«È la sua parola contro la mia»: chi vince tra la vittima e il colpevole?

«È la sua parola contro la mia»: chi vince tra la vittima e il colpevole?

Spesso quando si è impelagati in un processo, si crede che, in assenza di prove, nessuno potrà essere condannato solo in base alle semplici dichiarazioni delle parti in causa, poiché altrimenti si rischierebbe di punire un innocente. Ma la faccenda non è sempre così scontata.

Per comprendere quanto siano importanti le prove nell’ambito processuale, è necessario fare una distinzione tra il processo civile e quello penale.

Nel processo civile, infatti, è quasi sempre onere dell’attore dimostrare il proprio diritto, affinché il giudice possa riconoscerglielo (cfr. art. 2697 c.c.). Se, per esempio, Tizio sostiene di aver ricevuto un danno per colpa di Caio ex art. 2043 c.c. dovrà provare, oltre all’esistenza di tale danno, anche il nesso causale fra condotta ed evento, ovvero che quel determinato fatto sia attribuibile alla condotta di Tizio e non ad altri[1]; pertanto, laddove tale dimostrazione non avvenga, il giudice non potrà condannare Caio a risarcire alcunché. Da ciò si evince che, almeno in linea di massima, il processo civile è senz’altro più duro da affrontare per chi vuole far valere un proprio diritto rispetto a chi viene accusato di aver commesso un illecito.

Tuttavia, il discorso si capovolge quando si è nell’ambito di un processo penale, il quale non può finire, come si suol dire, in ”parità”, ma è necessario arrivare o ad una condanna o ad un’assoluzione. Ovviamente, per arrivare a questo risultato occorre dare ragione o a chi accusa o a chi viene accusato: e nella maggior parte dei casi, è la presunta vittima ad avere la meglio. Ciò perché, anche se non vi sono prove concrete per dimostrare la sussistenza o meno di un reato, le semplici dichiarazioni della presunta vittima hanno valore probatorio, e pertanto sono ex se sufficienti a far condannare qualcuno; con la conseguenza che sarà l’accusato a dover dimostrare la sua innocenza per evitare la condanna (cfr. Cass. n. 25680/2016). In altre parole, se Tizio affermasse che Caio ha cercato di ucciderlo e Caio non riuscisse a provare di essere estraneo ai fatti, sarebbe quest’ultimo a rischiare concretamente, e ciò anche nel caso in cui Tizio dichiarasse il falso.

Tale principio, nonostante possa sembrare al quanto ingiusto, si basa però su due principi fondamentali.

Innanzitutto, è da precisare che non sempre quando si configura un reato ci sono le condizioni necessarie per riuscire a dimostrarlo. I reati, infatti, possono avvenire anche in assenza di testimoni o di qualunque mezzo idoneo a far comprendere chi sia il colpevole. Si pensi per esempio a chi è vittima di una violenza sessuale ma, sfortunatamente, al momento in cui è avvenuto il fatto nessuno si trovava nei dintorni: è ovvio che, in tale scenario, sarebbe al quanto difficile punire il colpevole, che di conseguenza potrebbe continuare a commettere il medesimo reato senza mai essere scoperto.

Dunque, appare logico che per evitare questi problemi, si cerca solitamente di dare maggior valore alle dichiarazioni della vittima. Il che, naturalmente, non significa che il presunto colpevole sia già definitivamente condannato, avendo il diritto di provare la propria innocenza; e anche qualora non ne fosse in grado, non è da escludere che possa essere comunque assolto. Le dichiarazioni della vittima, infatti, hanno valore probatorio solo nella fase iniziale del processo, alla fine della quale spetterà al giudice verificare che tali dichiarazioni non siano contraddette da altri elementi. Non a caso, l’art. 533 c.p.p. prevede che il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se l’imputato risulta colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio», ossia ai limiti della certezza assoluta[2].

La seconda ragione per cui la parola dell’accusante ha di solito un peso maggiore rispetto a quella dell’imputato risiede nel fatto che, durante un procedimento penale, le due parti hanno obblighi differenti di fronte al giudice. Chi rivolge un’accusa ha, ex art. 497 c.p.p. l’obbligo di affermare sempre la verità e di non nascondere nulla di quanto è a conoscenza, poiché diversamente commetterebbe reato. Lo stesso discorso non vale, però, per l’imputato, che essendo sottoposto solo agli obblighi dell’art. 503 c.p.p. non ha alcun obbligo di dire la verità, indipendentemente dal fatto che sia colpevole o innocente, potendo quindi liberamente mentire senza commettere alcun reato[3].

Davanti al giudice, si presenta, dunque, la seguente situazione: da una parte c’è l’accusante che ha l’obbligo di dichiarare il vero, sapendo che in caso contrario sarà egli stesso a commettere reato, e dall’altra parte c’è l’accusato che è consapevole di poter fare dichiarazioni false senza alcun pericolo di aggravare la sua posizione. In questa circostanza, il giudice tenderà, nella maggior parte dei casi, ad attribuire più credibilità alla parte accusante, la quale è decisamente svantaggiata, essendo sottoposta a un obbligo che invece l’imputato non ha. Tuttavia, anche in questo caso spetterà sempre al giudice accertare che la versione dell’accusante sia attendibile e priva di contraddizioni.

Riguardo poi all’eventualità che le dichiarazioni della presunta vittima siano false, è da precisare che non sempre ciò è sufficiente affinché la persona ingiustamente processata possa controdenunciare il suo accusatore. Sebbene infatti in una situazione simile possa configurarsi il reato di calunnia, esso si verifica solo qualora la persona che ha rivolto l’accusa sia consapevole dell’innocenza del denunciato; diversamente, chi accusa taluno in buona fede, ossia nell’erronea convinzione che egli fosse colpevole, non commette alcun reato.

Inoltre, anche nel caso in cui ci siano gli estremi per procedere ad una denuncia per calunnia, il risultato è tutt’altro che facile da raggiungere.

In primo luogo, c’è da tenere in considerazione che per poter denunciare qualcuno per calunnia, occorre sempre attendere la fine del processo relativo all’accusa ingiusta e, soprattutto, l’imputato deve essere assolto con formula piena, nel senso che deve risultare che egli fosse totalmente estraneo al reato contestatogli[4]. Dunque, non basta che il procedimento non sia finito con una sentenza di condanna, poiché in tale scenario rientrano anche le ipotesi in cui l’imputato venga assolto per insufficienza di prove o per intervenuta prescrizione, che tuttavia non consentono di accertare la sua innocenza.

Il secondo problema in cui si può incorrere è dato dal rischio di estinzione del reato di calunnia, che si prescrive dopo che sono trascorsi almeno sette anni e sei mesi a partire da quando è stato commesso il reato stesso, ovvero da quando è stata presentata la falsa denuncia. Poiché, come già accennato, è necessario aver celebrato tutto il processo, c’è la concreta possibilità che, nel momento in cui esso si sarà concluso, sia già passato troppo tempo e, di conseguenza, sia ormai tardi per instaurare un nuovo processo prima che scada il termine di prescrizione ex art. 157 c.p.

 

 

 

 

 


[1] Il codice civile nulla dice in merito al nesso causale fra la condotta e l’evento; tuttavia, esso può essere ricavato tramite un’attenta lettura dell’articolo 2043 c.c. con particolare riferimento all’espressione «che cagiona […] un danno ingiusto», desumendosi che deve essere quello stesso fatto ad aver cagionato l’evento (tale concetto è, inoltre, noto in ambito legale con la locuzione latina condicio sine qua non).
[2] È qui che si evidenzia l’altra importante differenza con il processo civile, nel quale non è necessario superare il ragionevole dubbio, essendo sufficiente dimostrare che quel determinato evento avviene nella maggior parte dei casi.
[3] L’art. 503 c.p.p. fa richiamo solo agli obblighi previsti dagli artt. 498 e 499, ma non anche a quello ex art. 497, che prevede l’obbligo di dire la verità; di conseguenza, l’imputato ha la piena facoltà di dichiarare il falso.
[4] Da ciò deriva anche l’impossibilità di sporgere denuncia per calunnia prima che si sia concluso il processo poiché in tale accezione, la denuncia stessa, con estrema probabilità, verrà archiviata.

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