È reato fare urbex (Urban Exploration)? Analisi dei rapporti con l’art. 633 c.p.
Castelli, dimore storiche, complessi industriali abbandonati e del passato sono presenti in tutte le regioni italiane e nonostante versino in stato di incuria finiscono per diventare mete di visita degli esploratori urbani. E’ proprio la visione di luoghi abbandonati, decadenti ed antichi ad accendere l’interesse esplorativo. Bisogna tuttavia effettuare considerazioni di carattere giuridico per appurare la legalità di tale attività, capire come non sconfinare nell’illecito ma soprattutto comprendere se l’urban exploration può integrare il reato di cui all’articolo 633 del Codice penale denominato “invasione di terreni o edifici”.
La norma in oggetto, posta nel titolo XIII relativo ai delitti contro il patrimonio del libro II del Codice penale, sanziona penalmente chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o trarne altrimenti profitto. L’elemento oggettivo o il c.d fatto tipico del reato è quindi configurato da una rapida lettura per il solo fatto di accedere all’interno di una proprietà. La giurisprudenza ha infatti chiarito che la condotta di invasione è integrata per il solo fatto di accedere senza titolo alla proprietà non essendo sufficiente che essa avvenga con modalità di natura violenta. Non dovrebbe quindi intendersi nel significato etimologico del termine quale azione di forza sulla totalità di beni in quanto è stato sancito che la nozione di invasione non si riferisce all’aspetto violento della condotta, che può anche mancare, ma al comportamento illegale di colui che si introduce arbitrariamente e cioè contra ius, perché privo del diritto di accesso[1].
La presente posizione giurisprudenziale, operativa e consolidata sul piano applicativo, che realizza la corrispondenza tra invasione e ingresso-introduzione non può non essere però oggetto di critica ampliativa partendo dal fatto che il termine invasione vuole indicare un disvalore aggiuntivo rispetto al mero ingresso o circolazione compiuta dagli esploratori urbani anch’essa senza titolo e pertanto arbitraria. Tale posizione sarebbe infatti deducibile dalla lettura in combinato disposto dell’articolo 633 “Invasione di terreni o edifici” e dell’articolo 637 “ ingresso abusivo nel fondo altrui” del Codice Penale che puniscono parzialmente una medesima condotta. La norma di cui all’articolo 637 C.p. punisce chiunque entra nel fondo altrui recinto in maniera stabile, l’articolo 633 C.p. punisce invece chi invade arbitrariamente terreni.
L’utilizzo di diversi termini, ingresso e invasione, non possono che indicare due azioni che pur concretizzandosi in una condotta simile, ovvero il fatto di entrare in una porzione di proprietà, se ne differenziano come disvalore. Il concetto di invasione non può non rappresentare una condotta diversa e di gravità maggiore in quanto ulteriormente sanzionata in maniera più incisiva rispetto all’ingresso di cui all’articolo 637 C.p.. Pertanto l’ingresso(art 637 C.p.) e Invasione( 633 C.p.), nonostante entrambe avvengano senza titolo autorizzatorio del proprietario se ne distinguono sul piano penale.
Pertanto sarebbe opportuno tendere ad una interpretazione aggiuntiva del termine invasione andando a ricomprendervi, sotto il profilo del fatto tipico, non solo il mero accesso senza titolo prescindente da violenza ma un accesso senza titolo che presupponga come evento la stabile permanenza tendente ad escludere in maniera assoluta, potenziale o di fatto, l’esercizio del diritto di godimento e fruizione da parte del proprietario. A dimostrazione di tale tesi ci sarebbe, in primis il tenore letterale, il diverso trattamento sanzionatorio e poi l’esistenza di un rapporto di specialità dell’articolo 633 C.p. rispetto all’articolo 637 C.p.. Il reato di invasione di terreni e edifici assorbe, secondo il principio di assorbimento, non rendendo possibile il relativo concorso formale di reati, il delitto di ingresso abusivo in fondo altrui[2].
Ulteriormente in altra considerevole giurisprudenza ben è emerso che non una mera turbativa del possesso è sufficiente a determinare una invasione ma soltanto quella che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell’edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus[3]. In altro senso quell’ingresso arbitrario sine titolo deve essere orientato, anche se solo potenzialmente, al raggiungimento di una stabile e duratura immissione nel possesso come evento.
La presente situazione si dovrà desumere dal comportamento del soggetto agente, come la stabile presenza sul luogo o anche una presenza non stabile, poiché magari impedita prontamente, che tuttavia risulti effettivamente rivolta all’occupazione dell’immobile o terreno[4]. La condotta invasione potrà desumersi anche e da eventuali equipaggiamenti che dimostrino in maniera inequivocabile la volontà di raggiungere l’evento del possesso quali sistemi di chiusura, lucchetti o materiale per costruire opere[5] o qualsiasi altro bene dal quale emerga la volontà di stabilirsi in loco. Questo principio, seppur non espresso nella norma, sarebbe implicitamente previsto andando quindi ad escludere permanenze di carattere momentaneo non caratterizzate da una apprezzabile durata temporale[6] come penalmente rilevanti. Per ultimo, a sostegno dei ragionamenti svolti, giova conoscere la ratio sottesa alla scelta del legislatore dei primi anni del 900” che si fondava, come si nota nella relazione al codice penale, nella volontà di sanzionare quei comportamenti finalizzati a incidere la disponibilità del fondo e strutture su di esso costruite in seguito al fenomeno delle occupazioni delle terre che si verificarono dopo il primo conflitto mondiale.
Volendo quindi trarre finali conclusioni riepilogative in ordine all’elemento materiale del reato si può quindi affermare, anche alla luce della giurisprudenza, che il concetto di invasione presuppone più di un semplice ingresso o transito momentaneo ma un ingresso-occupazione del bene[7]andando quindi ad escludersi come penalmente rilevante la semplice permanenza nel fondo o edificio altrui, contro la volontà dell’avente diritto, non proceduta dall’attività di invasione[8]. Alla luce di ciò, la condotta dell’esploratore urbano che sfruttando aperture e assenza di recinzioni idonee ad impedire l’accesso, entra in terreni o edifici abbandonati realizzando quindi un mero passaggio limitato temporalmente non integrerebbe una invasione, descritta dalla norma e non sarebbe integrato il fatto tipico di cui all’articolo 633 C.p. proprio perché, attesa la natura abbandonata del bene, non si realizzerebbe quell’apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento.
La nozione ampia di invasione quale ingresso-occupazione riverbererebbe non a caso la sua influenza nell’elemento soggettivo del reato. Il legislatore ha infatti previsto, come requisito di punibilità, la presenza di un dolo specifico quale elemento soggettivo del reato[9] ovvero la volontà di occupare o trarne altrimenti profitto. Il dolo specifico è una delle tante forme di dolo previste dal codice e quindi ideata dal legislatore al fine di limitare la punibilità a solo quei casi in cui l’agente agisca per fini particolari[10]. E’ quindi di conseguenza vero che laddove il soggetto, pur agendo volontariamente, agisca per un fine diverso da quello previsto, andrà esente da pena.
Il dolo specifico che deve animare il soggetto che commette l’invasione deve essere quindi retto dal fine di occupare o trarne altrimenti profitto. Bisogna quindi cercare di analizzare il significato del termine “ al fine di occupare” e al fine di “trarne altrimenti profitto” in quanto una diversa interpretazione potrebbe portare con se effetti diversi. Al fine di occupare, se si effettuasse una interpretazione restrittiva, sarebbe equivalente al fine di prendere anche possesso del bene. In tal caso gli esploratori urbani, nel momento in cui entrano in terreni o edifici abbandonati prendono possesso di fatto del bene. Se invece si cerca di recuperare tale nozione dal diritto civile avremmo un senso leggermente diverso: occupare starebbe infatti a significare una modalità con la quale il soggetto apprende materialmente il bene al fine di far scaturire su di esso un diritto di proprietà. Non a caso con il termine occupazione, che trova riferimento nell’articolo 923 e ss. del Codice civile, si vuole indicare uno dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario. L’unico problema che farebbe però protendere per una non applicazione di tale definizione è il fatto che tale istituto giuridico è relativo ai soli beni mobili che siano allo stesso tempo delle res nullius.
Pertanto il termine occupazione, essendo carente altra definizione, non può che orientarsi su un senso diverso orientando la sua interpretazione alla luce del bene giuridico tutelato dalla norma. Per “ fine di occupazione” bisognerebbe intendere quello specifico fine di prendere possesso allo scopo di realizzare su di esso uno stabile insediamento che vada ad esplicare la volontà di escludere il titolare del diritto dal godimento del bene.
L’elemento soggettivo del reato, pur se fosse assente il fine di occupare, potrebbe però essere ugualmente integrato dal “fine di trarne profitto”. Bisogna quindi concentrarsi sull’accezione di profitto attesa che essa non è di pacifica determinazione. Con il termine profitto si vuole senza dubbio intendere un vantaggio di natura economica che il soggetto trae. Non a caso il termine profitto, nell’ambito del diritto processuale penale, deve essere inteso come utilitas che il soggetto trae o potrebbe trarre a livello economico atteso che il concetto di prodotto si estrinseca in un bene materiale. Non mancano tuttavia posizioni dottrinali che interpretano il concetto di profitto in senso ampio andandovi a ricomprendere un concetto depatrimonializzato che ricomprenda anche situazioni di vantaggio spirituale, affettivo, religioso, artistico, superstizioso, letterale, scientifico, solidaristico, erotico[11]. Se si scegliesse questa via interpretativa, ovvero di ricomprendere un qualsiasi altro vantaggio anche morale, potrebbe quindi ben configurarsi l’elemento soggettivo del reato degli esploratori urbani. Essi in tal senso, non animati da una volontà di occupazione o di profitto in senso stretto, sono animati da una volontà di conoscenza ed esplorativa.
Tale visione però , peraltro non recentissima, non può essere convincente, soprattutto in relazione alla norma oggetto della presente pubblicazione ma più in generale alla luce di una analisi sistematica della ratio e della funzione penalistica del dolo specifico. La funzione, frutto di una scelta di politica criminale, sarebbe quella di escludere la punibilità al di là di uno specifico fine individuato dal legislatore. La depatrimonializzazione del concetto di profitto andrebbe quindi a vanificare la funzione di limitazione della punibilità del fatto che il dolo specifico assolve all’interno della fattispecie incriminatrice.
Alla luce di tale considerazione il concetto di profitto deve quindi essere ristretto concettualmente alla sfera di vantaggi economici che il soggetto può trarne e non in un generico fine[12]. In tal senso la sola consapevolezza dell’illegittima invasione di altrui bene non vale di per se ad integrare il dolo specifico richiesto per la sussistenza del reato di cui all’articolo 633 del C.p in quanto deve essere finalizzato dalla volontà di occupare o trarne un profitto[13] o utilità economica diretta o anche indiretta[14][15].
Viste le considerazioni fatte possiamo quindi affermare una generale incompatibilità dell’attività di esplorazione urbana di edifici abbandonati, decadenti ed accessibili con la fattispecie di reato di invasione di terreni o edifici(art. 633 C.p) in primis perché la mera introduzione ovvero passaggio temporalmente limitato non atto ad incidere in maniera sensibile il bene proprietà non integra una invasione e oltretutto non lede il bene giuridico tutelato dalla norma; alla luce di ciò gli urban explorer che accedano a tali siti non dovranno compiere un attività di invasione ovvero ingresso-occupazione, ad esempio portando materiali per chiudere accessi per eventuali usi futuri. Ci si dovrà quindi limitare ad un rapido passaggio senza nessuna altra azione se non quella di osservazione.
Anche se l’autorità dovesse però interpretare in maniera molto restrittiva il termine invasione quale mero accesso, l’esploratore urbano dovrà fare riferimento al fatto che in nessun modo la condotta era finalizzata ad occupare o trarne profitto perché in tal caso il reato potrebbe ben essere integrato. La condotta dell’esploratore che ad esempio faccia sopralluoghi per fare foto da vendere, pubblicare opere da cui trarre guadagno o proporre percorsi a pagamento potrebbe al contrario essere penalmente rilevante. Pertanto l’unico fine che può essere alla base di tali attività deve essere il solo fine esplorativo.
Le attività poste al di fuori degli elementi costitutivi della norma saranno pertanto utili a configurare responsabilità penali. In tal senso, l’operatore di polizia che di trovi chiamato in tali situazioni dovrà ben valutare l’animus con il quale è stata compiuta l’azione.
Si badi bene però che l’esploratore urbano, nell’esercizio delle sue attività, potrà ben vedersi configurati fatti reato laddove nell’entrare in terreni che precedono proprietà alteri, distrugga o deteriori beni strumentali posti a tutela della proprietà. L’ingresso in fondi perfettamente recintati con siepi, reti o altri strumenti idonei ad impedire l’accesso configura ex se un altro reato ovvero quello di accesso abusivo al fondo altrui di cui all’articolo 637 C.p. e tale norma non richiede finalità specifica come nell’articolo 633 C.p ma un dolo generico caratterizzato dalla mera volontà di entrare. E’ quindi deducibile che l’ingresso in luoghi abbandonati che siano perfettamente chiusi sia da ritenersi illecita attività. L’urban explorer dovrà poi ulteriormente astenersi dal sottrarre e impossessarsi di oggetti (reato di furto ex art 624 C.p) o commettere danneggiamenti che espongono a responsabilità di tipo civile ex articolo 2043 C.c.
[1] SI veda in tal senso Cass.pen. 22 dicembre 2003, n. 49169.
[2] Si veda in tal senso Cass.pen. Sez., II, 23 marzo 2011 n. 11544.
[3] Cit. Cass. 6492/2003 Rv. 223597 – Cass. 38725/2009 Rv. 245259.
[4] Cit. Cass.pen., Sez. II, 8 febbraio 2011, n. 11544.
[5] Si veda in tal senso Cass.pen., Sez., II, 23 marzo 2011 n. 11544.
[6] Cfr. Cass. 2253/1969 Rv. 115239 – Cass. 5603/1976 Rv. 135748 – Cass. 42786/2008.
[7] Vedi Cass.pen., Sez. II, 25 settembre 2007, n. 37139. Cass.Pen., Sez. II, 9 ottobre 2008, n. 40822
[8] La Suprema Corte ha infatti affermato, facendo considerazioni in ordine all’elemento materiale del reato che l’articolo 633 del C.p punisce la condotta di colui che si introduce dall’esterno all’interno di un fondo o edificio con la volontà di occuparlo o trarne profitto andando quindi ad escludere come penalmente rilevante la condotta di colui che metta in atto una semplice permanenza, contro la volontà dell’avente diritto, senza una precedente attività di invasione (Cass.pen., Sez IV, 12 aprile 2006, n. 15610.
[9] Ai fini dell’integrazione di un reato non è necessario che il soggetto agente commetta condotte o realizzi l’evento descritto nella norma essendo altresì necessario in configurarsi dell’elemento soggettivo. In altri termini, per poter punire è necessario poter muovere un rimprovero di colpevolezza ovvero che il soggetto abbia commesso il fatto in maniera dolosa o colposa.
[10] Il classico esempio della manualistica che far capire il concetto è in relazione al reato di furto il quale punisce l’impossessamento e sottrazione del bene mobile altrui al fine di trarne profitto. Andrà quindi esente sa pena, ad esempio, Tizio che sottrae e si impossessa di un bene altrui al solo fine di fare uno scherzo o animato ad esempio da un’altra volontà.
[11] Vedi Cass.pen., 24 giugno 1998, in CED, rv. 211184, e in dottrina, C.BACCAREDDA BOY-S. LALOMIA, “I delitti contro il patrimonio mediante violenza”, in Trattato di diritto penale parte speciale, diretto da G.Marinucci e E.Dolcini, VIII, Padova, 2010, p.147 e ss.
[12] Cfr. Cass.pen. Sez. II, 27 ottobre 2009, n. 42597.
[13] Cit. Cass,pen. Sez II, 28 marzo 2003, n. 14779.
[14] Le occupazioni studentesche di edifici scolastici non configurano il reato di cui all’art.633 C.p, ma altri reati, in quanto animati da dolo specifico diverso.
[15] La Suprema Corte di Cassazione ha infatti ritenuto integrato il reato di cui all’art. 633 nei confronti di un soggetto che occupata una rampa, reclamava da essa pubblicità in ordine ad uno spettacolo musicale.
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