È responsabile il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici e generici lamentati dal paziente, non prescrive esami più approfonditi

È responsabile il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici e generici lamentati dal paziente, non prescrive esami più approfonditi

La III sezione civile della Corte di Cassazione con ordinanza del 30/11/2018, n. 30999, è intervenuta in materia di responsabilità medica e sanitaria sul delicato tema della sintomatologia aspecifica affermando, all’esito di un esteso ragionamento giuridico, che è colposa la condotta del medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tra le molteplici e non implausibili diagnosi.

Sul punto vi era contrasto tra i giudici del merito che propendevano maggiormente per l’opposto orientamento secondo il quale la responsabilità medica va esclusa in ragione della aspecificità della sintomatologia lamentata dal paziente, rispetto alla malattia che lo aveva condotto successivamente al decesso, nonostante il personale sanitario di pronto soccorso non avesse trattato con urgenza l’uomo e non avesse diagnosticato la patologia, poiché dinanzi a sintomi generici non avrebbe potuto evitarne il decesso (cfr. ex multis Tribunale di Catanzaro, sentenza 21 marzo 2018).

La vicenda prende le mosse dal decesso di un uomo, avvenuto nel 2001 a seguito delle conseguenze della rottura di un aneurisma cerebrale.

Questi a seguito di uno svenimento si recava, su consiglio del medico curante, presso il pronto soccorso ove il medico che lo visitava si limitava a prescrivere unicamente una visita cardiologica ed il controllo della pressione sanguigna; cinque giorni dopo si recava presso il medesimo ospedale a causa di una preesistente cefalea ed un secondo medico si limitava a prescrivere un farmaco, il laroxyl, cioè un farmaco usato per la depressione e per le cefalee ricorrenti, senza altri particolari accertamenti diagnostici.

Purtroppo però poco dopo il paziente venne colto da una emiparesi sinistra e, finalmente, sempre nello stesso ospedale, venne sottoposto ad un esame TAC del cranio, che rivelò la presenza d’un ematoma intracranico, dovuto alla rottura d’un aneurisma, veniva quindi trasferito presso altro nosocomio ove veniva sottoposto ad intervento chirurgico di evacuazione dell’ematoma e di chiusura della lesione che l’aveva provocato (“clippaggio” dell’aneurisma).

Ciononostante il paziente decedeva a seguito delle conseguenze del pregresso ematoma intracranico.

I figli, all’epoca minori, e la moglie citavano in giudizio la ASL ed i medici dinanzi al Tribunale di Nuoro per non aver prescritto al marito e padre, esami più approfonditi ritenendo quindi i sanitari dell’ospedale imperiti e negligenti nella gestione del paziente, dal momento che non lo sottoposero tempestivamente a quegli esami (come una TAC del cranio) che avrebbero potuto rivelare la presenza dell’aneurisma, e consentire più tempestive e salvifiche cure.

Più dettagliatamente in ordine al nesso causale gli eredi deducevano che il congiunto aveva patito prima  una “rottura minore” dell’aneurisma e che nei giorni successivi l’ematoma non si era ancora formato, sino alla “rottura maggiore” dell’aneurisma, la quale determinò un copioso sanguinamento e la formazione di un ematoma intracranico, asserivano quindi che fu proprio la formazione di questo ematoma, che comprimeva i tessuti cerebrali, ad innescare il meccanismo che lo portò alla morte.

Tutti i convenuti si costituivano in giudizio negando la propria colpa ed affermando l’assenza di nesso causale tra la propria condotta e la morte.

Nel 2007 il Tribunale di Nuoro rigettava la domanda degli eredi che pertanto proponevano appello che nel 2016 veniva rigettato dalla Corte di Appello di Cagliari. La Corte d’appello ritenne infatti che i sanitari visitarono il paziente con zelo e non potevano sospettare l’esistenza d’una patologia (l’aneurisma) della quale non esistevano sintomi specifici ed altresì che, anche se il paziente fosse stato tempestivamente sottoposto ad intervento chirurgico, non avrebbe avuto maggiori probabilità di sopravvivenza di quante ne ebbe in concreto.

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha totalmente ribaltato le decisioni dei giudici del primo e secondo grado, censurando la sentenza della Corte di Appello laddove ha omesso di considerare il fatto della formazione successiva dell’ematoma, ritenendo erroneamente che le possibilità di successo dell’intervento di clippaggio dell’aneurisma sarebbero state identiche, anche se l’intervento fosse stato compiuto con un anticipo di venti giorni prima dopo l’accesso al pronto soccorso.

Il Collegio rammenta che intanto può affermarsi che le possibilità di successo del medesimo intervento, eseguito sul medesimo paziente, non mutano sol perchè eseguito due settimane prima o due settimane dopo, in quanto si assumano stazionarie le condizioni del paziente (vale a dire ceteris paribus), presupposto carente nel caso di specie ove la logica deduttiva indurrebbe a concludere che se l’intervento fosse stato eseguito immediatamente, non vi sarebbe stata l’emorragia, la quale fu la causa del danno cerebrale e della morte; il fatto “formazione dell’ematoma”, pertanto, non considerato dalla Corte d’appello, era teoricamente idoneo a condurre una decisione differente da quella impugnata in punto di nesso di causalità, e, dunque, decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 5.

Pertanto la sentenza è stata cassata con rinvio al fine di accertare se un più tempestivo intervento di clippaggio dell’aneurisma, compiuto quando l’ematoma non si era ancora formato o comunque non aveva raggiunto le dimensioni di cm 4×2, avrebbe avuto ragionevoli probabilità di salvare la vita del paziente.

Il Giudice delle leggi si sofferma a rammentare in cosa consiste la colpa civile che rappresenta la deviazione rispetto ad una regola di condotta che può essere non soltanto in una norma giuridica, ma anche in una regola di comune prudenza o nelle leggi dell’arte ed il cui accertamento va compiuto alla stregua dell’art. 1176 c.c. (ex permultis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 17397 del 08/08/2007, Rv. 598610) che impone al debitore di adempiere la propria obbligazione con diligenza il cui parametro di valutazione non è uguale per tutti: nel caso di inadempimento di obbligazioni comuni, ovvero di danni causati nello svolgimento di attività non professionali, il primo comma dell’art. 1176 c.c. impone di assumere a parametro di valutazione della condotta del responsabile il comportamento che avrebbe tenuto, nelle medesime circostanze, il “cittadino medio”, ovvero il bonus paterfamilias: vale a dire la persona di normale avvedutezza, formazione e scolarità, nel caso, invece, di inadempimento di obbligazioni professionali, ovvero di danni causati nell’esercizio d’una attività “professionale” in senso ampio, il secondo comma dell’art. 1176 c.c., prescrive un criterio più rigoroso di accertamento della colpa poiché il “professionista”, infatti, è in colpa anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un ideale professionista “medio” (il c.d. homo eiusdem generis et condicionis).

La Corte precisa che, nella propria giurisprudenza, l’ideale “professionista medio” di cui all’art. 1176 c.c. comma 2 non è un professionista “mediocre”, ma è un professionista “bravo”: ovvero serio, preparato, zelante, efficiente, quindi occorre chiedersi cosa avrebbe fatto il medico “diligente” ex art. 1176 c.c., vale a dire il medico bravo, dinanzi a sintomi aspecifici. La risposta rinvenuta dai giudici è che di fronte a sintomi aspecifici, potenzialmente ascrivibili a malattie diverse o comunque di difficile interpretazione, il medico non può acquietarsi in una scettica epochè, sospendendo il giudizio ed attendendo il corso degli eventi, deve, al contrario, o formulare una serie di alternative ipotesi diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza; oppure almeno segnalare al paziente, nelle dovute forme richieste dall’equilibrio psicologico di quest’ultimo, tutti i possibili significati della sintomatologia rilevata.

Alla luce di quanto evidenziato il medico che, di fronte al persistere di sintomi od indici diagnostici dei quali non è agevole intuire l’eziogenesi, non solo non compia ogni sforzo per risalire, anche procedendo per tentativi, alla causa reale del sintomo, ma per di più taccia al paziente i significati di esso, tiene  una condotta non conforme al precetto di cui all’art. 1176 c.c.


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