando attualmente si parla di commercio elettronico si fa riferimento all’insieme di attività poste in essere tramite la rete Internet, che è una species del genus reti telematiche, o meglio la Rete delle reti, connotata dall’uso del protocollo di comunicazione TCP/IP (Transmission control protocol/Internet protocol), in grado di coprire l’intero globo terrestre. Il linguaggio impiegato è l’HTML (o Hyper Text Mark-up Language).
Si sono aggiunte delle funzioni che possono venire denominate in modo più accurato come e-commerce, cioè l’acquisto di beni e servizi attraverso il World Wide Web – la navigazione in modalità ipertestuale – ricorrendo a server sicuri (ad esempio: HTTPS, un apposito protocollo che crittografa i dati sensibili dei clienti contenuti nell’ordine di acquisto allo scopo di tutelare il consumatore) dove sono utilizzati carrelli elettronici e servizi di pagamento on-line, come le autorizzazioni per il pagamento con carta di credito.
Il commercio elettronico dei nostri giorni, pertanto, si caratterizza per l’uso di reti “aperte”, che pregiudicano a monte il ricorso a contratti normativi volti a disciplinare i rapporti giuridici con tutti i soggetti interconnessi con il medesimo sistema, ed è la culla di relazioni giuridiche intercorrenti non solo tra operatori commerciali, ma anche tra questi ultimi e i consumatori.
Si può con sicurezza affermare che Internet ha trasformato il commercio elettronico da semplice scambio di dati tra imprese in una vera attività commerciale in cui i siti web funzionano come negozi virtuali, annullando la distanza tra l’azienda produttrice ed il consumatore finale.
Alla luce di questa breve analisi, suscita stupore la constatazione di una contraddizione insita nel fenomeno in esame.
Da un lato, l’e-commerce sta vivendo oggigiorno una crescita vertiginosa, tanto da assumere inedite vesti: sono nati l’m-commerce (o mobile commerce), conseguenza del fatto che il telefono cellulare, o meglio lo smartphone, è oggi il principale strumento di collegamento con la rete, e l’f-commerce (o social commerce), che indica la diffusione del fenomeno nei social network – Facebook in primis – che costituiscono un luogo virtuale di interazione sociale in cui gli utenti condividono informazioni e opinioni su prodotti, servizi, brand e imprese.
Dall’altro lato, ancora attuale è il fenomeno del c.d. digital divide, termine tecnico utilizzato in riferimento alle disuguaglianze nell’accesso e nell’utilizzo delle tecnologie della società dell’informazione e della comunicazione ICT causate da molteplici fattori, individuali (soglia di povertà, analfabetismo informatico, ecc.) o infrastrutturali (assenza di strutture telematiche o di strumenti per l’interconnessione). Divario, disparità, disuguaglianza digitale significano in sostanza la difficoltà di alcune categorie sociali, o di interi Paesi, di usufruire di tecnologie che utilizzano una codifica dei dati di tipo digitale rispetto ad un altro tipo di codifica precedente, quella analogica.
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Federica Signoretti
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