È lecito l’ambulatorio in condominio se il divieto non è espressamente accettato nel rogito

È lecito l’ambulatorio in condominio se il divieto non è espressamente accettato nel rogito

Una fondazione aveva concesso in comodato una sua proprietà ad un’associazione benefica che aveva destinato l’immobile ad interventi di assistenza a favore di persone bisognose; la comodataria aveva, quindi, destinato l’unità ad ambulatorio medico.

Successivamente il condominio aveva deciso, tramite delibera assembleare, di non autorizzare la destinazione d’uso delle unità immobiliari ad ambulatorio medico per contrarietà all’art. 3 del regolamento condominiale.

La proprietà aveva impugnato la delibera, non ritenendo opponibile nei suoi confronti il regolamento condominiale. Si era costituito in giudizio il condominio chiedendo il rigetto della domanda ed era intervenuta volontariamente anche la comodataria a sostegno delle tesi dell’attrice.

Il primo grado. Il Tribunale aveva accolto la domanda, dichiarando la nullità della delibera che vietava la destinazione d’uso dell’unità immobiliare dell’attrice, ritenendo che l’art. 3 del regolamento di condominio che inibiva qualsiasi attività dei condomini nelle proprietà esclusive incompatibile con le norme igieniche, con la tranquillità degli altri condomini o con il decoro dell’edificio e con la sua sicurezza, non poteva dirsi opponibile alla fondazione.

Tale regolamento, infatti, non risultava trascritto, né il titolo d’acquisto recava alcuno specifico riferimento ad esso, limitandosi ad affermare come alla compratrice competesse la proporzionale quota di comproprietà sulle parti comuni dell’edificio.

Neppure valeva a rendere opponibile il regolamento di condominio all’attrice il richiamo fatto nel rogito al titolo di provenienza del venditore, imponendo l’eventuale rinvio al regolamento un riferimento esplicito ed inequivoco.

L’appello proposto dalla fondazione. Viceversa la Corte territoriale aveva affermato che il regolamento doveva ritenersi opponibile poiché nel contratto di compravendita tra il precedente proprietario e l’acquirente si attribuiva la proporzionale quota di comproprietà condominiale nelle parti comuni dell’ edificio, come per legge e regolamento e si dichiarava che l’immobile proveniva dal precedente proprietario tramite atto al quale le parti facevano ampio richiamo.

Nel precedente rogito, l’acquirente aveva, infatti dichiarato di ben conoscere ed accettare il regolamento condominiale indicato in tutti i suoi estremi formali.

La Corte d’appello dichiarava, quindi, che l’attività di ambulatorio medico per extracomunitari non in regola col permesso di soggiorno, svolta dalla comodataria era in contrasto con la clausola sub 3) del regolamento stesso.

Nonostante il regolamento non vietasse esplicitamente un’attività medico/ambulatoriale e nonostante i locali di proprietà della fondazione avessero un ingresso autonomo rispetto al portone dell’edificio condominiale, il notevole accesso di persone nell’ambulatorio e l’attitudine di questo a divenire luogo di incontro e di aggregazione tra extracomunitari irregolari ed anche nomadi venivano ritenuti dalla Corte lesivi delle esigenze di tranquillità dei condomini.

La definitiva non opponibilità del divieto. La Corte di Cassazione con sentenza n. 6357/2022, da ultimo coinvolta nella vicenda, ha spiegato che le restrizioni alle facoltà inerenti al godimento della proprietà esclusiva contenute nel regolamento di condominio volte a vietare lo svolgimento di determinate attività costituiscono servitù reciproche; queste ultime devono perciò essere approvate mediante espressione di una volontà contrattuale, e quindi con il consenso di tutti i condomini.

La loro opponibilità ai terzi, che non vi abbiano espressamente e consapevolmente aderito, rimane subordinata all’adempimento dell’onere di trascrizione ai sensi degli art.li ex art.li 2659 Codice Civile, comma 1, n. 2, e art. 2665 Codice Civile.

In particolare, l’esigenza dell’unanimità dell’approvazione delle clausole del regolamento che costituiscano servitù sulle parti comuni è imposta dall’art. 1108 Codice Civile, comma 3, mentre la costituzione contrattuale di servitù che restringono i poteri e le facoltà sulle singole proprietà esclusive suppone che il documento sia sottoscritto dai rispettivi titolari.

In assenza di trascrizione, le disposizioni del regolamento che stabiliscono limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che prenda atto in maniera specifica, nel medesimo contratto d’acquisto, del vincolo reale gravante sull’immobile.

Non basta, dunque, una generica, e perciò irrilevante, accettazione del regolamento da parte dell’acquirente, essendo invece necessaria, ai fini dell’opponibilità di una disposizione istitutiva di servitù, una dichiarazione di specifica conoscenza, nell’ultimo atto di acquisto, dell’esistenza delle reciproche servitù (Cassazione Civile n. 24188/2021, Cassazione Civile n. 21024/2016, Cassazione Civile n. 6769/2018). Circostanza non verificatasi nel caso in esame.


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