È giusto escludere dal cd. bonus 600 euro gli amministratori di società?
A seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 (cd. Decreto Cura Italia) ha riconosciuto, nell’art. 27, una specifica indennità pari, per il mese di marzo, ad euro 600,00 – cd. Bonus 600 euro – “ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e ai lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla medesima data, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie”. Tale indennità è stata confermata anche per il mese di aprile e, con alcune limitazioni e modifiche per il mese di maggio, dall’art. 84 del Decreto Legge n. 34 del 19 maggio 2020 (cd. Decreto Rilancio).
Dalla lettura del testo dell’art. 27 non è chiaro se tale indennità spetti anche agli amministratori di società che sono tenuti, al pari dei collaboratori coordinati e continuativi, all’iscrizione nella Gestione Separata dell’Inps.
Né alcun chiarimento è pervenuto dalla relazione, sia illustrativa che tecnica del Decreto Cura Italia, come pure dalla Circolare Inps n. 49 del 30 marzo 2020 la quale si è limitata a precisare che “ai collaboratori coordinati e continuativi con rapporto attivo alla medesima data del 23 febbraio 2020, iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge n. 335/1995, non titolari di trattamento pensionistico diretto e non iscritti, alla data di presentazione della domanda, ad altre forme previdenziali obbligatorie” e che “i collaboratori coordinati e continuativi destinatari della disposizione in argomento devono, quindi, essere iscritti in via esclusiva alla Gestione separata con il versamento dell’aliquota contributiva in misura pari, per l’anno 2020, al 34,23%”. Né alcun chiarimento è pervenuto dal Decreto Legge approvato il 19 maggio 2020 che per il mese di aprile si limita ad estendere l’indennità di cui all’art. 27 del Decreto Cura Italia “ai soggetti già beneficiari” dell’indennità “per il mese di marzo” e, per il mese di maggio a richiamare le medesime categorie dei “liberi professionisti titolari di partita iva” e dei “lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione Separata dell’Inps” (art. 84 del Decreto rilancio).
Si sono sviluppate due diverse tesi che si fondando su considerazioni di natura diversa.
La tesi negatoria, sostenuta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, si fonda sulla considerazione che “gli amministratori di società non sono titolari di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa in quanto il compenso percepito deriva da una delibera dell’assemblea sulla base di quanto previsto dal codice civile e dallo statuto” (si vedano gli Approfondimenti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro pubblicati il 31 marzo 2020). In questo senso si è in effetti espressa la Cassazione a Sezioni Unite che, pronunciandosi sulla natura del rapporto tra un amministratore ed una società di capitali, ha affermato che quello che lega il primo alla seconda non è un rapporto di lavoro di tipo parasubordinato o autonomo ma “un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.” (sentenza n. 1545 del 20 gennaio 2017). Si tratta di un orientamento giurisprudenziale consolidato, riaffermato di recente nelle ordinanze della Cassazione n. 345 del 13 gennaio 2020 e n. 285 del 9 gennaio 2019.
L’Inps, ente erogatore dell’indennità, sembra aver accolto questa tesi: risulta infatti che le istanze presentate dagli amministratori di società siano state rigettate con la motivazione che gli istanti non sarebbero titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
La tesi affermativa si fonda invece su di una considerazione di carattere previdenziale. Se infatti, dal punto di vista civilistico il rapporto tra amministratore e società sembra escluso dal novero dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, dal punto di vista previdenziale tale rapporto è inquadrato, dall’anno 1996, nell’ambito delle collaborazioni coordinate e continuative. Ed infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 26 della Legge n. 335 dell’8 agosto 1995 “A decorrere dal 1° gennaio 1996, sono tenuti all’iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l’INPS, e finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti […] i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49” del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986 che nella formulazione vigente ratione temporis nel definire i redditi di lavoro autonomo assimilato faceva riferimento a “uffici di amministratore, sindaco o revisore di società” ed “altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”.
La soluzione della questione impone dunque di interrogarsi sulla eccezione da riconoscere alla categoria dei “lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa” prevista nell’art. 27 del decreto Cura Italia, se quella civilistica affermata dalla Corte di Cassazione nelle pronunce sopra richiamate o quella previdenziale riconosciuta dalla normativa sopra indicata.
Nell’attesa di un chiarimento da parte del legislatore e nonostante l’orientamento contrario dell’INPS che potrebbe presto intervenire con una circolare esplicativa della sua posizione, si ritiene di dover privilegiare la tesi più estensiva che fondandosi su di considerazioni di carattere previdenziale fa propendere per una riconduzione degli amministratori di società, quando meno ai fini dell’applicazione del decreto Cura Italia, nella categoria dei collaboratori coordinati e continuativi e per il riconoscimento in loro favore del cd. Bonus 600 euro previsto dall’art. 27. L’esclusione dal beneficio di questa categoria di lavoratori rischierebbe infatti di porsi in contrasto con lo spirito del Decreto che è quello di tutelare le categorie di soggetti penalizzati dall’emergenza epidemiologica in corso, tra i quali non possono non rientrare coloro che amministrano una società e che sono tenuti, al pari dei lavoratori titolari di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, all’iscrizione nella Gestione Separata Inps e all’assoggettamento del loro compenso alla medesima aliquota contributiva.
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Avv. Chiara Magistrini
Avvocato esperto in diritto del lavoro a Roma.